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28 marzo 2020

 

Il pericolo dei patogeni creati in laboratorio

di Paolo Mauri

 

Un video di Rai Tgr Leonardo andato in onda nel 2015 che mostra ricercatori cinesi in un laboratorio intenti a modificare geneticamente un agente patogeno per creare un “supervirus” partendo dal Sars-CoV, il virus dell’influenza polmonare chiamata appunto Sars (Severe acute respiratory syndrome) che ha colpito nel 2002/2003, ha scatenato un’ondata di speculazioni e teorie complottiste sulla possibilità che il coronavirus Covid-19 che ha causato la pandemia in corso sia frutto di un esperimento genetico, e in particolare di quella ricerca mostrata nel video.

Quanto accaduto ci fornisce l’occasione di approfondire da un punto di vista scientifico la questione degli esperimenti genetici su agenti patogeni, in particolare i virus, per cercare di capire perché si fanno e perché sono importanti, anche considerando i rischi che ne derivano. Prima di addentrarci nella trattazione è però doveroso chiarire una volta per tutte la questione del video incriminato, e secondo molti incriminante.

Partiamo da una considerazione fondamentale: quel video non è un falso, non è stato montato ad arte e l’esperimento di cui si parla è realmente accaduto. Il risultato della ricerca è stato regolarmente pubblicato, e si può leggere esattamente quello che gli scienziati cinesi hanno realizzato modificando geneticamente il virus della Sars.

Quello che è falso, però, è che Covid-19 sia stato creato in laboratorio e in particolare che discenda da quel “supervirus” cinese. Vari studi, tra cui uno recentissimo pubblicato su Nature che ha analizzato l’intero genoma di Sars-CoV-2, hanno dimostrato non solo la mancanza di artificialità nella sequenza genetica del virus ma anche la sua origine “naturale”. In particolare si legge che “è improbabile che Sars-CoV-2 sia emerso attraverso la manipolazione in laboratorio di un coronavirus simile a Sars-CoV“. È quindi improbabile che sia originato da una manipolazione genetica di laboratorio. La condizione di improbabilità va però capita nella sua accezione scientifica che è leggermente diversa da quella usata nella lingua italiana corrente: significa infatti che tutte le evidenze fin’ora raccolte portano a pensare che con una ragionevole percentuale di certezza tale possibilità sia da escludere. Sostanzialmente significa che questo è quanto è stato osservato e che ogni ipotesi contraria deve essere supportata da prove provate e provabili, non basta cioè un filosofico “dubbio” per accettare teorie diverse se non comprovate. 

Scendendo più in dettaglio, e a beneficio di chi mastica un po’ di biologia, un altro studio, leggermente antecedente a quello precedentemente citato, riporta che esiste una significativa divergenza (più di 5mila nucleotidi) nella sequenza genetica di Sars-CoV-2 con il “supervirus” creato in laboratorio e quindi si dimostra come questa teoria manchi di qualsiasi base scientifica.

Diversamente è però possibile, come sollevato da alcuni autorevoli ricercatori, che Covid-19 sia stato inavvertitamente rilasciato da qualche laboratorio della regione di Wuhan che stava studiando i coronavirus dei pipistrelli, e questo spiegherebbe sia la feroce propaganda cinese che è arrivata anche ad accusare gli Stati Uniti di avere sparso un’arma batteriologica – ipotesi questa ormai ampiamente smentita come abbiamo avuto modo di dire sin quasi dall’inizio – sia i colpevoli ritardi nella comunicazione dell’inizio dell’epidemia.

Arriviamo ora al nocciolo della nostra trattazione: perché si fanno esperimenti di manipolazione genetica degli agenti patogeni come i virus? La risposta ce la fornisce la scienza stessa in diversi studi inerenti la sicurezza degli esperimenti genetici. Virus e microbi geneticamente modificati (definiti Gmv) vengono sempre più utilizzati dai ricercatori per la ricerca di vaccini e nello studio di soluzioni atte a sviluppare nuove terapie mediche, strategie di prevenzione e strumenti diagnostici.

Tali Gmv possono essere usati, oltre che per lo sviluppo di vaccini, per purificare proteine, costruire vettori di clonaggio (o replicazione), studiare la patogenesi e comprendere le complesse interazioni della risposta immunitaria. Sebbene la modificazione genetica di microorganismi come i virus o batteri è stata impiegata produttivamente in legittime ricerche scientifiche, gli stessi strumenti di modificazione possono essere impiegati per creare in laboratorio agenti patogeni “potenziati” che, ad esempio, siano resistenti agli antibiotici, ad elevata patogenicità, e aumentata capacità di eludere l’immunità adattiva indotta da un vaccino, oppure in grado di eludere l’individuazione da parte degli strumenti diagnostici standard di laboratorio o ancora avere capacità di trasmissione alterate. Pertanto, come gli esperti di sicurezza biologica hanno ammesso da parecchio tempo, le biotecnologie hanno un effettivo uso binario (in inglese dual use): possono essere applicate per scopi benefici, come appunto la ricerca di vaccini, oppure per creare agenti biologici capaci di nuocere altamente.

