Dal 15 maggio 1948 la popolazione palestinese ha subito un esodo senza precedenti, a seguito della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele (nato all’indomani della fine del mandato britannico sulla Palestina). Questo evento viene rievocato annualmente nel ricordo della “Nakba“, in arabo “catastrofe”. Gli arabi espulsi dalle proprie terre sono stati oltre 700mila. Ai discendenti viene negato ancora oggi il diritto al ritorno: circa 4.250.000 persone non possono mettere piede sulla terra dei propri padri. Ma com’era la vita nella Palestina prima della Nakba? Vi proponiamo una gallery (le cui foto sono state prese principalmente, ma non solo, da questa pagina). LEGGI ANCHE: Le bugie più diffuse sulla “questione palestinese” - Continua a leggere: https://frontierenews.it/2014/05/cartoline-dalla-palestina-prima-della-nakba/ Mondoweiss. Da Zeitun.info http://www.infopal.it/ 13/5/2020
100 anni di vergogna: l’annessione della Palestina è iniziata a Sanremo di Ramzy Baroud. Traduzione di Aldo Lotta.
Cento anni fa, i rappresentanti di poche grandi potenze si incontrarono a Sanremo, una tranquilla cittadina italiana sulla riviera ligure. Insieme, segnarono il destino dei vasti territori sottratti all’Impero ottomano in seguito alla sua sconfitta nella prima guerra mondiale.
Fu il 25 aprile 1920 che la Risoluzione della Conferenza di Sanremo venne approvata dal Consiglio Supremo degli Alleati dopo la prima guerra mondiale. Furono istituiti dei protettorati occidentali in Palestina, Siria e “Mesopotamia” – Iraq. Gli ultimi due furono teoricamente stabiliti in vista di una provvisoria autonomia, mentre la Palestina fu concessa al movimento sionista perché vi realizzasse una patria per gli ebrei. Si legge nella risoluzione: “Il Protettorato sarà responsabile dell’attuazione della dichiarazione (Balfour), redatta originariamente l’8 novembre 1917 dal governo britannico e condivisa dalle altre potenze alleate, a favore dell’istituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebreo”. La risoluzione assegnava un maggiore riconoscimento internazionale alla decisione unilaterale della Gran Bretagna, di tre anni prima, di concedere la Palestina alla federazione sionista allo scopo di stabilirvi una patria ebraica, in cambio del sostegno sionista alla Gran Bretagna durante la Grande Guerra. E, come nella Dichiarazione Balfour britannica, fu fatta sbrigativa menzione degli sfortunati abitanti della Palestina, la cui storica patria veniva ingiustamente confiscata e consegnata ai coloni. L’istituzione di quello Stato ebraico, sulla base della risoluzione di Sanremo, faceva riferimento ad un vago “accordo” secondo cui “nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle esistenti comunità non ebraiche in Palestina”. L’aggiunta di cui sopra fu semplicemente un misero tentativo di apparire politicamente equilibrati, mentre in realtà non venne mai messo in atto alcuno strumento di applicazione per garantire che l’ “accordo” fosse mai rispettato o messo in pratica. In effetti, si potrebbe sostenere che il lungo coinvolgimento dell’Occidente nella questione israelo-palestinese abbia seguito lo stesso schema della risoluzione di Sanremo: per cui al movimento sionista (e quindi a Israele) vengono salvaguardati i suoi obiettivi politici, soggetti a condizioni inapplicabili che non vengono mai rispettate o messe in pratica. Si noti come la stragrande maggioranza delle risoluzioni delle Nazioni Unite relative ai diritti dei palestinesi sia stata storicamente approvata dall’Assemblea generale, non dal Consiglio di Sicurezza, dove gli Stati Uniti sono una delle cinque grandi potenze che esercitano il diritto di veto, sempre pronti ad affossare qualsiasi tentativo di far rispettare il diritto internazionale. È questa dicotomia storica che ha portato all’attuale situazione di stallo politico. Le leadership palestinesi, una dopo l’altra, fallirono nel cambiare l’opprimente paradigma. Decenni prima dell’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese, numerose delegazioni, comprese quelle che rivendicavano la rappresentanza del popolo palestinese, percorsero l’Europa, facendo appello a un governo e all’altro, patrocinando la causa palestinese e chiedendo