Originale: Richardfalk.com
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8 giugno 2014

L’eredità di Obama: “Non fate stupidaggini”
di  Richard Falk
Traduzione di Maria Chiara Starace

Quindi gli Stati Uniti sono e restano l’unica nazione indispensabile.  E’ stato sempre vero  nel secolo scorso e lo sarà per il secolo  a venire… Il problema che affrontiamo ..non è se l’America farà da guida ma come, non soltanto per assicurare la nostra pace e prosperità, ma anche per estendere la pace e la prosperità a tutto il globo.

Discorso del Presidente Barack Obama  in occasione delle lauree all’Accademia di  West Point, 22 maggio 2014: Compongo anche la poesia del male, ricordo anche quella parte, io stesso sono proprio cattivo e buono, e la mia nazione è… Walt Whitman

Mettendo in guardia contro il militarismo, a West Point, il 22 maggio il Presidente Obama in un discorso molto degno di nota per aver asserito di nuovo quello che potrebbe essere meglio inteso nazionalismo imperiale, con uno scopo globale, ha dichiarato quanto segue: “Proprio perché abbiamo il martello migliore [cioè il dominio in campo militare], non vuol dire che ogni problema sia un chiodo [cioè che  dobbiamo sceglierlo]. Ricordando il fallimento dell’intervento militare in Iraq, positivo per ottenere un probabile  progresso  in Iran, e “bruciato” dalla scarsità dei risultati avuti dall’aumento delle truppe in Afghanistan all’inizio della sua presidenza,  da lui fortemente sostenuto, Obama ora ricorda ai cadetti laureati, i futuri comandanti dell’organizzazione militare americana, che la leadership sul palcoscenico globale non dovrebbe essere più concepita come nulla di più che una partita geopolitica di hard power  (l’unione di potere economico, militare e di governo).   Interpretata nel contesto, questa affermazione può e dovrebbe essere apprezzata come l’accoglimento di quello che alcuni chiamano la politica che modella il lo ‘smart power’* per mezzo di un’attenta comprensione di quello che funzionerà e di quello che non riuscirà, cioè, mostrare una sensibilità ai limiti e anche al ruolo del potere militare nel portare avanti il programma della politica estera americana.

Per i Repubblicani estremamente ostili, tale linguaggio è  distorto  per giustificare il  loro attacco alla politica estera di Obama in quanto debole e segno di una mentalità  riluttante che è parzialmente ammessa da un’espressione usata dalla Casa Bianca durante l’intervento della NATO in Libia nel 2011, ‘comandare stando dietro” **. I Repubblicani, ricorrendo alla loro aggressiva retorica di opposizione, tipicamente irresponsabile, hanno rimproverato Obama di non aver proceduto a bombardare la Siria dopo aver affermato che i Siriani avevano passato i limiti nel 2013 quando le armi chimiche erano state usate nel sobborgo Ghouta di Damasco causando pesanti perdite di vite di civili. In base a questa prospettiva neoconservatrice ogni fallimento di un intervento militare fin dalla guerra del Vietnam, mostra non i limiti dell’hard power, ma il rifiuto di fare ciò che ci vuole per ottenere la vittoria, cioè un misto di armamenti e di coraggio. Fortunatamente, il più delle  volte che i Repubblicani sono in carica, di solito  finiscono le guerre che i Democratici  iniziano. Questo è ciò che ha fatto Eisenhower nella Guerra di Corea, Nixon nella guerra del Vietnam. I Repubblicani abbaiano più spesso di quanto mordano, mentre i Democratici fanno il contrario.

Il rifiuto di Obama del militarismo irrazionale è graditissimo, ma insufficiente. Dato questo curriculum americano di sconfitte demoralizzanti, coloro che sono sulla destra dello spettro politico, dovrebbero sentirsi rassicurati da questo linguaggio ultra nazionalista, usato per descrivere il dominio  globale dell’America: “Le nostre forze armate non hanno pari. L’America è stata raramente più forte rispetto al resto del mondo…la nostra economia rimane la più dinamica sulla Terra…Ogni anno diventiamo più indipendenti nel settore dell’energia. Dall’Europa all’Asia siamo il   centro delle alleanze insuperato nella storia delle nazioni.” Ricordando la vanteria spesso citata di Madeline Albright, Obama ha continuato a insistere: “Quindi gli Stati Uniti sono e restano l’unica nazione indispensabile.  E’ stato sempre vero  nel secolo scorso e lo sarà per il secolo che a venire.”