I Gmv vengono impiegati, nello specifico, in quattro ambiti che richiedono, come vedremo, una particolare valutazione del rischio. In dettaglio l’immunizzazione contro malattie infettive nel bestiame, l’immunizzazione di specie nella fauna selvatica che sono serbatoi di agenti patogeni in grado di causare malattie nell’uomo e nel bestiame, il controllo della densità dei parassiti nella popolazione animale attraverso operazioni dirette di eliminazione o immuno-contraccezione infine il già accennato programma di vaccinazione contro malattie o tumori.

Esistono dei rischi intrinseci. In tutti questi casi possono verificarsi delle circostanze che permettono ai virus geneticamente modificati di fare un “salto di specie” oltrepassando le barriere naturali a seguito di ricombinazione con i virus che già conosciamo. Tutte queste applicazioni possono, in varia misura, essere soggette a rilascio naturale o accidentale nell’ecosistema.

Ci sono pertanto dei protocolli di sicurezza, che sebbene abbiano un canovaccio comune, necessitano per forza di essere adattati ad ogni caso specifico, cioè ad ogni nuovo Gmv creato e studiato. Tali protocolli sono stabiliti proprio grazie a valutazioni del rischio che procedono caso per caso tenendo in considerazione gli effetti dannosi di un organismo geneticamente modificato sull’uomo, gli animali, le piante e gli altri microorganismi dell’ambiente naturale.

Diverso è però il caso in cui tali sperimentazioni vengano fatte precisamente con lo scopo di creare un patogeno in grado di essere dannoso. Il rischio dato dal terrorismo batteriologico viene tenuto in altissima considerazione da tutti i Paesi anche in considerazione degli studi effettuati storicamente durante la Guerra fredda che hanno portato alla creazione in laboratorio di armi biologiche ad hoc. Un caso particolarmente interessante, anche per quanto riguarda la minaccia successivamente generata dall’evolversi degli eventi storici, è dato dal programma batteriologico dell’allora Unione sovietica.

Conosciuto come Biopreparat, ha impiegato più di 25mila scienziati in più di 18 siti di ricerca, sviluppo e produzione. Secondo il dottor Vladimir Pasechnik, che disertò nel 1989, i microbiologi del Centro Statale di Ricerca di Microbiologia Applicata di Obolensk, uno dei principali del programma Biopreparat, hanno sviluppato nel 1983 il loro primo agente patogeno modificato da usare come arma batteriologica: un ceppo ipervirulento della Francisella Tularensis, che causa la tularemia comunemente nota come “febbre dei conigli” e trasmissibile all’uomo. Un altro disertore, il dottor Ken Alibek, ex primo vicedirettore del programma giunto negli Usa nel 1991, ha descritto gli sforzi degli scienziati sovietici per cercare di inserire i geni del virus dell’encefalite equina venezuelana e del virus Ebola in quelli del vaiolo oltre a quelli di sviluppare un bacillo dell’antrace modificato in grado di resistere ai vaccini e agli antibiotici.

Si capisce quindi, per tornare al video del “supervirus” cinese, tutte le preoccupazioni della comunità scientifica del tempo, ed il perché della proposta statunitense di moratoria per mettere al bando questo particolare tipo di ricerca. Proposta rispedita al mittente dalla Cina come detto nel filmato.

Le modificazioni genetiche nei batteri e nei virus avvengono naturalmente nel corso della loro evoluzione, che è molto più veloce rispetto a quella di un organismo più complesso, e oltretutto sono comuni nella pratica di legittime ricerche e sperimentazioni scientifiche volte a sviluppare vaccini per l’uomo o per gli animali. Il rilascio intenzionale o non intenzionale di organismi geneticamente modificati come un virus o un batterio nell’ambiente, però, può causare l’insorgere di malattie infettive con manifestazioni epidemiologiche o cliniche del tutto inusuali. Il riconoscimento che un certo numero di casi anomali siano un focolaio e rappresentino l’inizio di un’epidemia richiede un alto livello di attenzione e una comunicazione immediata e capillare tra medici, laboratori clinici, e professionisti della sanità pubblica. Tutti fattori, a cominciare dalle modalità di rilascio nell’ambiente, che se applicati all’epidemia in corso pongono questioni che la Cina un giorno sarà chiamata a rispondere davanti alla comunità scientifica e al mondo intero.

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