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27 Febbraio

 

La colonizzazione sionista della Palestina

di Chris Hedges

 

Il conflitto israelo-palestinese non è il prodotto di antichi odi etnici. È il tragico scontro tra due popoli che rivendicano la stessa terra. È un conflitto fabbricato ad arte, il risultato di un’occupazione coloniale centenaria da parte dei Sionisti e, in seguito, di Israele, sostenuta dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti e da altre grandi potenze imperiali. Questo progetto comporta l’occupazione, attualmente in corso, della Palestina da parte dei colonizzatori. Si tratta di rendere i Palestinesi delle non-persone, cancellarli dalla narrativa storica come se non fossero mai esistiti e negare loro i diritti umani fondamentali. Tuttavia, rendere pubblici questi fatti incontrovertibili della colonizzazione ebraica, supportati da innumerevoli rapporti ufficiali, da dichiarazioni e comunicati pubblici e privati, insieme a documenti ed eventi storici, serve solo a scatenare accuse di antisemitismo e di razzismo da parte dei difensori di Israele.

 

Rashid Khalidi, titolare della Cattedra Edward Said di studi arabi moderni alla Columbia University, nel suo libro “The Hundred Years’ War on Palestine: A History of Settler Colonization and Resistance, 1917-2017” [La guerra dei cent’anni alla Palestina: una storia di colonizzazione e resistenza, 1917-2017] ha meticolosamente documentato questo lungo progetto di colonizzazione della Palestina. Questa sua esaustiva ricerca, che include comunicazioni interne e private tra i primi Sionisti e la leadership israeliana, non lascia dubbi sul fatto che i colonizzatori ebrei fossero consapevoli sin dall’inizio che il popolo palestinese, affinchè fosse possibile la creazione di uno stato ebraico, doveva essere soggiogato e rimosso. La leadership ebraica era anche profondamente consapevole del fatto che le proprie intenzioni dovessero essere nascoste dietro la maschera dell’eufemismo, con il pretesto della legittimità biblica degli Ebrei per una terra che era sempre stata musulmana fin dal settimo secolo, con le banalità sui diritti umani e democratici, con i supposti benefici che la colonizzazione avrebbe portato ai colonizzati e con un mendace appello alla democrazia e alla coesistenza pacifica nei confronti di coloro che erano destinati ad essere distrutti.

“Quello a cui siamo stati sottoposti è un colonialismo unico nel suo genere, quello dove loro non sanno cosa farsene di noi,” afferma Khalidi citando Said. “Per loro il Palestinese migliore,” aveva scritto Said, “è morto o se n’è già andato. Non vogliono affatto sfruttarci o tenerci lì come una sottoclasse, come in Algeria o in Sudafrica.”

Il Sionismo era nato dai mali dell’antisemitismo. Era stata la risposta alle discriminazioni e alle violenze inflitte agli Ebrei, specialmente durante i selvaggi pogrom in Russia e nell’Europa Orientale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo che avevano causato la morte di migliaia di persone. Il leader sionista Theodor Herzl aveva pubblicato nel 1896 “Der Judenstaat” “Lo stato ebraico,” in cui metteva in guardia sul fatto che gli Ebrei non erano al sicuro in Europa, un avvertimento che nel giro di pochi decenni si sarebbe dimostrato assolutamente preveggente, con la salita al potere del fascismo tedesco.

Il sostegno della Gran Bretagna ad una patria ebraica era sempre stato viziato dall’antisemitismo. La decisione del governo britannico del 1917, come affermato nella Dichiarazione Balfour, di sostenere “l’istituzione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico” era il corpo principale di una impresa distorta basata su una retorica antisemita. Era stata voluta dalle élite britanniche al potere per indurre gli “Ebrei internazionali,” compresi i funzionari di origine ebraica in posizioni di potere nel nuovo stato bolscevico in Russia, a sostenere la stagnante campagna militare britannica durante la Prima Guerra Mondiale. I leader britannici erano convinti che gli Ebrei controllassero segretamente il sistema finanziario statunitense. Pensavano inoltre che gli Ebrei americani, una volta che fosse stata promessa loro una patria in Palestina, avrebbero convinto gli Stati Uniti ad entrare in guerra e a contribuire al finanziamento dello sforzo bellico. In aggiunta a queste credenze antisemite, gli Inglesi pensavano che Ebrei e i Dunmeh, o “cripto-Ebrei” i cui antenati si erano convertiti al cristianesimo ma che continuavano a praticare in segreto i rituali dell’ebraismo, controllassero il governo turco. Gli Inglesi  erano convinti che, se ai Sionisti fosse stata data una patria in Palestina, gli Ebrei e i Dunmeh si sarebbero ribellati al regime turco, che era alleato della Germania durante la guerra, e il governo turco sarebbe crollato. Gli Ebrei del mondo, secondo gli Inglesi, erano la chiave per vincere la guerra.

