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Giovedì 11 dicembre 2014 USA, il dossier della vergogna
di Michele Paris
La pubblicazione del riassunto di oltre 500 pagine del rapporto sugli interrogatori “avanzati” della CIA nell’ambito della “guerra al terrore” degli Stati Uniti ha scatenato un acceso dibattito virtualmente in ogni angolo del pianeta sulle responsabilità di Washington nella sistematica violazione dei diritti umani.
La sospirata diffusione del concentrato delle conclusioni raggiunte dalla commissione per i Servizi Segreti del Senato americano ha rivelato il ricorso da parte degli agenti della CIA, con l’approvazione dei loro superiori e, con ogni probabilità, dei vertici dell’amministrazione Bush, a metodi di interrogatorio ancora più estremi e violenti di quelli noti finora.
Il rapporto è in effetti un lungo elenco di abusi, menzogne e depistaggi di cui si è macchiata un’agenzia che ha rappresentato e continua a rappresentare lo strumento principale per l’attuazione delle politiche imperialiste degli Stati Uniti, dietro l’apparenza della difesa della sicurezza nazionale.
I media di tutto il mondo in questi due giorni hanno raccontato estensivamente di come, ad esempio, la pratica dell’annegamento simulato (“waterboarding”) sia stata utilizzata fino al limite estremo della resistenza dei detenuti oppure di come la CIA abbia somministrato a questi ultimi altri metodi barbari come la cosiddetta “alimentazione” o “reidratazione rettale”.
Minacce di morte agli stessi prigionieri e ai loro familiari erano poi la norma, mentre la varietà delle torture aveva raggiunto livelli raccapriccianti, includendo finti seppellimenti, percosse pure e semplici, “roulette russa”, bagni con acqua gelata, privazione del sonno e abbandono dei detenuti in condizioni estreme, come accadde a Gul Rahman, morto per ipotermia nel novembre del 2002 nella famigerata prigione di Kabul ribattezzata “Salt pit” (“miniera di sale”).
Gli esempi della devastazione inflitta a centinaia di presunti terroristi da parte degli agenti della CIA appaiono quasi senza fine, rendendo più che comprensibili i casi documentati di tentativi di suicidio e di auto-mutilazione. Il tutto sotto la supervisione di medici professionisti, come Grayson Swigert e Hammond Dunbar (pseudonimi di James Mitchell e Bruce Jessen), impegnati a garantire dietro lauti compensi che i prigionieri fossero mantenuti in uno stato di prostrazione tale da permettere ai carnefici di avere il totale controllo sulla loro volontà.
Il riassunto del rapporto del Senato conferma inoltre l’assoluta inutilità delle informazioni estratte con le torture ai fini della “guerra al terrorismo”. La stessa pretesa da parte della CIA di avere ottenuto le informazioni decisive per la localizzazione di Osama bin-Laden in Pakistan grazie all’interrogatorio “avanzato” del corriere del fondatore di al-Qaeda, Abu Ahmed al-Kuwaiti, sono smentite clamorosamente, visto che quest’ultimo aveva già rivelato in precedenza e in maniera spontanea quanto era a sua conoscenza.
Secondo una pratica all’insegna della disinformazione da tempo consolidata, l’agenzia di Langley aveva poi stabilito contatti molto stretti con vari giornali americani, in modo da garantirsi una copertura favorevole e dare l’impressione all’opinione pubblica che le torture erano servite a sventare possibili attentati terroristici.
La CIA aveva costruito una collaborazione particolarmente fruttuosa con il New York Times, il cui reporter Douglas Jehl - ora al Washington Post - almeno in un’occasione aveva “informato l’agenzia della sua intenzione di sottolineare l’efficacia delle tecniche di interrogatorio”, nonché di dimostrare che esse erano state regolarmente approvate e autorizzate dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Giustizia.
Forse ancor più di questi e altri aspetti descritti nel rapporto prodotto sostanzialmente dalla maggioranza democratica della commissione del Senato di fronte all’opposizione repubblicana, ciò che colpisce è il tentativo di dipingere il programma di torture della CIA come un incidente di percorso o un’anomalia nel quadro di una “guerra al terrore” diversamente del tutto legittima e giustificata, quando essa appare piuttosto come un gigantesco complotto per giustificare uno stato di guerra permanente e lo smantellamento dei diritti democratici sul suolo domestico.
Significative in questo senso sono state le parole del presidente Obama subito dopo la pubblicazione del rapporto. L’inquilino della Casa Bianca ha sì formalmente condannato le pratiche messe in atto dalla CIA ma ha allo stesso tempo elogiato i suoi agenti, giungendo a definirli “patrioti” a cui gli Stati Uniti devono la loro “gratitudine” per avere cercato di proteggere il paese.
