https://www.doppiozero.com/ 17 Aprile 2020
Il passo d’addio di Luis Sepúlveda di Giuseppe Mendicino
“Io difendo il ritmo umano: il tempo preciso, né più né meno, che serve per fare le cose per bene. Per pensare, per riflettere, per non dimenticare chi siamo”.
Non era più un mondo per lui, neppure se fosse sopravvissuto al coronavirus: Luis Sepúlveda, scrittore, viaggiatore, ambientalista, ribelle per giusta causa, uomo perennemente in fuga, è morto ieri a Oviedo, in Spagna. Era nato a Ovalle in Cile, nel 1949. Le figure di riferimento dell’infanzia e dell’adolescenza sono il nonno paterno, Gerardo, e uno zio, entrambi anarchici libertari e gran lettori. Luis cresce sfogliando libri che ne segnano per sempre idee e sentimenti: Herman Melville, Joseph Conrad, Miguel de Cervantes, e anche Emilio Salgari.
Come tanti altri ragazzi degli anni Sessanta si appassiona alla politica, alla speranza di cambiare il mondo, alla scrittura di racconti, al teatro. Progressista e libertario per carattere e cultura, non si lascia incantare dalle ideologie, finendo più volte per farsi espellere dalle formazioni politiche cui aderisce. Di idee socialiste, diviene membro della guardia personale di Salvador Allende. Arrestato subito dopo il golpe, Sepúlveda subisce sette mesi di violenze e di prigionia in una cella dove non c’è spazio né per sdraiarsi né per stare in piedi. Viene liberato grazie alle pressioni di Amnesty international ma ricomincia subito a far sentire la sua protesta, specie nell’attività teatrale. Nuovamente arrestato, stavolta viene sottoposto a processo e condannato all’ergastolo, una pena poi commutata in otto anni di esilio. In tutto passa due anni e mezzo della sua vita nelle carceri cilene, senza mai cedere allo sconforto, dedicandosi anzi, negli ultimi mesi, a studiare la lingua e la letteratura tedesca, Sepúlveda ha 28 anni, dovrebbe raggiungere la Svezia in aereo per insegnare spagnolo, ma al primo scalo, Buenos Aires, decide di fuggire, prima in Brasile, poi in Paraguay e infine in Ecuador, dove partecipa a una spedizione dell’UNESCO tra gli indios, gli Shuar, che cercano di sopravvivere e di difendere il loro mondo dall’invadenza dei bianchi, che disboscano e distruggono.
Nel 1978 giunge in Nicaragua e si unisce ai sandinisti, che stanno combattendo per liberare il Paese dalla dittatura di Anastasio Somoza. Dopo la fine del conflitto, Sepúlveda decide di dedicarsi a tempo pieno al giornalismo: si trasferisce in Europa, ad Amburgo, realizzando reportage dall’Africa e dal Sud America. Decide poi di trasferirsi in Francia e di aderire all’organizzazione ecologista Greenpeace, lavorando per buona parte degli anni Ottanta sia nelle loro navi sia nell’attività di coordinamento.
Il primo romanzo di successo è proprio legato a quell’esperienza, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, pubblicato nel 1989. È la storia di Antonio José Bolívar, un vecchio ferito dalla vita, che vive a ridosso della foresta amazzonica ecuadoregna e passa il tempo leggendo storie d’amore e d’avventura. Il libro racconta il suo incarico di guida in una spedizione che ha il compito di eliminare un tigrillo reso feroce dall’uccisione dei suoi piccoli da parte di cacciatori bianchi.
Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrive invece baleniere-fabbriche che arpionano balene e trasformano i pontili in mattatoi, inseguimenti nel mare tra le nebbie dell'Antartide, ecologisti contro pescatori giapponesi. Il libro prende spunto dalla sua esperienza a bordo delle navi di Greenpeace. Lo stile di Sepúlveda è quello chiaro ed essenziale di un cantastorie, apparentemente semplice ma in realtà molto attento a evitare ripetizioni di temi e di parole e a svolgere i racconti seguendo tempi e ritmi leggeri e ben cadenzati, quasi musicali.
Sono invece forti le passioni e gli ideali che affiorano dalle sue storie, lo scrittore sceglie da che parte stare e lo chiede implicitamente ai suoi lettori. Se il potenziale lettore ama la libertà e la giustizia, se conserva un barlume di speranza di cambiare il mondo, leggerà con piacere i suoi libri; se predilige innovazioni stilistiche o lo affascinano le ambiguità etiche, lasci perdere. Per Sepúlveda la letteratura non può essere neutrale, non deve proporre modelli morali ma ha una profonda responsabilità etica: ha il dovere della verità e del coraggio civile.
