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09/04/2020
Solo il socialismo, come insegnano medici e infermieri cubani, mette al centro i bisogni degli uomini e la giustizia sociale
di Federico Fioranelli
Esistono delle questioni che, da insegnante di economia politica, mi trovo spesso ad affrontare ma che purtroppo non sono al centro del dibattito pubblico da tanti anni. Sono sicuro che, se venissero analizzate in particolare in situazioni delicate come quella attuale, consentirebbero all’opinione pubblica di capire che la strada che si sta percorrendo non è l’unica possibile.
Una questione centrale, che dovrebbe essere sollevata con forza soprattutto dalla sinistra di ispirazione marxista, è quella relativa al sistema economico, cioè quella relativa a cosa produrre, come produrre, quanto produrre e per chi produrre (o, in altri termini, come distribuire ciò che si è prodotto).
L’Italia ha un sistema economico capitalistico che, come tutte le tipologie di capitalismo, è caratterizzato da crisi ricorrenti, dalla tendenza a cadere in una stagnazione permanente e dal fatto che il potere economico è in mano ad un’oligarchia finanziaria, cioè ad una classe padronale, interna ed esterna al Paese, che controlla il capitale bancario e industriale.
La classe padronale dispone poi di vassalli, valvassori e valvassini: sono quelli che Kalecki definisce gli uomini d’affari e gli esperti di economia strettamente legati ai settori bancario ed industriale e Marx chiama pugilatori a pagamento.
Vi sono poi le classi subalterne, rappresentate sia dai lavoratori salariati che dagli artigiani, dai piccoli commercianti e dalle piccole-medie imprese non inseriti nel processo di globalizzazione.
Purtroppo, in Italia, dopo le conquiste della classe lavoratrice negli anni Sessanta e Settanta (a tal proposito possiamo citare la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la scuola media unificata, lo Statuto dei lavoratori, un livello di occupazione vicino al pieno impiego e la crescita dei salari) che hanno alimentato le preoccupazioni dei “padroni” al punto da portarci vicini al colpo di stato, a partire dal 1979 le classi lavoratrici e subalterne hanno subito delle sconfitte da cui devono ancora riprendersi.
Senza dimenticare eventi importanti come la sconfitta alla Fiat nel 1980 o il referendum sul taglio della scala mobile nel 1985, ci sono due momenti significativi che hanno sancito i rapporti di forza a favore della classe padronale: l’adesione dell’Italia al Sistema monetario europeo (Sme) nel 1979 e il divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro nel 1981.
L’adesione dell’Italia allo Sme, e successivamente all’Euro, è servita in primo luogo a disciplinare i lavoratori e a controllare le rivendicazioni salariali degli stessi con la minaccia che l’aumento dei salari avrebbe compromesso la competitività del Paese. Infatti, in un sistema di cambi fissi come lo Sme o l’Euro, un’eventuale aumento delle retribuzioni avrebbe prodotto inflazione e l’inflazione, non essendo possibile svalutare il cambio, avrebbe generato una perdita di competitività del Paese. Non è un caso che l’obiettivo della politica monetaria europea oggi sia proprio la lotta all’inflazione e, quindi, agli aumenti salariali.
Il divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro ha avuto invece la funzione di tagliare i salari indiretti, cioè di comprimere lo stato sociale. Il divieto da parte della Banca d’Italia di garantire il collocamento integrale dei titoli offerti dal Tesoro ha comportato la necessità di ricorrere ai mercati finanziari per finanziare il deficit dello Stato e l’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico. Da quel momento, la crescita inevitabile del debito pubblico e, successivamente, i parametri di Maastricht hanno giustificato le privatizzazioni, le liberalizzazioni, i tagli alla spesa pubblica, la precarizzazione dei rapporti di lavoro e ogni forma di macelleria sociale.
I segni della vittoria della classe padronale emergono con più forza oggi, di fronte a disuguaglianze sociali crescenti e ad un’emergenza sanitaria che mette a nudo tutti i tagli e le privatizzazioni che hanno riguardato il settore sanitario nel corso degli anni.
Attualmente le classi subalterne sono anche vittime di forze politiche reazionarie che, in modo codardo e vile, hanno conquistato l’egemonia e alimentato la guerra tra poveri attraverso la creazione di nemici facili come gli immigrati.
Cosa deve fare, allora, in una situazione di questo tipo, una sinistra di ispirazione marxista?
In primo luogo, non deve lasciare la questione dell’uscita dall’Euro in mano alle destre reazionarie. Deve dimostrare, in ogni sede, che l’Euro è nato dalla convergenza degli interessi delle élite nazionali e delle élite europee. Non ci dimentichiamo che esso ha aumentato i divari economici tra Paesi (tra la Germania, i suoi satelliti e i Paesi periferici) e tra le classi sociali all’interno di tutti i Paesi che ne fanno parte.
Tuttavia l’uscita dall’Euro rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente.
Così, in secondo luogo, venendo anche a quanto detto prima, una sinistra di classe deve mettere al centro del dibattito pubblico la questione relativa alla messa in discussione del sistema economico capitalistico e contemporaneamente gridare con forza che la soluzione è rappresentata da un sistema economico socialista.
Deve far emergere continuamente le contraddizioni del capitalismo e dimostrare che un sistema economico gerarchico, basato sul profitto e sulle disuguaglianze non è il migliore possibile.
Un sistema socialista, invece, come insegnano anche i medici e gli infermieri cubani venuti a dare il loro contributo in Italia, promuove valori legati all’uguaglianza e alla solidarietà tra i popoli, si pone come obiettivi il soddisfacimento dei bisogni degli uomini, la piena occupazione e la giustizia sociale e, certamente, non opera continuamente tagli alla sanità e all’istruzione pubblica.