Esibire l’orgoglio nazionale è comprensibile per un leader politico, ma l’assenza di qualsiasi espressione di umiltà nazionale crea un’impressione immensa e profondamente sconvolgente di arroganza, specialmente quando chi parla è a capo della più grossa potenza militare della storia e il suo paese ha le sue forze dispiegate in tutto il mondo in modo da essere pronti ad attaccare dovunque. Dovremmo essere consapevoli che per i Greci antichi l’arroganza era un tragico difetto che rende i potenti compiaciuti dei loro punti vulnerabili e quindi destinati a precipitare in caduta libera da altezze vertiginose a profondità paludose. Un’interpretazione del genere è rafforzata dalla visione di Obama del posto che hanno le guerre nella politica estera americana: “Gli Stati Uniti useranno la forza unilateralmente, se necessario, quando la nostra gente sarà minacciata, quando le nostre vite saranno a rischio, quando la sicurezza dei nostri alleati sarà in pericolo.” Quello che è così scioccante è l’assenza di qualsiasi riconoscimento anche pro forma di un impegno nazionale a fare la politica estera in un modo rispettoso della legge internazionale e dell’autorità delle Nazioni Unite. E’ profondamente sconvolgente l’asserzione di Obama che la guerra può essere il modo appropriato di agire se “le nostre vite sono a in gioco,” che sembra far rivivere i sogni degli imperialisti dell’economia che arraffano le risorse e salvaguardano l’arricchimento ingiusto fatto con le risorse straniere.

Con parole che sono un’eco di quelle di George W. Bush, Obama ammette che “l’opinione internazionale è importante, ma che l’America non dovrebbe mai chiedere il permesso di proteggere la nostra patria e il nostro stile di vita.” Se l’America non dovrebbe mai chiedere, è vero anche per gli altri, per la Russia, per esempio, quando protegge la sua patria e il suo stile di vita in Ucraina? A essere giusti, Obama sembra qualificare  il suo unilateralismo dicendo che prima di entrare in guerra “è necessario che ci domandiamo seriamente se le nostre azioni sono proporzionali ed efficaci e giuste,” ma questi nobili sentimenti sono abbinati all’omissione lampante  delle parole “e legali”. Nel suo discorso Obama raccomanda “appelli alla legge internazionale”, ma rivelando soltanto uno dei vari strumenti  della diplomazia americana che possono essere utili a mobilitare gli alleati per unirsi nel ricorso all’azione militare multilaterale contro avversari comuni.

Verso la fine del discorso Obama rimuove qualsiasi ambiguità sul tipo di realismo sprezzante che destina agli Stati Uniti e implicitamente rifiuta ad altri, riconoscendo elevate pretese su scala realmente globale: “Credo nell’eccezionalismo*** americano con ogni fibra del mio essere. Però, quello che ci rende eccezionali non è la nostra capacità di sfidare le norme internazionali e le norme giuridiche; è la nostra capacità di affermarle per mezzo delle nostre azioni.” Siamo forse stupidi? Dopo aver lodato il militarismo e l’unilateralismo all’inizio del discorso soltanto per poi dare questa interpretazione, nello stile del presidente Wilson, al significato più egocentrico dell’eccezionalismo americano, il linguaggio di Obama mostra una mescolanza inquietante di confusione e ipocrisia. Perfino la minima familiarità con l’uso americano della forza nel corso dei recenti decenni, anche durante la presidenza di Obama, porterebbe qualsiasi osservatore attento a concludere che l’unico modo onesto di definire l’eccezionalismo americano è soprattutto la sua “capacità di sfidare le norme internazionali e le norme giuridiche.”

E non soltanto la capacità, anche la disponibilità, ogni volta che sia vantaggioso (considerate la sorveglianza, la guerra con i droni), dalla prospettiva degli interessi nazionali,  impegnarsi in combattimento.

Come sempre, c’è nelle affermazioni onnicomprensive di Obama, un certo linguaggio visionario che vuole essere di ispirazione. Per esempio, quello che descrive come “l’elemento finale della leadership americana: la nostra disponibilità ad agire in nome della dignità umana.” Dove esattamente? Nella risposta al modo di governo repressivo nell’Egitto di Sisi? Rispetto alla popolazione civile di Gaza così a lungo vittimizzata dalla punizione collettiva messa in atto da Israele? L’unica risposta plausibile alla prima di queste domande è: ‘dove e quando va bene agli interessi americani, e non altrimenti.’ In tutta franchezza, potevano aspettarci altrimenti in un mondo che mette al centro lo stato?

C’è un riferimento  strano all’Egitto nel discorso che deride  qualsiasi modo di parlare  della dignità umana e una politica estera che risponda alle rivendicazioni     di giustizia. Obama adopera una strana espressione, forse per tramettere  il senso di     imbarazzo, iniziando la sua spiegazione delle politiche con le parole “in nazioni come l’Egitto.” Questa espressione implica che ci siano altre nazioni simili, il che sembra dubbio. Non riceviamo alcun  accenno  ai paesi che intende includere. Forse Obama si riferisce a tutti quegli stati con un curriculum deplorevole di diritti umani i cui leader sono colpevoli di crimini contro l’umanità rispetto ai loro cittadini, ma il cui orientamento è favorevole all’Occidente. Obama continua insinuando qualche     sospetto sui rapporti americani positivi con l’Egitto: “Riconosciamo che i  nostri rapporti sono ancorati  a interessi per la sicurezza, a cominciare dai trattati di pace con Israele e fino agli sforzi condivisi contro l’estremismo violento.” E poi con indifferenza ipnotica verso la differenza tra parole e fatti, spiega: “Quindi non abbiamo interrotto la collaborazione [intesa come aiuti militari] con il nuovo governo, ma possiamo e faremo insistentemente pressioni per le riforme che il popolo egiziano ha domandato.” Come dovremmo analizzare punto per punto questo insieme di rassicurazioni e pressioni per ristabilire la democrazia, lo stato giuridico, e i diritti umani? Per parafrasare Obama direi che questo mi colpisce come un esempio brutale di seguire la tattica di  ‘comandare stando dietro’.

