https://www.huffingtonpost.it/ 28/04/2020
Perché riaprire tutto sarebbe la catastrofe By Pietro Salvatori
A giugno 151mila persone in terapia intensiva e 430mila entro fine anno. Ecco cosa c'è nel documento del Comitato tecnico-scientifico che ha convinto Conte a una ripartenza prudente
Cosa succederebbe se l’Italia riaprisse tutto? Lavoratori in ufficio, scuole con i cancelli aperti, bar, ristoranti, contatti sociali come prima. Lo scenario sarebbe apocalittico. O almeno è quanto prevede il report del Comitato tecnico-scientifico sul quale Giuseppe Conte e tutto il governo hanno assunto le decisioni per la Fase 2. Se si tornasse alla normalità, il picco dei contagi sarebbe raggiunto l′8 giugno. Numeri mostruosi, se si considera che la previsione dei posti necessari in terapia intensiva per quella data sarebbe superiore ai 151mila, a fronte dei circa 10mila letti di cui il nostro sistema sanitario attualmente dispone. Il totale dei malati che necessiterebbero cure in reparti intensivi sforerebbe i 430mila entro la fine dell’anno.
Il tutto perché l’R0, il parametro che indica il tasso di diffusione dei contagi, schizzerebbe a 2,25 (ogni persona con Covid-19 ne contagerebbe più di due). Una cifra da tenere a costante riferimento di tutti i ragionamenti sul tema, dato che il Cts considera fondamentale il mantenimento di quel rapporto sotto l′1. Il report - che Huffpost ha visionato - prevede 92 diverse simulazioni di riaperture. Ma nelle conclusioni indica una strada ben precisa. Si legge infatti: “Il modello evidenzia come sia ipotizzabile attivare i seguenti settori Ateco a patto che vengano adottate tutte le misure di distanziamento sociale e di igiene personale ed ambientale: 1. settore manifatturiero; 2. settore edilizio; 3. settore commercio correlato alle precedenti attività e con, in fase iniziale, l’esclusione delle situazioni che generano forme di aggregazioni (es. mercati e centri commerciali); 4. trasporto locale correlato alle attività di cui ai punti 1, 2 e 3”. Esattamente la strada scelta dal governo, che ha mutuato da qui le norme inserite nell’ultimo dpcm. Una strada che secondo le previsioni prevederebbe un R0 di 0,69 (ogni persona infettata ne contagia in media meno di una), e un numero di ricoveri in terapia intensiva che dal 4 maggio è destinato a diminuire.
Scrivono infatti i tecnici: “Essendo le stime attuali di R0 comprese nel range di valori tra R0=0.5 e R0=0.7, ed essendo evidente dalle simulazioni che se R0 fosse anche di poco superiore a 1 (ad esempio nel range 1.05-1.25) l’impatto sul sistema sanitario sarebbe notevole, è evidente che lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto”. Da qui la scelta del lucchetto per le attività di bar e ristorazione, che nei modelli previsionali farebbero schizzare R0 sopra l′1 anche se fosse esclusa la fascia di popolazione over 65, che si stima essere del 47% più suscettibile al contagio. Non tanto per l’attività intrinseca, si spiega, quanto per l’aumento di contatti sociali che ne deriverebbero. E da qui anche la scelta di non far ripartire l’anno scolastico: “Riaprire le scuole - si legge - innescherebbe una nuova e rapida crescita epidemia di Covid-19. In particolare, la sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva attualmente disponibili a livello nazionale”.
L’unica scelta presa in totale autonomia dalla politica è quella ormai famigerata della possibilità di incontrare i “congiunti”, probabilmente avendo un margine di 0,3 nel mantenere il tasso di contagio sotto l′1. Una valvola di sfogo sociale che i tecnici hanno sconsigliato, prevedendo che il modello prevedesse il mantenimento di “tutte le attività in smart working e/o lavoro agile” e che le “attività di aggregazione” rimanessero interdette. Per tenere R0 inferiore a 1, il Cts ha raccomandato inoltre “il rispetto delle raccomandazioni dei sistemi di trasporto”, il “rispetto delle raccomandazioni” di carattere generale, “il mantenimento del distanziamento sociale e dell’igiene frequente delle mani e ambientale in tutte le attività”, e la raccomandazione all’uso delle mascherine per comunità in tutti i luoghi pubblici confinati o a rischio di aggregazione. Su quest’ultimo aspetto i tecnici osservano che “ci sono però delle incertezze sul valore dell’efficacia dell’uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate; oppure variabili non misurabili, es. il comportamento delle persone dopo la riapertura in termini di adesione alle norme sul distanziamento sociale ed utilizzo delle mascherine e l’efficacia delle disposizioni per ridurre la trasmissione sul trasporto pubblico. ”
E concludono: “Elementi questi che suggeriscono di adottare un approccio a passi progressivi”. Proprio la strada opzionata dal governo.
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