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23 gennaio 2016
Quel "no" detto a Francesco dal rabbino capo di Roma
di Sandro Magister
L'ha detto durante l'incontro col papa in sinagoga. Ed è il rifiuto di "discutere di teologia" con la Chiesa cattolica. Per il timore degli ebrei di veder offuscato ciò che li differenzia dai cristiani?
In campo cattolico quasi nessuno l'ha notato e fatto notare. Ma in campo ebraico sì. Ed è quel "no" secco che il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha detto a papa Francesco in visita alla sinagoga, domenica 17 gennaio:
"Non accogliamo il papa per discutere di teologia. Ogni sistema è autonomo, la fede non è oggetto di scambio e di trattativa politica".
Un "no" preventivo. Perché subito dopo ha preso la parola Francesco. E nel suo discorso il papa è tornato invano a proporre agli ebrei un comune approfondimento teologico del rapporto tra l'ebraismo e la Chiesa. Quella proposta che il rabbino Di Segni aveva già rifiutato.
Francesco ha motivato la sua offerta di dialogo teologico citando due documenti.
Il primo è stato la dichiarazione "Nostra aetate" del Concilio Vaticano II, che – ha detto – "ha definito teologicamente per la prima volta in maniera esplicita le relazioni della Chiesa cattolica con l’ebraismo", senza naturalmente risolvere tutte le questioni ma "fornendo un importantissimo stimolo per ulteriori, necessarie riflessioni".
Il secondo è stato il documento pubblicato il 15 dicembre 2015 dalla commissione vaticana per i rapporti religiosi con l'ebraismo, che – ha detto il papa – "affronta le questioni teologiche emerse negli ultimi decenni trascorsi dalla promulgazione di 'Nostra aetate'".
E così Francesco ha proseguito:
"La dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza. Infatti, proprio da un punto di vista teologico appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele".
Dicendo ciò, papa Jorge Mario Bergoglio si è espresso in piena continuità con i predecessori, soprattutto con Benedetto XVI, il quale ha sì rifiutato di fare delle fedi un oggetto di dialogo tra il cristianesimo e le altre religioni, ma ha sempre riconosciuto tra cristianesimo ed ebraismo un rapporto unico, specialissimo, che rende non solo possibile ma doveroso un dialogo comune anche teologico.
Joseph Ratzinger aveva toccato le vette della sua riflessione teologica sul rapporto tra le fedi ebraica e cristiana nella prefazione al documento della pontificia commissione biblica del 24 maggio 2001 su "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana" e soprattutto nei tre volumi del suo "Gesù di Nazaret", in pagine riconosciute ancora nei giorni scorsi come "insuperabili" da un esponente ebreo di prima grandezza quale Sergio Yitzhak Minerbi, fra i maggiori studiosi dei rapporti tra ebrei e cattolici.
Ebbene, il documento vaticano del 15 dicembre scorso non solo si attesta a questi livelli, ma si spinge persino oltre, anche grazie al fatto di non proporsi come "un documento magisteriale o un insegnamento dottrinale della Chiesa" ma semplicemente come "un punto di partenza per un ulteriore approfondimento teologico, teso ad arricchire e ad intensificare la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico".
Sono soprattutto due, in questo documento, i punti che hanno trovato in campo ebraico un'accoglienza positiva.
Il primo è là dove esso dà per definitivamente "delegittimata la teologia della sostituzione, che vede contrapposte due entità separate, una Chiesa dei gentili ed una Sinagoga respinta e sostituita da tale Chiesa". E questo a motivo della "irrevocabilità" della promessa di Dio al popolo di Israele.
Il secondo è là dove esclude da parte della Chiesa una "missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei", per convertirli.
Così si esprime, in proposito, il paragrafo 40 del documento:
"È facile capire che la cosiddetta 'missione rivolta agli ebrei' è una questione molto spinosa e sensibile per gli ebrei, poiché, ai loro occhi, riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Anche per i cristiani è un tema delicato, poiché considerano di fondamentale importanza il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e la conseguente missione universale della Chiesa. La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto – per principio – di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah".
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Ma allora, se questa è la qualità di dialogo teologico che papa Francesco ha offerto ancora una volta agli ebrei, perché il rabbino Di Segni ha detto "no"?
Un'interessante traccia di risposta è in ciò che ha scritto l'ebrea Anna Foa, docente di storia moderna all'Università "La Sapienza" di Roma, sul giornale dell'ebraismo italiano "Pagine Ebraiche", a commento della visita del papa alla sinagoga.
Il suo commento è stato riprodotto integralmente su "L'Osservatore Romano" del 18-19 gennaio 2016.
Anna Foa ha sì riconosciuto come "messaggio forte" proveniente dalla visita del papa alla sinagoga "il riunirsi insieme di ebrei e cristiani nel momento in cui i cristiani sono oggetto delle persecuzioni più sanguinose e l’antisemitismo riemerge sempre più visibile, sia nei proclami del Daesh sia nella quotidianità della vita degli ebrei, in diaspora come in Israele". Un richiamo forte, quindi, "al fatto che le religioni possono e debbono essere motori di pace e non di guerra".
