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29 Aprile 2020

 

Prendiamo le misure a quello che ci aspetta

di Sergio Cararo

 

Abbiamo davanti agli occhi, anche se ancora chiusi dentro casa, la misura del passaggio epocale che stiamo vivendo.

 

I dissennati tentativi di coniugare ossessivamente le esigenze del Pil con quelle della salute collettiva si rivelano un boomerang, in Germania e negli Usa come in Italia.

Ripartire e rischiare la diffusione del virus oppure attendere che la convivenza tra questo e gli umani diventi governabile con farmaci e vaccino?

La contraddizione si è palesata in modo contundente, come era prevedibile.

 

Qui è possibile leggere uno di quei “fenomeni morbosi” che Gramsci individuava nella zona grigia del passaggio tra “il vecchio che muore e il nuovo che non può nascere”. Fenomeni non sempre governabili, non sempre catalogabili, ma attivi, reali, destinati a produrre conseguenze ad ogni livello: da quello sanitario a quello economico/sociale, da quello psicologico a quello morale.

 

Dobbiamo quindi imparare rapidamente a prendere le misure a quello che ci attende.

 

In primo luogo occorre essere consapevoli che stiamo facendo i conti con una brutta bestia, invisibile e ancora letale. E’ vero, la letalità finora ha colpito al 90% le persone dai 60 anni in su; meno vero sul piano dei contagiati, dove la fascia di età più colpita scende a quella tra 50 e 59 (il 18,3%). Quella maggioritaria tra i lavoratori.

 

Per usare un paradosso, apparente, sembrerebbe un virus nascosto in un allegato della Legge Fornero o nei report del Fmi sulla “insostenibilità dei sistemi previdenziali a fronte dell’aumento dell’aspettativa di vita”.

 

Come molti virus il Covid 19 attacca, colpisce e uccide gli organismi umani più deboli o indeboliti dall’età, dall’abbassamento delle difese immunitarie, dall’esistenza di più patologie. Ma questo virus uccide ed ancora non lo conosciamo tanto bene da poterlo contrastare efficacemente e stabilmente.

 

E’ bene non sottovalutare mai questo dato, anche quando diventa insopprimibile la nostra legittima aspirazione a forzare le restrizioni imposte.

 

Dobbiamo quindi allenarci a “convivere con il virus” per una fase ancora non definita né definibile, nè con “fasi 2” né con altri parametri. Per obbligo, non per scelta soggettiva.

E su questo si palesa la contraddizione tra gli scienziati che ambiscono giustamente al “rischio zero” e imprenditori, banchieri, il Partito Trasversale del Pil insomma, che ritengono accettabile “il rischio dieci”.

 

Il governo Conte, come abbiamo scritto, ha cappottato sull’accettazione del “rischio 9,5”, varando riaperture premature che addenseranno obiettivamente le persone nei luoghi di lavoro e nei trasporti necessari per raggiungerli. Tra l’altro alcuni ecologisti potrebbero svenire se sapessero che, a dispetto della percezione, l’83% dei lavoratori nel nostro paese usa i trasporti pubblici per recarsi al lavoro.

 

Chi poi parla di “effetto gregge” sa bene di dire una stupidaggine criminale. L’effetto gregge funziona quando la stragrande maggioranza della popolazione è immunizzata con vaccino e dunque protegge – non del tutto – chi non lo è.

Qui, al contrario, ci sarebbe solo “l’effetto Mad Max”: i più forti resistono, sopravvivono e si contendono brutalmente le risorse rimaste a disposizione. Per gli altri la “soluzione finale”…

 

In questa zona grigia di “effetti morbosi” e imprevedibili, possiamo solo provare a ipotizzare alcune delle contraddizioni che agiranno con maggiore forza nel prossimo futuro.

 

Le indichiamo in modo volutamente didascalico, come temi da sviluppare e connettere tra loro:

 

1)   I rapporti di forza mondiali verranno radicalmente rimescolati. Sia quelli usciti dalla Seconda Guerra Mondiale, sia quelli usciti dagli anni Novanta con la dissoluzione dell’Urss.

 

2)   C’è una evidente crisi di credibilità delle classi dirigenti fin qui egemoni, sia nel nostro paese che a livello internazionale. In Italia tutte le forze e i leader politici, di governo e di opposizione, stanno assumendo ormai un ruolo macchiettistico e litigioso “sia con i nemici che con gli amici”.

 

3)   E’ di fatto richiesta una modifica sostanziale del ruolo dello Stato nell’economia. Dopo quaranta anni di “stato minimo”, per lasciare mano libera al mercato, lo Stato è reclamato ad assumere centralità nella gestione dell’economia.

 

4)   C’è una accelerazione sul piano dell’autoritarismo nella governance delle società. La strumentale e fasulla contrapposizione morale tra “democrazia occidentale e dispotismo asiatico” ormai è saltata del tutto.

 

5)   Ci sono già e a maggior ragione ci saranno tanti disoccupati in più, a milioni, soprattutto nei paesi a capitalismo avanzato, perché il sistema già da tempo stava facendo i conti – e li vuole regolare in modo violento – con l’eccesso di capacità produttive, incluso il capitale umano.

 

6)   Aumenterà lo sfruttamento di chi lavora, soprattutto sul piano della totale flessibilità e lunghezza della giornata lavorativa. Dilatazione e riorganizzazione degli orari di lavoro, utilizzo massiccio dello smart working, ecc, già ci dicono che le modifiche introdotte per l’emergenza pandemia tenderanno a diventare regola, soprattutto in presenza di sindacati codardi come quello che vengono ammessi ai tavoli delle trattative. Non solo nelle fabbriche, ma anche negli uffici pubblici e nell’organizzazione scolastica.

 

7)   Con la modifica del ruolo dello Stato cambierà anche il clima interno e le funzioni delle amministrazioni pubbliche. Diventeranno soggetti attivi e strategici nell’economia e perderanno definitivamente gli ultimi residui del vecchio pubblico impiego.

 

8)   Torneranno ad aumentare i prezzi di generi alimentari e beni necessari. La stagione della bassa inflazione imposta dalla Bundesbank sin  dal 1992 tramite i trattati europei è ormai alle spalle.

 

A questa disamina mancano ovviamente un paio di punti, quelli che  riguardano ciò che dovremo, vorremo, potremo fare, noi che questa società vogliamo rivoltarla come un calzino, cambiare modello di sviluppo e praticare di nuovo un sistema sociale alternativo, fondato sulle istanze collettive, pianificato, partecipato nelle decisioni strategiche.

Possiamo tornare a chiamarlo socialismo e possiamo tornare a dirci orgogliosamente comunisti di fronte al fallimento del modello capitalista fino ad oggi dominante.

Se questo presupposto torna ad ispirare il senso di marcia della nostra visione, si può cominciare a discutere delle cose vecchie da lasciarsi subito alle spalle, i passaggi e le azioni da fare, le alleanze da costruire.

 

Volando alto, però, non come le galline…

 

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