“Con ‘l’Ebraismo che conta’ contro di noi,” aveva messo in guardia il britannico Sir Mark Sykes, che, con il diplomatico francese François Georges-Picot aveva stilato il trattato segreto che spartiva l’Impero Ottomano tra Gran Bretagna e Francia, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di vittoria. Il Sionismo, secondo Sykes, era una potente forza sotterranea globale, “atmosferica, internazionale, cosmopolita, subconscia e non scritta, anzi, spesso neanche pronunciata.”

Le élite britanniche, incluso il Ministro degli Esteri Arthur Balfour, credevano anche che gli Ebrei non potessero essere assimilati nella società britannica e che per loro fosse meglio emigrare. E’ significativo che l’unico membro ebreo del governo del Primo Ministro David Lloyd George, Edwin Montagu, si fosse opposto con veemenza alla Dichiarazione Balfour. Aveva sostenuto che [la Dichiarazione] avrebbe incoraggiato i vari stati ad espellere i propri Ebrei. “La Palestina diventerà il ghetto del mondo,” aveva messo in guardia.

Cosa che si era puntualmente verificata dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando centinaia di migliaia di rifugiati ebrei, molti dei quali apolidi, non avevano avuto altro posto in cui andare se non in Palestina. In molti casi le loro comunità erano state distrutte durante la guerra o le loro case e le loro terre erano state confiscate. Quegli Ebrei che erano ritornati in paesi come la Polonia avevano scoperto di non avere più un posto dove vivere e spesso erano stati vittime di discriminazioni e, nel dopoguerra, di attacchi antisemiti e persino di massacri.

Le potenze europee avevano affrontato la crisi dei rifugiati ebrei inviando le vittime dell’Olocausto in Medio Oriente. Quindi, se da una parte i leader sionisti si rendevano conto che, se volevano costruirsi una patria, dovevano sradicare e allontanare gli Arabi, dall’altra erano anche profondamente consapevoli di non essere voluti nei paesi da cui erano fuggiti o da cui erano stati espulsi. I Sionisti e i loro sostenitori potevano anche pronunciare slogan come “una terra senza popolo per un popolo senza terra” riferendosi alla Palestina, ma, come ha osservato la filosofa politica Hannah Arendt, le potenze europee stavano tentando di porre rimedio ad crimine compiuto contro Ebrei in Europa commettendo un altro crimine, contro i Palestinesi. Era la ricetta per un conflitto senza fine, soprattutto perché, se gli Ebrei avessero dato ai Palestinesi sotto occupazione i pieni diritti democratici, avrebbero rischiato di perdere il controllo di Israele.

Ze’ev Jabotinsky, il padrino dell’ideologia di destra che domina Israele fin dal 1977, un’ideologia apertamente abbracciata dai Primi Ministri Menachem Begin, Yitzhak Shamir, Ariel Sharon, Ehud Olmert e Benjamin Netanyahu, aveva scritto, senza mezzi termini, nel 1923: “Nel mondo, tutte le popolazioni autoctone resistono ai coloni, purché abbiano anche una minima speranza di essere in grado di liberarsi del pericolo di essere colonizzate. Questo è ciò che stanno facendo gli Arabi in Palestina ed è ciò che continueranno a fare fintanto che rimarrà loro una solitaria scintilla di speranza di essere in grado di impedire la trasformazione della ‘Palestina’ nella ‘Terra di Israele’.”