Patagonia express, del 1995, è un diario di viaggio in Patagonia e nella Terra del Fuoco: racconti, riflessioni e incontri che si intersecano tra gli ampi paesaggi del profondo Sud. Il protagonista, Luis, si trova a dialogare con Bruce Chatwin, l’autore di In Patagonia, uno dei più bei libri di viaggio mai scritti, e con i fantasmi di due banditi gentiluomini, Butch Cassidy e Sundance Kid, personaggi anch’essi cari a sognatori e ribelli. Non ci sono più i cattivi di un tempo, adesso il nemico principale è la brama consumistica che distrugge il nostro pianeta, il clima e l’aria, la fauna e la flora, un antichissimo ecosistema che rischia di autodistruggersi in pochi decenni.
Il lungo viaggio termina a casa di Francisco Coloane, grande viaggiatore e romanziere cileno, cantore di quella parte del mondo e ispiratore di Chatwin e dello stesso Sepúlveda: “Fu baleniere, esploratore in Antartico, istruttore di marinai, pecoraio nella Terra del Fuoco, ed è uno dei naviganti che sono passati più volte davanti agli scogli mortali che circondano Capo Horn. Lessi i suoi formidabili libri di racconti e i suoi romanzi quando ero bambino, e dalla loro lettura nacque il desiderio di viaggiare, di essere una specie di nomade”.
Negli anni Novanta la guerra fredda e la battaglia delle ideologie ha lasciato il posto a un dominio incontrollato di oligarchie finanziarie e multinazionali che si scontrano e si alleano senza rispondere ad alcuno. Sepúlveda si impegna con passione nella difesa dell’ambiente; comprende che, se la conoscenza e la sensibilità verso i problemi del pianeta sono più diffuse che in passato, gli avversari sono però molto più forti, avidi e senza scrupoli. In quegli anni pubblica due romanzi, Un nome da torero e Diario di un killer sentimentale, e i 24 racconti di Incontro d’amore in un paese in guerra, storie sudamericane di anarchici, banditi, marinai, ricercati politici in fuga, tra legami di amicizia e di amore, voglia di libertà e speranze di fuga.
Ma il successo internazionale arriva con una favola, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (1996). Sepúlveda racconta la storia della gabbiana Kengah, rimasta impastata di bitume dopo un tuffo nel Mare del Nord alla ricerca di cibo. Riesce a spiccare un ultimo volo e a raggiungere Amburgo, dove cade stremata. Prima di morire chiede a un grosso gatto nero, di nome Zorba, di aver cura del suo uovo, implorandolo e facendosi promettere di far crescere il piccolo e di insegnargli a volare. Nella vicenda trovano posto l’inquinamento ambientale, il valore della responsabilità e delle promesse, la solidarietà e l'aiuto tra diversi. La morale della favola è che con il coraggio e con l'amore si possono superare difficoltà apparentemente insormontabili, si può "imparare a volare". Una favola certo, ma imparare a sognare da piccoli può aiutare a non divenire cinici da grandi.
Dopo vari racconti e un romanzo, L'ombra di quel che eravamo, dedicati a storie di appassionate avventure civili e umane, Sepúlveda ritorna alle favole con Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico (2012), Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (2013), Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa (2018).
Le favole non lo distolgono dall’impegno civile e politico. Nel 1998 il generale Pinochet viene finalmente arrestato a Londra su mandato internazionale. Il mandato di arresto era stato emesso dal giudice spagnolo Baltasar Garzón per crimini contro l'umanità, inclusi 94 casi di tortura contro cittadini spagnoli. Inizia una lunga battaglia legale. Sepúlveda scrive articoli e rilascia discorsi (raccolti nel 2003 col titolo Il generale e il giudice). Una battaglia che Sepúlveda non vincerà, nel 2000 l’Inghilterra nega l’estradizione motivando quel no con le difficili condizioni di salute di Pinochet. In Storie ribelli, del 2017 racconta ancora le passioni di libertà e di giustizia che da sempre gli stanno a cuore, facendo parlare i fatti, come nei precedenti Incontro d’amore in un paese in guerra del 1997 e L'ombra di quel che eravamo del 2009. Memorabile il racconto che apre la raccolta, 11 settembre 1973: E Johnny prese il fucile, dedicato al più giovane degli uomini della guardia di Allende, Oscar Reinaldo Lagos Rios, che quel giorno restò fino all’ultimo accanto al presidente.
Quest’uomo, che è riuscito a fuggire dalla prigionia, dall’orrore della dittatura, dall’apatia etica e civile di tanta parte del mondo intellettuale, non è riuscito a sfuggire a una malattia invisibile che sta devastando il mondo, contro la quale poco possono fare il coraggio e la passione individuali. “L’ultima tappa devi correrla solo” scrisse una volta Primo Levi, e anche Luis Sepúlveda se ne è andato da solo, in un letto di ospedale, ma qualcosa di lui resterà per sempre in chi ha amato le sue storie e le sue favole, e quell’irrefrenabile desiderio di fuga e di libertà.
|