Fonte: la cruna dell'ago
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09/02/2020
La guerra civile è dentro l’euro, non fuori
di Cesare Sacchetti
“Siamo vicini al punto di rottura sociale e non solo in Francia”. E’ l’allarme lanciato dall’economista e accademico francese Jean-Paul Fitoussi nella sua ultima intervista rilasciata all’AGI.
Fitoussi si profonde in un’analisi dettagliata del sistema pensionistico della Francia e rileva come la riforma proposta dall’attuale esecutivo rischi di ampliare notevolmente le disuguaglianze sociali.
Il sistema francese difatti è fondato dal secondo dopoguerra in poi sul principio dei regimi speciali che prevede una differenziazione dell’età pensionabile calcolata in base alla professione svolta dai lavoratori.
Viene da sempre considerato uno dei principi cardine del welfare pubblico francese che ha garantito maggiore protezione in particolare alle categorie dei lavori più usuranti.
La sua rimozione completa, rileva Fitoussi, è stata senz’altro il fattore scatenante delle proteste che stanno esplodendo in Francia da una settimana a questa parte.
Ma la vera ragione della riforma varata da Macron, come rileva lo stesso economista francese, risiede nel nuovo corso di Parigi di adeguamento progressivo alle regole europee.
In altre parole, Macron è stato eletto con una missione precisa, ovvero quella di somministrare al popolo francese l’amaro calice delle riforme strutturali.
La Francia difatti ha vissuto fino ad ora in una sorta di limbo che l’ha messa al riparo dalle procedure d’infrazione della Commissione europea per deficit eccessivo.
Se si guarda al rapporto deficit/PIL della Francia degli ultimi 10 anni, si noterà come il Paese abbia violato ben 8 volte su 10 la famigerata regola del 3%.
Nonostante Parigi sia incorsa in una flagrante e ripetuta violazione dei parametri di Maastricht, Bruxelles si è guardata bene dall’aprire una procedura d’infrazione contro di essa.
L’appartenenza della Francia all’asse franco-tedesco che governa l’Unione europea l’ha messa al riparo da qualsiasi sanzione della Commissione.
Tutto questo non è altro che la sostanziale e ripetuta conferma che esiste un doppio binario di applicazione delle regole europee; uno privilegiato costituito dall’asse franco-tedesco al quale vengono concesse ripetute deroghe al rispetto dei trattati; un altro invece gerarchicamente inferiore dove si ascrive l’Italia alla quale non vien concesso nessuno spazio di deroga.
L’elezione di Macron tuttavia è servita proprio a rimettere in discussione la struttura dell’economia francese.
L’euro come mezzo per abbassare i salari
Nel gioco della moneta unica, vige sostanzialmente una regola.
Gli Stati che dispongono dell’euro non possono più operare alcuna svalutazione del cambio dal momento che hanno ceduto la loro sovranità monetaria.
Per restare competitivi sui mercati internazionali non resta pertanto che svalutare l’unico altro elemento a disposizione, ovvero i salari.
Per percorrere questa strada è richiesta l’applicazione delle riforme strutturali che Bruxelles ha imposto in prima battuta alla Grecia dal 2010 in poi, e all’Italia con l’avvento del governo Monti nel 2012.
Le riforme strutturali non sono altro che la demolizione dello Stato sociale in ogni sua derivazione e quindi inevitabilmente portano ad un aumento della disoccupazione e ad una compressione dei salari.
In questo contesto, va da sè che ogni aumento della spesa pubblica viene stigmatizzato dal momento che comporterebbe un aumento di ricchezza a favore dei cittadini, ma allo stesso tempo un probabile aumento delle importazioni e un conseguente disallineamento della bilancia commerciale dei Paesi dell’eurozona.
Un disallineamento che non può essere compensato con una svalutazione valutaria, dal momento che come è stato accennato prima, nessuno in questo sistema può svalutare la moneta, semplicemente perchè non ce l’ha.
L’euro in questo modo si rivela perfettamente funzionale agli scopi delle élite finanziarie internazionali e riveste il ruolo di strumento di disciplina dei diritti della classe lavoratrice.
La moneta unica non si rivela altro quindi che un brutale metodo di distribuzione delle risorse in favore del grande capitale transnazionale.
Lo stesso Fitoussi, constata come l’attuale architettura europea non possa non portare a una compressione costante dei diritti sociali e ad una esplosione di violenza delle classi medio – basse schiacciate dal rigore della moneta unica.
L’Europa quindi è ad un passo “dal punto di rottura sociale” e non ce la sta portando il sovranismo o la sovranità monetaria, ma la moneta unica.
L’euro che avrebbe dovuto garantire pace e prosperità, secondo la retorica eurista, si rivela in realtà la più grande minaccia alla pace dei popoli europei.
Le turbolenze e le catastrofi che vengono paventate dai media in caso di un abbandono della moneta unica stanno avvenendo dentro di essa, non fuori.
Il continente europeo è ad un passo da una tremenda guerra civile che non avverrà perchè gli Stati hanno deciso di lasciare l’euro. Avverrà perchè gli Stati hanno deciso di restarci dentro.