giustizia. Cosa è cambiato da allora? Il 20 febbraio, l’amministrazione Donald Trump ha pubblicato la propria versione della Dichiarazione Balfour, definita “Accordo del Secolo”. L’iniziativa americana che, ancora una volta, ha infranto il diritto internazionale, apre la strada per ulteriori annessioni coloniali israeliane della Palestina occupata. Minaccia sfacciatamente i palestinesi che, nel caso non collaborino, saranno severamente puniti. In realtà lo sono già stati, nel momento in cui Washington ha tagliato tutti i finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese e alle istituzioni internazionali che forniscono aiuti primari ai palestinesi. Come nella Conferenza di Sanremo, nella Dichiarazione Balfour e in numerosi altri documenti, a Israele è stato chiesto, sempre in modo educato ma senza alcuna formale imposizione di tali richieste, di concedere ai palestinesi alcuni gesti simbolici di libertà e indipendenza. Alcuni potrebbero sostenere, e giustamente, che l’Accordo del Secolo e la risoluzione della conferenza di Sanremo non sono identici nel senso che la decisione di Trump è stata unilaterale, mentre Sanremo è stato il risultato del consenso politico tra vari paesi – Gran Bretagna, Francia, Italia e altri. È vero, ma due punti importanti devono essere presi in considerazione: in primo luogo, anche la Dichiarazione Balfour è stata una decisione unilaterale. Gli alleati del Regno Unito impiegarono tre anni per accettare e condividere la decisione illegale presa da Londra di concedere la Palestina ai sionisti. La domanda ora è: quanto tempo impiegherà l’Europa a sostenere come proprio l’Accordo del Secolo? In secondo luogo, lo spirito di tutte queste dichiarazioni, promesse, risoluzioni e accordi è lo stesso, per cui le superpotenze decidono in virtù del loro enorme potere di riorganizzare i diritti storici delle nazioni. In qualche modo, il colonialismo del passato non è mai veramente morto. L’Autorità Nazionale Palestinese, come le precedenti leadership palestinesi, è trattata con la proverbiale carota e bastone. Lo scorso marzo, il genero del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Jared Kushner, ha detto ai palestinesi che se non fossero tornati ai negoziati (inesistenti) con Israele, gli Stati Uniti avrebbero sostenuto l’annessione della Cisgiordania da parte di Israele. Ormai da quasi tre decenni e, certamente, dalla firma degli accordi di Oslo nel settembre 1993, l’ANP ha scelto la carota. Ora che gli Stati Uniti hanno deciso di cambiare del tutto le regole del gioco, l’Autorità di Mahmoud Abbas sta affrontando la sua più grave minaccia esistenziale: inchinarsi a Kushner o insistere per il ritorno a un paradigma politico morto che è stato costruito, quindi abbandonato, da Washington. La crisi all’interno della leadership palestinese viene affrontata con assoluta chiarezza da parte di Israele. La nuova coalizione di governo israeliana, composta dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, in precedenza rivali, ha raggiunto un accordo provvisorio sul fatto che l’annessione di vaste aree della Cisgiordania e della Valle del Giordano sia solo una questione di tempo. Stanno semplicemente aspettando il cenno di assenso americano. È improbabile che debbano aspettare a lungo, poiché il segretario di Stato, Mike Pompeo, il 22 aprile ha affermato che l’annessione dei territori palestinesi è “una decisione israeliana”. Francamente, ha poca importanza. La Dichiarazione Balfour del 21° secolo è già stata fatta; si tratta solo di trasformarla nella nuova realtà incontestata. Forse è giunto il momento per la leadership palestinese di capire che strisciare ai piedi di coloro che hanno ereditato la Risoluzione di Sanremo, costruendo e sostenendo la colonizzazione israeliana, non è mai e non è mai stata una risposta. Forse è il momento per un serio ripensamento.
Ramzy Baroud è giornalista, scrittore e direttore di Palestine Chronicle. Il suo ultimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story (Pluto Press, Londra, 2018). Ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è uno studioso non residente presso il Centro di studi globali e internazionali di Orfalea, UCSB.
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