https://www.huffingtonpost.it/ 29/03/2020
Per rilanciare l’Europa Draghi cita Roosevelt di Gianluca Giansante Socio Comin & Partners e docente LUISS Guido Carli
L’articolo di Mario Draghi sul Financial Times ha scatenato una larga mole di commenti rispetto a un suo possibile coinvolgimento alla guida del Governo italiano, da tanti auspicato e invocato, da altri temuto o respinto. Dal punto di vista economico il messaggio di Mario Draghi ha tracciato una linea chiara, sottolineando con forza la necessità di un intervento pubblico per far fronte alla crisi economica che segue all’emergenza sanitaria. Di questo si è ampiamente discusso nei giorni scorsi.
È interessante invece osservare il suo intervento da una diversa angolatura, di cui si è parlato meno. Analizzando i messaggi politici contenuti nel suo articolo scopriamo come contiene alcuni passaggi chiave, che ricordano da vicino uno dei più importanti discorsi di Franklin Delano Roosevelt, quello del suo insediamento alla Casa Bianca nel 1933.
La situazione all’epoca mostrava elementi di difficoltà economica estremi, assolutamente non paragonabili a quelli che stiamo vivendo. È difficile oggi ricostruire l’atmosfera che si respirava. L’industria era paralizzata, un quarto della forza lavoro era disoccupata e anche chi lavorava lo faceva per poche ore o per un salario molto ridotto. Le famiglie avevano perso le loro case, le aziende, le fattorie. I fondi per l’assistenza sociale dei comuni e degli stati erano finiti. Le strade erano piene di persone affamate.
Il momento più basso arrivò quando chiusero le banche. Nei primi anni della crisi alcune banche erano già fallite, portandosi via i risparmi e le speranze di milioni di americani. Ma nell’inverno del 1933 iniziarono a diffondersi voci del tracollo di tutto il sistema bancario. Le persone nei paesi e nelle città corsero a ritirare i loro risparmi. Purtroppo, però, gli istituti non avevano sufficiente liquidità a disposizione e non sapevamo come far fronte alle richieste dei correntisti. La situazione era fuori controllo. Alcuni governatori avevano ordinato la chiusura delle banche nei loro stati causando proteste e disordini. Il clima era rovente.
L’ingresso alla Casa Bianca di Franklin Delano Roosevelt non poteva avvenire in un momento peggiore. Ad aiutarlo c’era solo la sua determinazione e l’ottimismo che era capace di ispirare a chi lo incontrava, quel senso di sicurezza nel futuro che lo aveva fatto eleggere alla presidenza in un momento così duro per la vita del paese. Vediamo quindi come i due discorsi, in situazioni, lo ripetiamo, molto diverse fra loro, mostrino alcuni elementi di somiglianza. Innanzitutto, entrambi sottolineano un primo messaggio chiave: “Non è colpa vostra”.
Draghi lo dice in modo chiaro: “La perdita di reddito non è colpa delle persone che ne stanno soffrendo”. Le sue parole echeggiano quelle di Roosevelt. Il presidente aveva capito che in quella situazione gli americani avevano bisogno di sentire che la situazione di povertà che stavano vivendo non era colpa loro: “Il popolo degli Stati Uniti non ha fallito”. In quel modo rassicurava i cittadini, gli diceva che non dovevano colpevolizzarsi, che potevano farcela. Il primo messaggio è collegato al secondo: non ci mancano le risorse, ce la possiamo fare. Draghi lo esprime in modo chiaro: “Sotto alcuni aspetti, l’Europa è ben equipaggiata per far fronte a questo shock straordinario”. Su questo punto anche Roosevelt si esprime in modo preciso, con il suo caratteristico linguaggio visuale: “La nostra difficoltà non deriva da una mancanza di risorse […] La natura ci offre la sua abbondanza e gli sforzi umani l’hanno moltiplicata. C’è molto alle nostre porte”. Le persone hanno tutte le qualità per farcela, le risorse ci sono. I due messaggi preparano il terzo: bisogna agire subito. Leggiamo le parole di Draghi: “Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”. Nell’affermarlo l’ex governatore della Bce fa un esplicito riferimento alla Grande Depressione, che Roosevelt affrontò negli Stati Uniti e che anche nel Vecchio Continente fece sentire i suoi effetti:
“La memoria delle sofferenze degli europei negli anni Venti è un avvertimento sufficiente” Anche Roosevelt usa il termine, “esitazione”, ma in modo diverso: “Con questo impegno, assumo senza esitazione la leadership di questo grande esercito di persone dedicato a un disciplinato attacco ai nostri problemi comuni”. In questa frase e in tutto il discorso emerge la necessità di un’azione rapida e unitaria. È evidente che si tratta di due circostanze molto diverse, di due discorsi altrettanto diversi e di due leader in posizioni che non potrebbero essere più differenti. Roosevelt era il presidente chiamato a risolvere quella situazione di crisi. Era un leader politico che scelse di avviare un filo diretto con gli americani. Sapeva che solo con la loro fiducia sarebbero terminata la corsa al ritiro del denaro dalle banche e si sarebbero poste le basi per far ripartire il paese. Il suo discorso era molto chiaro, ricco di metafore e di termini concreti, caratteristiche che lo rendevano comprensibile a tutti. Draghi è stato un autorevole esponente delle istituzioni bancarie europee – e prima ancora di quelle italiane – gode ancora oggi di un ruolo di leadership che si poggia sulla sua autorevolezza ma non ha un ruolo politico e probabilmente non aspira ad averne. Parla quindi con un lessico adeguato al suo posizionamento, su un autorevole quotidiano rivolto agli stakeholder a cui intende rivolgersi, la comunità delle istituzioni politiche e finanziarie europee.
Ma al di là di queste grandi differenze i messaggi politici dei due discorsi hanno profondi elementi in comune, una profonda fiducia nel paese e nei cittadini e un profondo senso di responsabilità attribuito a chi riveste ruolo istituzionali. Nel caso di Roosevelt questo atteggiamento ebbe un ruolo chiave per accompagnare il suo intervento sull’economia e stimolare l’uscita del paese dalla crisi. Ci auguriamo che la leadership di Draghi e quella di tutti i governi europei e delle istituzioni comunitarie possano fare altrettanto
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