Fonte: Alberto Negri

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03/06/2020

 

Il doppio standard sulla questione palestinese: Israele ha sempre ragione e gli altri torto

di Alberto Negri

 

Ci indigniamo perché la Cina vìola i diritti di Hong Kong e delle minoranze, inorridiamo per il razzismo in Usa ma per i palestinesi sotto casa nostra non alziamo un sopracciglio.
Per noi lo fa l’editoriale del “New York Times” di ieri: “L’annessione delle Valle del Giordano, sotto controllo militare israeliano, annunciata da Netanyahu, è illegale, è contro le risoluzioni dell’Onu e della convenzione di Ginevra”. Ma è quello che vogliono i nazionalisti israeliani e i sionisti: mettere le mani sulla Cisgiordania perché in base alla Bibbia appartiene a loro.
Ecco che cos’è il doppio standard nella politica internazionale, che neppure la pandemia è riuscita a scalfire: Israele ha sempre ragione e gli altri torto. Anche perché a dare ragione a Israele c’è sempre la superpotenza americana.
C’è un’aria anche di beffa amara in tutto questo. Il  premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato che il primo luglio comincerà l’annessione della Valle del Giordano. In un’intervista al quotidiano Israel HaYom, ha messo in chiaro che ai palestinesi (50-65mila) della Valle del Giordano non sarà concessa la cittadinanza israeliana. “Resteranno un’enclave palestinese” ha spiegato “Gerico non sarà annessa. Ci saranno una o due enclave. Non c’è bisogno di imporre la sovranità su di essi. Ma ci sarà un controllo di sicurezza su di loro”. 
Altro che la formula “due popoli e due stati”: c’è un solo stato che prende tutto. Un furto con scasso degli accordi internazionali corredato dal solito apartheid di stampo israeliano. I palestinesi si troveranno a vivere in bantustan minuscoli come quelli assegnati dai governi sudafricani alle etnie nere durante l’arida stagione bianca della segregazione razziale. Eccolo qui il mondo migliore annunciato dai filosofi del divano durante il lockdown. Per i palestinesi si annuncia non un mondo peggiore ma pessimo con cui Netanyahu seppellisce anche il famigerato piano di pace del genero dei Trump, Jared Kushner, che almeno prometteva, sulla carta si intende, una pioggia di soldi per i palestinesi. Adesso non solo Israele si mangia la loro terra ma non ci sono neppure i quattrini. Così Netanyahu mette in agitazione il mondo arabo, soprattutto la Giordania della dinastia hashemita dove il 700% della popolazione è palestinese.
Il quotidiano israeliano Haaretz ci informa che: 1) Con l’annessione Israele occuperà il 23% della Cisgiordania: 40mila ettari di terra palestinese privata. A Gerusalemme Est, tanto per avere un’idea, Israele ha occupato 2.500 ettari di terra palestinese costruendo 60mila unità abitative per ebrei e mille per i palestinesi.
2)Verranno annessi 12 villaggi arabi con 13.500 abitanti
3) Gerico sarà ridotta a una enclave di 43mila abitanti che non potranno uscire ed entrare senza passare da ceckpoint israeliani. 4) Ci sarà un nuovo confine tra israeliani e palestinesi con 124 miglia in più e probabilmente un nuovo Muro.
Mentre il movimento nazionale palestinese si fa sempre più diviso e impotente, Israele ha fatto notevoli sforzi per massimizzare i propri guadagni a spese dei palestinesi. Il 13 maggio la visita lampo del segretario di Stato Usa Mike Pompeo nello Stato ebraico ha confermato che il governo Netanyahu-Gantz ha il via libera per l’annessione. Turchia, Iran, Giordania e i paesi europei abbaieranno senza mordere. Quanto alle monarchie arabe del Golfo, Emirati arabi uniti e Arabia Saudita sono dalla parte degli Stati Uniti e di Israele che li rifornisce sottobanco di armi. 
Silenzio anche da parte della Russia che dal 2015 sostiene il regime di Bashar Assad, che vede il Golan occupato dal 1967 da Israele: Putin ha ricevuto in questi anni diverse volte Netanyahu al Cremlino e sono circa due milioni gli ebrei israeliani che parlano russo. E soprattutto Israele da una mano alla zar russo rilasciando dei comodi passaporti agli oligarchi russi che in questo modo possono aggirare le sanzioni imposte a Mosca dopo l’annessione della Crimea. 
E’ così che funziona il mondo dopo il lockdown. Due giorni dopo la visita di Pompeo, i ministri degli Esteri dell’Unione europea si sono incontrati a Bruxelles per definire una risposta unitaria ai piani di annessione di Israele. I leader europei, tra cui il capo della politica estera europea Josep Borrell, per settimane hanno dato segni di voler prendere una posizione dura contro Israele.
Si dice che alcune nazioni _ tra cui Francia, Irlanda, Svezia, Spagna e Belgio _ stiano spingendo per sanzioni contro Israele, segnalando la potenziale gravità dell’annessione. Altri _ Ungheria, Austria, Repubblica Ceca, Romania e Grecia _ hanno frenato ogni azione contro Israele che intanto se li è comprati. Negli ultimi anni Netanyahu ha sapientemente costruito solide relazioni con i cosiddetti paesi di Visegrad, mirando a dividere le posizioni sulla politica mediorientale dell’Unione europea, le cui decisioni devono essere prese all’unanimità.
Non sorprende che il tutto sia finito in un nulla di fatto. Non sono stati proclamati impegni o dure condanne, una conclusione che fornisce ai leader israeliani ulteriori motivi per considerare l’Europa debole e insignificante.
L’amministrazione Trump, nonostante lo smacco dell’affondamento del piano Kushner, raddoppierà il proprio sostegno ai massimalisti israeliani, in particolare con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre dove il presidente in carica, sempre più in difficoltà sul piano interno e internazionale, ha bisogno del voto degli evangelisti sostenitori del sionismo: è una questione di aritmetica elettorale. Gli Stati europei possono intraprendere azioni individuali ma è assai improbabile che un’Europa unita prenda una posizione consistente. I palestinesi contano sempre meno, sono stati lasciati al loro destino dai “fratelli” arabi, Israele ha legami sempre più stretti, anche se non ufficiali, con le monarchie del Golfo, gli europei hanno sempre più guai in Libia e nel Mediterraneo orientale dove lo stato ebraico è schierato con Cipro e la Grecia contro le mire della Turchia sulle risorse energetiche offshore.
Forse qualcuno, in un giorno lontano, ricorderà con rabbia che c’era una volta la “causa” palestinese.

 

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