Questo tipo di ‘onestà’ pubblica, osserva Khalidi, era raro tra i leader sionisti. La maggior parte di loro “vantava la purezza innocente dei loro obiettivi e ingannava gli ascoltatori occidentali, e forse anche loro stessi, con fiabe sulle loro intenzioni benigne verso gli abitanti arabi della Palestina.” I Sionisti, in una situazione simile a quella dei sostenitori odierni di Israele, erano consapevoli che sarebbe stato fatale riconoscere che la creazione di una patria ebraica avrebbe richiesto l’espulsione della maggioranza araba. Un’ammissione del genere avrebbe fatto perdere ai coloni la simpatia del mondo. Ma, tra di loro, i Sionisti avevano chiaramente capito che l’uso della forza armata contro la maggioranza araba era essenziale per il successo del progetto coloniale. “La colonizzazione sionista … potrà procedere e svilupparsi solo sotto la protezione di un potere indipendente dalla popolazione nativa, dietro un muro di ferro, che la popolazione nativa non possa violare,” aveva scritto Jabotinsky.

I colonizzatori ebrei sapevano di aver bisogno di un protettore imperiale per avere successo e sopravvivere. Il loro primo mecenate era stata la Gran Bretagna, che aveva inviato 100.000 uomini per reprimere la rivolta palestinese degli anni ’30 e che aveva armato e addestrato le milizie ebraiche conosciute come l’Haganah. La selvaggia repressione di quella rivolta aveva comportato esecuzioni di massa e bombardamenti aerei, con il 10% dei maschi adulti arabi uccisi, feriti, imprigionati o esiliati. Il secondo patron dei Sionisti erano diventati gli Stati Uniti, che attualmente, alcune generazioni dopo, sovvenzionano Israele con oltre 3 miliardi di dollari all’anno. Israele, nonostante millanti la propria autosufficienza, non sarebbe in grado di mantenere le proprie colonie palestinesi, se non fosse per i suoi benefattori imperiali. Questo è il motivo per cui il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni spaventa Israele. È anche il motivo per cui sostengo il movimento BDS.

I primi Sionisti avevano acquistato enormi estensioni di fertile terra palestinese e ne avevano scacciato gli abitanti autoctoni. Avevano sovvenzionato i coloni ebrei europei mandati in Palestina, dove il 94% degli abitanti erano arabi. Avevano creato organizzazioni come la Jewish Colonization Association, in seguito chiamata Palestine Jewish Colonization Association, per amministrare il progetto sionista.

Ma, come scrive Khalidi, “una volta che il colonialismo aveva iniato a puzzare, nell’era della decolonizzazione post-Seconda Guerra Mondiale, le origini e la pratica coloniale del Sionismo e di Israele erano state occultate e convenientemente dimenticate, sia in Israele che in Occidente. Infatti, il Sionismo, per vent’anni il figliastro coccolato del colonialismo britannico, si è auto-rilanciato come movimento anticolonialista.”

“Oggi, il conflitto che era nato da questa classica avventura coloniale europea del diciannovesimo secolo in una terra non europea, supportato dal 1917 in poi dal più grande potere imperiale occidentale dell’epoca, è raramente descritto in termini così crudi,” scrive Khalidi. “In effetti, coloro che analizzano non solo la creazione degli insediamenti israeliani a Gerusalemme, in Cisgiordania e nelle alture siriane occupate del Golan, ma l’intera impresa sionista secondo il punto di vista dei coloni originari vengono spesso diffamati. Molti non riescono ad accettare la contraddizione insita nell’idea che, sebbene il Sionismo sia senza dubbio riuscito a creare una fiorente entità nazionale in Israele, le sue radici sono quelle di un progetto di insediamento coloniale (come lo erano stati quelli di altri paesi moderni: gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la Nuovo Zelanda). Né possono accettare il fatto che [questo progetto] non avrebbe avuto successo se non fosse stato per il sostegno delle grandi potenze imperiali, della Gran Bretagna e, in seguito, degli Stati Uniti. Il Sionismo, quindi, potrebbe essere ed era stato, contemporaneamente, un movimento nazionale e di insediamento coloniale.”