Le dichiarazioni di Obama rivelano anche l’estrema ambiguità della sua amministrazione nei confronti della CIA, essendosi trovata costretta a mantenere pubblicamente una posizione relativamente critica, vista la portata degli abusi, ma schierandosi in realtà a difesa della stessa agenzia. Se al momento del suo insediamento nel 2009 il presidente democratico aveva vietato il ricorso agli interrogatori “avanzati”, gli anni successivi sono stati segnati dalla completa protezione garantita ai responsabili dei crimini commessi dopo l’11 settembre.
La Casa Bianca, così, aveva deciso di non procedere con nessuna incriminazione, nemmeno di coloro all’interno della CIA che avevano autorizzato la distruzione dei filmati delle sessioni di “waterboarding” sui detenuti, mentre Obama avrebbe poi scelto uno degli uomini coinvolti nel programma di torture - John Brennan - dapprima come consigliere per l’antiterrorismo e poi addirittura come direttore della stessa agenzia di Langley.
Non solo, proprio assieme a Brennan, la Casa Bianca si è battuta in tutti i modi per ritardare, se non evitare del tutto, la pubblicazione dello stesso rapporto diffuso martedì, giungendo in pratica a difendere la CIA anche dalle accuse di avere penetrato i terminali dei membri della commissione per i Servizi Segreti del Senato che stavano indagando sugli interrogatori con metodi di tortura.
Solo pochi giorni fa, infine, il segretario di Stato, John Kerry, aveva insolitamente chiesto alla presidente della commissione, la senatrice democratica Dianne Feinstein, di ritardare la pubblicazione del rapporto, con la scusa che esso avrebbe messo a rischio le operazioni militari degli USA all’estero. Dopo la sconfitta democratica nelle elezioni di metà mandato a novembre, d’altra parte, in molti avevano ipotizzato che la Casa Bianca stesse cercando di ritardare la diffusione del rapporto fino a gennaio, quando l’installazione del nuovo Congresso a maggioranza repubblicana ne avrebbe determinato il definitivo insabbiamento.
L’atteggiamento dell’amministrazione Obama è peraltro giustificato dal fatto che essa stessa è colpevole di crimini e abusi legati alla “guerra al terrore”. La difesa dei responsabili all’interno dell’amministrazione Bush è motivata infatti anche dal timore che eventuali incriminazioni o processi possano rappresentare un modello per il futuro, visto che, ad esempio, lo stesso Obama ha sostituito detenzioni arbitrarie, “rendition” e torture con l’assassinio sommario di presunti terroristi, cittadini americani compresi, sul territorio di paesi sovrani.
Una sostanziale garanzia di impunità permea dunque l’intero processo che ha portato alla realizzazione del rapporto sulle torture e alla pubblicazione di un compendio dettagliato. La serietà dei fatti descritti stride con l’assenza di iniziative o raccomandazioni per l’incriminazione dei responsabili, i cui nomi sono universalmente noti.
L’autorizzazione delle torture, così come le menzogne pronunciate pubblicamente e di fronte al Congresso dagli ex direttori della CIA - George Tenet, Porter Goss, Michael Hayden - non hanno poi impedito loro di condurre in questi giorni una campagna per screditare il rapporto sulle torture e per difendere l’operato dell’agenzia. Alla stessa campagna sostenuta dai repubblicani al Congresso hanno partecipato anche i potenziali criminali di guerra George W. Bush e l’ex vice-presidente, Dick Cheney.
Se il rapporto sostiene che la CIA aveva tenuto all’oscuro l’amministrazione Bush circa la reale portata delle pratiche di interrogatorio e la loro efficacia, lo stesso ex presidente repubblicano e il suo vice hanno invece smentito questa versione, sostenendo qualche giorno fa, in una clamorosa ammissione di colpa, che tutto quello che è accaduto nelle prigioni clandestine dopo l’11 settembre era ben noto e autorizzato dai vertici del governo.
Il rapporto su alcuni dei crimini della CIA che ha visto la luce martedì, assieme allo scontro esploso a Washington attorno alla sua pubblicazione e i tentativi di contenerne gli effetti, testimoniano in definitiva di una profonda inquietudine all’interno della classe dirigente d’oltreoceano.
La descrizione dettagliata di violenze e abusi condotti da un organo dello stato, autorizzati ai massimi livelli dell’intelligence e del governo, contribuisce infatti a distruggere sempre più la residua credibilità agli occhi del mondo di un paese che continua ad attribuirsi il diritto di difendere ovunque i valori della democrazia pur macchiandosi, nella totale impunità, delle più gravi violazioni dei diritti umani. |