Riguardo ad altri argomenti come il terrorismo, i droni, l’Iran, la Siria e l’Ucraina, Obama conferma le posizioni convenzionali della politica estera senza aggiungere nulla di nuovo, non osando avallare alcuna iniziativa che introduca a qualche innovazione. C’erano alcune occasioni ovvie che avrebbero creato un poco di credibilità per l’affermazione fondamentale fatta da Obama che l’America e solo l’America era in grado di fornire al mondo una guida generosa. Certamente Obama avrebbe potuto proporre che l’Iran partecipasse a un tentativo di mettere fine all’atmosfera di minaccia di guerra collegata alla Siria in vista di obiezioni dell’Occidente al programma iraniano di armi nucleari. Oppure avrebbe potuto suggerire che  il rifiuto di Israele di porre fine all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme aveva annullato, una volta per tutte, qualsiasi speranza di una conclusione negoziata e giusta alla ricerca di pace in Palestina e in Israele che avrebbe giovato a entrambi i popoli, invece di  esprimere una blanda disapprovazione e di mettersi da parte. O accettare  la formazione di un governo di unità che potrebbe finalmente rappresentare il popolo palestinese nel suo insieme.

Oppure riconoscere la complessità di rivendicazioni conflittuali  in Ucraina, riconoscendo che sia l’Occidente che la Russia sono state responsabili della crescita delle tensioni, inibendo in tal modo le prospettive di un’intesa reciprocamente vantaggiosa. Oppure Obama avrebbe potuto anche scegliere questo momento per riprendere la sua iniziativa di Praga del 2009 proponendo che era arrivato il momento di discutere una bozza di trattato di disarmo nucleare.

Questi passi innovativi avrebbero suscitato eccitazione e anche compromessi,   controversia, dibattito. Tali mosse avrebbero almeno incoraggiato la speranza che l’idea di Obama della leadership americana significasse qualchecosa per il mondo oltre che un’agenda globale di tipo neoconservatore di efficacia ridotta. Certamente è meno bellicosa nel linguaggio e nella linea politica di quello che era stato raccomandato durante la presidenza di Bush. La mentalità di Obama è certamente più ricettiva rispetto alla collaborazione, alle alleanze e al multilateralismo nel  gestire le faccende globali. Ironicamente, la concezione di Obama della leadership americana è simile, in modo deprimente, per alcune delle sue caratteristiche essenziali, al discorso in occasione della consegna dei diplomi di laurea, fatto da George W. Bush a West Point 12 anni prima: “Noi eravamo buoni, loro sono malvagi. Il terrorismo è la principale minaccia per la sicurezza. Agiremo come vogliamo quando saranno in gioco nostri interessi vitali e di sicurezza.” Nessun segno di deferenza verso la legge internazionale o l’ONU a meno che essa non rafforzi la politica estera americana. Quando le politiche americane vengono contestate, è compito della leadership politica decidere che cosa è giusto e sbagliato, ma i governi che sono avversari dell’Occidente dovrebbero continuare ad essere giudicati e puniti dalle procedure internazionali, compresa la Corte penale Internazionale. Nessuna umiltà, nessun arretramento dalla previsione globale di forza come diritto americano che gli altri accettano.

Forse, dopo tutto, Hillary Clinton aveva ragione quando ha schernito Obama durante la campagna presidenziale del 2008:  “Se non sopporti il calore, esci dalla cucina.” Per chiarire, non il calore che intendeva la Clinton, ma il calore che si produrrebbe se Obama facesse un tentativo serio in questi ultimi anni della sua presidenza, di tradurre il suo linguaggio visionario in politiche concrete che si occupino di ingiustizie e disciplinino le scelte di politica estera accettando l’autorità della legge internazionale e dell’ONU. Si può soltanto sognare ad occhi aperti circa questa eredità della presidenza di Barack Obama. Invece, piuttosto che l’eredità di tolleranza che sembra determinato a lasciarsi dietro, ci resta la frase, riassunto della sua logica operativa da lui stesso professata: “non fate stupidaggini.”

Note

*http://www.altd.it/2012/11/03/smart-power-potere-inefficace-usa/

** http://www.geopoliticalcenter.com/2014/05/obama-cambia-strategia-america-abbandona-leading-from-behind/

***http://it.wikipedia.org/wiki/Eccezionalismo_americano


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/obama-s-legacy-don-t-do-stupid-stuff

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