Uno dei principi centrali del Sionismo e della colonizzazione israeliana è la negazione di un’identità palestinese autentica e indipendente. Durante il mandato britannico della Palestina, la popolazione era ufficialmente stata divisa tra Ebrei e “non Ebrei.” “Non esistevano i Palestinesi … non esistevano proprio,” aveva scherzato il Primo Ministro israeliano Golda Meir. Questa cancellazione, che richiede un notevole sforzo di amnesia storica, è ciò che il sociologo israeliano Baruch Kimmerling aveva definito il “politicidio” del popolo palestinese. Khalidi scrive: “Il modo più sicuro per sradicare il diritto di un popolo alla propria terra è negare la sua connessione storica con essa.”

La creazione dello Stato di Israele, il 15 maggio 1948, era stata ottenuta dall’Haganah e da altri gruppi ebraici attraverso la pulizia etnica dei Palestinesi e con i massacri che avevano sparso il terrore tra la popolazione palestinese. L’Haganah, addestrata e armata dagli Inglesi, aveva rapidamente assunto il controllo della maggior parte della Palestina. Aveva svuotato della popolazione araba residente Gerusalemme Ovest e città come Haifa e Jaffa, insieme a numerosi altri centri urbani e villaggi. I Palestinesi chiamano questo momento della loro storia Nakba o Catastrofe.

“Nell’estate del 1949, l’ordinamento politico palestinese era stato devastato e la maggior parte della sua società sradicata,” scrive Khalidi. “Circa l’80% della popolazione araba del territorio che, alla fine della guerra, era diventato il nuovo Stato di Israele era stata costretta a lasciare le proprie case e aveva perso terre e proprietà. Almeno 720.000 su 1,3 milioni di Palestinesi erano stati trasformati in rifugiati. Grazie a questa violenta trasformazione, Israele si era trovata a controllare il 78% del territorio dell’ex Mandato Britannico della Palestina, ed ora governa i 160.000 Arabi palestinesi che erano stati in grado di rimanere, a malapena un quinto della popolazione araba prebellica.”

Fin dal 1948, i Palestinesi hanno eroicamente dato vita ad atti di resistenza, uno dopo l’altro, scatenando rappresaglie israeliane sproporzionate e la demonizzazione dei Palestinesi come terroristi. Ma questa resistenza ha anche costretto il mondo a riconoscere la presenza dei Palestinesi, nonostante i febbrili sforzi di Israele, degli Stati Uniti e di molti regimi arabi per rimuoverli dalla coscienza storica. Le ripetute rivolte, come aveva fatto notare Said, hanno dato ai Palestinesi il diritto di raccontare la propria storia, il “permesso di narrare.”

Questo progetto coloniale ha avvelenato Israele, come avevano temuto i suoi leader più prescienti, tra cui Moshe Dayan e il Primo Ministro Yitzhak Rabin, assassinato da un estremista ebreo di destra nel 1995. Israele è uno stato di apartheid, che rivaleggia e spesso supera la ferocia e il razzismo dell’apartheid sudafricana di qualche tempo fa. La sua democrazia, da sempre esclusivamente riservata agli Ebrei, è stata sequestrata dagli estremisti, tra cui l’attuale Primo Ministro Benjamin Netanyahu, che hanno fatto approvare leggi razziali, che in passato erano sostenute esclusivamente da fanatici emarginati, come Meir Kahane. Il pubblico israeliano è infetto dal razzismo. “Morte agli Arabi” è uno slogan popolare nelle partite di calcio israeliane. Gli Ebrei mafiosi e i vigilantes, compresi i delinquenti dei gruppi giovanili di destra, come Im Tirtzu, compiono atti indiscriminati di vandalismo e di violenza contro dissidenti, Palestinesi, Arabi israeliani e gli sfortunati immigrati africani che vivono stipati nei bassifondi di Tel Aviv. Israele ha promulgato una serie di leggi discriminatorie contro i non Ebrei che assomigliano in modo sinistro alle leggi razziali di Norimberga che nella Germania nazista avevano privato gli Ebrei del diritto di voto. La Legge sull’Accettazione delle Comunità consente, esclusivamente alle città ebraiche nella regione israeliana della Galilea, di bloccare le richieste di residenza sulla base dell’“idoneità alle prospettive fondamentali della comunità.” Il compianto Uri Avnery, politico e giornalista di sinistra, aveva scritto che “l’esistenza stessa di Israele è minacciata dal fascismo.”