Ma poi ha così proseguito:
"Un altro tema, più sommesso rispetto a questi grandi temi che toccano il destino del mondo ma altrettanto importante, riguarda i rapporti tra ebrei e cristiani.
"Al 17 gennaio si è arrivati con grandi progressi nel dialogo, progressi sanciti da molte voci autorevoli nel corso delle celebrazioni del cinquantenario della 'Nostra aetate' e in particolare dal documento emanato il 10 dicembre 2015 dalla commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, […] con le sue affermazioni tanto innovative. Ed è a questo documento che il papa si è richiamato oggi in sinagoga. Un’apertura teologica, un invito forte a tutti coloro che sono impegnati nel dialogo ad indagare infine anche la sua dimensione teologica.
"Un discorso, questo teologico, rinviato invece esplicitamente dal mondo ebraico, in nome dell’invito a pratiche, azioni, progetti comuni, come Rav Di Segni ha tenuto a sottolineare. Rinviato, forse, non dismesso.
"Non credo che sia una trasformazione di poco conto il fatto che la Chiesa abbia rinunciato del tutto alla tradizione secolare di missione agli ebrei come non necessaria nel contesto della salvezza e abbia detto parole chiare ed indiscutibili sulla 'vexata quaestio' della teologia della sostituzione, secondo cui l’elezione divina degli ebrei sarebbe stata sostituita da quella dei cristiani.
"E non credo neanche che ci siano esitazioni da parte ebraica a riconoscere come, dopo tanti inviti a pronunciarsi senza esitazioni ed ambiguità su questi punti, questo pronunciamento sia infine arrivato. La visita di oggi, ha detto Rav Di Segni, significa che la Chiesa non intende tornare indietro sul percorso di riconciliazione.
"Da parte ebraica, tuttavia, la risposta non è chiara e molte riserve emergono attraverso la cautela delle parole.
"Sono riserve dovute soltanto al fatto che il discorso teologico appare incomprensibile ai più? O non ci sono invece, nei riconoscimenti della novità del passo compiuto dalla Chiesa, anche timori e remore? Timori che, una volta che la Chiesa ha rinunciato alla conversione, il riavvicinamento tra ebrei e cristiani porti all’annacquamento delle differenze dottrinali?
"In un articolo pubblicato pochi giorni fa sul 'L'Osservatore Romano', il direttore di 'Pagine Ebraiche' Guido Vitale ha ricordato una sua intervista nel lontano 1986 al rabbino Elio Toaff, in occasione della visita in sinagoga di Giovanni Paolo II.
"In quell’occasione Toaff aveva parlato proprio di questi timori: 'Una rivoluzione radicale, una rinuncia alla tentazione di emarginare il popolo ebraico, un gesto che farà nascere rapporti nuovi fra due fedi che hanno le stesse, comuni radici storiche. Nasce un nuovo rapporto, su un piede di parità e di collaborazione. E se alcuni ebrei possono temere forse il pericolo di una certa attività missionaria da parte della Chiesa, diciamo si tratta di un rischio che, se mai esistesse, crediamo di essere in grado di poter scongiurare'.
Anna Foa non ha detto di più. Ma la questione l'ha posta. Dentro il mondo ebraico più che in quello cristiano.
In ogni caso, il "no" detto a papa Francesco dal rabbino Di Segni non è di tutti gli ebrei e non è per sempre. E nemmeno ne sono già state enunciate tutte le ragioni.
Dopo l'incontro in sinagoga, lo stesso Di Segni ha fatto una prima esplicitazione del suo pensiero in un'intervista al vaticanista Andrea Gagliarducci su ACI Stampa del 21 gennaio:
"Io ho sempre sostenuto la necessità di una riflessione ebraica anche dal punto di vista teologico sui nostri rapporti con il cristianesimo. Ma i modi in cui queste riflessioni si sviluppano nell’ebraismo sono differenti dal modo in cui si sviluppano in un organismo, come la Chiesa, che ha un grande apparato dottrinale, una gerarchia e un capo che può organizzare queste cose. Da noi i modi e i tempi sono differenti. Certo, è importante stare attenti a quello che gli altri dicono, ma la teologia è un campo interno ad ogni religione. Ogni fede e soprattutto questi temi non sono oggetto di discussione politica, quindi bisogna lasciare tempi e spazi all'evoluzione delle proprie riflessioni".
La discussione che certamente si svilupperà sarà tutta da seguire.
Leggi anche:
Il testo integrale del discorso di papa Francesco nella sinagoga di Roma, domenica 17 gennaio 2016:
> Alla comunità ebraica
Il discorso del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni:
> "Benvenuto, papa Francesco…"
Il documento del 15 dicembre 2015 della commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo:
> "Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili"
Il documento del 24 maggio 2001 della pontificia commissione biblica, con la prefazione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger:
> "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana"