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martedì 23 giugno 2020

 

Europa e Italia nel vortice della crisi: parla Guido Salerno Aletta

di Andrea Muratore

 

Oggi l’Osservatorio presenta questa interessante conversazione avuta con l’economista Guido Salerno Aletta, con alle spalle una lunga carriera di studioso, attualmente editorialista per “Milano Finanza” e “Teleborsa”. Con lui discutiamo delle prospettive di ripresa dell’Unione Europea e dell’Italia dall’attuale fase di crisi.

 

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v80), quality = 85 L’attuale fase di crisi squarcia diversi veli sulle problematicità interne all’Unione Europea, dalla debolezza politica del sistema alle faglie tra Paesi del Nord e del Sud Europa. Come valuta gli sviluppi delle ultime settimane?

Guido Salerno Aletta: L’Unione europea conferma la sua natura di organizzazione plurinazionale con funzioni prevalenti di regolazione economica e monetaria (UEM), che si fonda sul Mercato interno e sulle libertà di circolazione. Anche stavolta cerca di reagire ad uno shock per evitare la disintegrazione dell’euro, lo strumento ideato per evitare le svalutazioni e garantire la neutralità della politica monetaria, ed il collasso della credibilità politica dell’Unione.

L’architettura europea è di tipo funzionalistico, sostanzialmente disciplinare, fondata su divieti pervasivi ed automatici volti ad evitare una alterazione della concorrenza sul mercato. Sono state progressivamente azzerate tutte le strumentazioni classiche della politica monetaria e fiscale: dal divieto degli aiuti di Stato alle imprese alla stabilità della moneta come obiettivo assorbente della Bce; dal divieto di finanziamento monetario degli Stati all’obbligo del pareggio dei bilanci pubblici previsto dal Fiscal Compact.

Nei momenti di crisi, questo assetto rigido tende a fratturarsi, come già si è visto in occasione della crisi del 2008. Si procede così per deroghe, di cui approfittano gli Stati più forti, accentuando le asimmetrie: le banche tedesche, austriache ed olandesi sarebbero dovute fallire per via delle perdite che avevano accumulato. Ed invece sono state salvate dai rispettivi Stati. Le banche spagnole non avevano alle spalle uno Stato altrettanto forte dal punto di vista finanziario, e si è dovuto ricorrere ad un meccanismo di salvataggio europeo. Eppure, la Spagna era considerata particolarmente virtuosa, in quanto il rapporto debito/pil era appena del 30%: ma aveva la bilancia commerciale in passivo strutturale ed un colossale debito privato bancario verso l’estero. Ma è proprio la libertà assoluta dei mercati ed il controllo maniacale solo sugli Stati che porta in Europa a queste conseguenze devastanti.

Ora stiamo misurando la reale asimmetria dell’Europa rispetto al resto del mondo: ogni intervento dei singoli Stati deve essere approvato da Bruxelles, perdendo settimane di tempo prezioso. La Bce cerca di livellare i tassi sui debiti pubblici, ma si trova i vincoli del capital key. Siamo passati vorticosamente dal dibattito sul Mes alle proposte di emettere i Pandemic Bond; dalla idea di istituire un Recovery Fund alla Next Generation Ue: mentre noi ancora discutiamo, tutti gli altri competitor hanno già adottato le misure volte ad affrontare la crisi.  

Chi sta giocando una partita molto sagace è la Germania: Angela Merkel appare più lucida del resto della leadership del Vecchio Continente. La crisi e le politiche messe in atto da Berlino ne rafforzano la centralità geoeconomica e geopolitica nel Vecchio Continente?

Guido Salerno Aletta: Berlino sta comprando tempo, in attesa di vedere che cosa succede con le elezioni americane di novembre. Se la Brexit ha avvantaggiato la Germania e la Francia, essendo venuto meno un contrappeso al loro asse, si sta comunque scardinando l’ordine geopolitico nato nel dopoguerra. Il ruolo della Germania era fondamentale, come bastione nei confronti dell’Unione Sovietica e dei Paesi del Patto di Varsavia; dopo la caduta del Muro, come baricentro del processo di agglutinamento all’Occidente dei Paesi ex-comunisti. L’involucro militare della Nato conteneva invariabilmente quello economico della Unione europea. Oggi ci sono altri Paesi, in primo luogo la Polonia, che possono sostituire la Germania nella sua funzione di antemurale verso la Russia: il preannunciato ritiro delle truppe americane è un segnale di disimpegno che oggettivamente indebolisce Berlino. Anche le scelte energetiche della Germania, che per accontentare gli ambientalisti ha abbandonato il nucleare per il gas, si stanno rivelando sbagliate: si è legata strategicamente alla Russia riducendo i suoi gradi di libertà, diversamente dalla Francia che non ha mai rinunciato all’energia atomica. 

Lei ha evidenziato il fatto che Paesi come l’Italia potrebbero ricevere meno di quanto atteso dal Recovery Fund e da misure simili. Come pensa che l’Italia abbia giocato le sue carte?