Negli ultimi anni, quasi 1 milione di Israeliani, molti dei quali tra i cittadini più illuminati ed istruiti di Israele, sono andati a vivere negli Stati Uniti.  All’interno di Israele, gli attivisti per i diritti umani, gli intellettuali e i giornalisti (israeliani e palestinesi) si sono ritrovati bollati come traditori in campagne diffamatorie sponsorizzate dal governo, posti sotto sorveglianza statale e sottoposti ad arresti arbitrari. Il sistema educativo israeliano, a partire dalla scuola elementare, è una macchina di indottrinamento per l’arruolamento. L’esercito israeliano scatena periodicamente massicci attacchi con le sue forze aeree, l’artiglieria e le unità meccanizzate contro 1,85 milioni di Palestinesi in gran parte indifesi, causando tra di loro migliaia di morti e di feriti. Israele gestisce il campo di detenzione di Saharonim, nel deserto del Negev, uno dei più grandi centri di detenzione al mondo, dove gli immigrati africani possono essere trattenuti per un massimo di tre anni senza processo.

Il grande studioso ebreo Yeshayahu Leibowitz, che Isaiah Berlin aveva chiamato “la coscienza di Israele,” aveva previsto il pericolo mortale che questo progetto coloniale avrebbe rappresentato per Israele. Aveva messo in guardia sul fatto che, se Israele non avesse separato chiesa e stato e posto fine al suo dominio coloniale sui Palestinesi, avrebbe dato origine ad un rabbinato corrotto che avrebbe trasformato l’ebraismo in un culto fascista. “Il nazionalismo religioso è per la religione ciò che il nazionalsocialismo era per il socialismo,” aveva affermato Leibowitz, morto nel 1994. Aveva anche previsto che la cieca venerazione per l’esercito, specialmente dopo la guerra del 1967 in cui Israele aveva occupato la Cisgiordania e Gerusalemme Est, si sarebbe tradotta nella degenerazione della società ebraica e nella morte della democrazia.

“La nostra situazione si deteriorerà, come un secondo Vietnam, si trasformerà una guerra in costante escalation senza prospettiva di risoluzione definitiva,” aveva scritto Leibowitz. Aveva previsto che “gli Arabi saranno i lavoratori e gli Ebrei gli amministratori, gli ispettori, i funzionari e gli agenti di polizia, sopratutto della polizia segreta. Uno stato che governa una popolazione ostile di 1,5- 2 milioni di stranieri deve necessariamente diventare uno stato di polizia segreta, con tutto ciò che una cosa del genere comporta per l’istruzione, la libertà di parola e le istituzioni democratiche. La corruzione caratteristica di ogni regime coloniale prevarrà anche nello Stato di Israele. L’amministrazione, da un lato dovrà sopprimere l’insurrezione araba e, dall’altro, acquisire Quisling arabi. C’è anche una buona ragione per temere che la Forza di Difesa Israeliana, che è stata finora un esercito popolare, a seguito della sua trasformazione in esercito di occupazione degeneri e i suoi comandanti, che saranno diventati governatori militari, arrivino ad assomigliare ai loro colleghi di altre nazioni.”

I Sionisti non avrebbero mai potuto colonizzare i Palestinesi senza il sostegno delle potenze imperiali occidentali, le cui motivazioni erano contaminate dall’antisemitismo. Molti Ebrei fuggiti in Israele non lo avrebbero fatto se non fosse stato per il virulento antisemitismo europeo che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale aveva contribuito all’uccisione di 6 milioni di Ebrei. Israele era tutto ciò che rimaneva a molti poveri ed apolidi sopravvissuti, derubati dei loro diritti nazionali, delle loro comunità, delle loro case e spesso della maggior parte dei loro familiari. E’ stato il tragico destino dei Palestinesi, che non avevano avuto alcun ruolo nei pogrom europei o nell’Olocausto, quello di essere sacrificati sull’altare dell’odio.

 

Chris Hedges


Fonte: truthdig.com

Link: https://www.truthdig.com/articles/the-zionist-colonization-of-palestine/

24.02.2020

 

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