Guido Salerno Aletta: La strategia del governo italiano, auspicata e sostenuta dalle Cancellerie di Francia e Germania, consiste unicamente nel rendere irreversibili e sempre più cogenti i vincoli che ci legano a Bruxelles. Non importa quale siano gli strumenti, se di debito o di aiuto, se più o meno fortemente condizionati: dal Mes sanitario al programma SURE, dal Recovery Fund alla Next Generation UE, l’importante è precostituire un meccanismo irresolubile. È un ancoraggio preventivo contro la prospettiva di ribaltamenti elettorali in chiave sovranista, populista e statalista. Vale l’esempio della Grecia: una volta che è stato sottoscritto il MOU per gli aiuti, è impossibile revocarlo fino alla estinzione degli impegni.

Sul fronte interno al Paese, quali ritiene che siano le priorità in materia di politica economica e industriale che governo e attori protagonisti dovrebbero seguire?

 

Guido Salerno Aletta: Occorre rendere più conveniente l’attività di impresa rispetto alla rendita finanziaria. Tutto invece è congegnato per estrarre ricchezza dalla produzione a favore della finanza: si fanno più soldi, e molto più comodamente, gestendo il denaro che mandando avanti una fabbrica. Basta vedere dove si investe la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane: dappertutto, tranne che nell’economia reale. È poi sul tema del debito pubblico e della sua stabilizzazione che occorre intervenire.

La classe dirigente italiana è adatta alle sfide del presente?

Preferisco un’altra domanda

Ritiene praticabile la strada del rilancio dell’emissione di Btp come controbilanciamento delle incertezze sul Mes?

Guido Salerno Aletta: Senza dubbio, il risparmio delle famiglie italiane sarebbe in grado di assorbire gran parte del debito pubblico, stabilizzandolo. Ma la quota detenuta “direttamente” è scesa da anni a livelli infinitesimali: non è posto a tutela del risparmio, ma strumento chiave della speculazione. I depositi bancari crescono, ma sono sempre più liquidi; e così gli impieghi si dirigono sui titoli pubblici, di facile smobilizzo. Di converso, i titoli pubblici rendono alle banche assai più della remunerazione dei depositi, senza rischi.

È un tema allocativo dei portafogli, una ricomposizione complessiva che occorre affrontare in via sistematica, distinguendo il circuito bancario risparmio/credito dal sistema dei pagamenti. Senza cambiare né Iban né altro, nei depositi in conto corrente si dovrebbe distinguere, su base commerciale concordata con il cliente, quale è la quota mensile dedicata alla gestione corrente dei pagamenti da quella destinata al risparmio: su quest’ultima, in funzione della stabilità del deposito, sarebbe corrisposto un tasso di interesse. Le banche amministrerebbero direttamente nel proprio bilancio solo quest’ultima quota, trasferendo ad un proprio Istituto di moneta elettronica (IMEL) la funzione di gestione della liquidità ed i corrispondenti impieghi in titoli di Stato. Le banche vedrebbero così depurati i propri conti attivi dai titoli di Stato, che talora vengono considerati sul mercato come un incomodo fardello per via del loro rilevante ammontare. I titoli di Stato rappresenterebbero a loro volta l’impiego stabile e non speculativo del sistema interno dei pagamenti, detenuti sempre fino a scadenza. Come avviene in Giappone. 

Un altro tema rovente è quello delle tensioni geoeconomiche globali. Italia ed Europa sono pronte ad affrontare una recrudescenza della sfida Cina-Usa?

Guido Salerno Aletta: Ci adegueremo, come sempre. L’export dell’Italia verso la Cina è esiguo, assai inferiore in proporzione rispetto a quello della Germania: siamo di gran lunga importatori netti. Ma questo è comunque un vantaggio per noi, quali che siano le prospettive: se tutto volge per il meglio, potremo approfittare del clima di ritrovata distensione; se si incarognisce, i rischi di perdite saranno più limitati.

Sempre sul fronte Cina e Usa, come valuta la risposta economica e le prospettive delle due superpotenze?

Guido Salerno Aletta: Si tratta di universi che non hanno nulla in comune. La velocità con cui si licenzia la manodopera negli Usa ha pochi paragoni al mondo, così come la necessità di tenere in piedi i listini colossali di Wall Street. Il Nasdaq non solo ha recuperato un 40% di flessione, ma è già a nuovi massimi: sono le prospettive dello smart working, reso necessario durante la crisi sanitaria.

In Cina c’è un controllo sociale incisivo, l’economia dipende prevalentemente dal credito bancario, ci sono spazi enormi di ribilanciamento del risparmio dagli investimenti ai consumi interni. La Cina, anche se ha accumulato un grande vantaggio competitivo sul piano economico e tecnologico, deve ancora cominciare il percorso imperiale: è il dollaro, così come fu per la sterlina, la vera fonte del potere americano, insieme valore e misura.

L’America ha invece una enorme debolezza: ha abbandonato la Old Economy, la manifattura industriale, già dagli anni Ottanta. È stato un errore imperdonabile dal punto di vista sociale, economico ed ora sul piano strategico: ricostruire, non sarà affatto facile. Sfide epocali, per tutti. 

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