Fonte: Andrea Zhok
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20 Gennaio 2020
Il complottismo come forma contemporanea del realismo
di Andrea Zhok
Ricordo come un tempo, guardando la filmografia americana che passava alla TV, notavo con curiosità la diffusa presenza di ‘teorie del complotto’. l loro protagonisti qualche volta venivano derisi, qualche volta acclamati come eroi. Ma sembrava comunque un tratto specifico della cultura americana, che, abbinandosi ad un altro tratto tipico della storia americana, cioè la diffidenza nei confronti dello Stato, si presentava come qualcosa di specifico e non trasferibile.
Quella valutazione era un errore.
In effetti, la diffusione di uno sguardo ondeggiante ai confini di una ‘teoria del complotto’ è divenuta oggi una precondizione, paradossalmente necessaria, per ottenere uno sguardo realistico sulla politica mondiale contemporanea. E’ naturalmente una forma mentis assai rischiosa, in cui la possibilità di cadere in atteggiamenti paranoidi è sempre latente.
La necessità di questo atteggiamento di sistematico sospetto deriva da una riflessione fredda, e strettamente razionale, sui funzionamenti di base della politica internazionale contemporanea.
La situazione è caratterizzabile sommariamente attraverso cinque considerazioni:
1) La diffusa presenza di democrazie, o comunque di sistemi in cui la popolazione vota, rende cruciale per qualunque attore politico di rilievo di curarsi attentamente dell’opinione pubblica, di influenzarla quando possibile, di definirne l’agenda delle priorità.
2) L’opinione pubblica contemporanea è formata prevalentemente da organismi mediatici la cui implementazione è estremamente costosa, ed è dunque controllabile solo da esigue minoranze.
3) Proprio il fatto che gli apparati mediatici (nel senso più esteso del termine) siano tendenzialmente assai costosi implica che chi è nelle condizioni per manipolarli appartenga a ceti che hanno di norma specifici interessi comuni. Con l’eccezione di eventuali emittenti di stato, di eventuali stati non governati da portavoce del capitale, nella stragrande maggioranza dei casi i ‘produttori di informazione’ appartengono a gruppi che, al netto di altre differenze, hanno interessi comuni nel prendersi cura dei profitti di capitale.
4) Sul piano tecnologico per moltissime notizie, soprattutto quelle che riguardano nazioni distanti, eventi di portata geopolitica, scontri armati, ecc. bisogna passare attraverso le forche caudine di apparati satellitari ed installazioni militari. Tali informazioni sono, anche tecnicamente, infinitamente manipolabili: si può letteralmente costruire ciò che si vuole sia sul piano dell’immagine che (più importante ancora) su quello del contesto in cui sarebbe stata presa l’immagine, contesto che è noto solo a chi fornisce l’immagine stessa (nel caso in cui la fornisca, e non si limiti a dire di averla).
5) A parte la falsificabilità nel senso più diretto, esiste poi una seconda necessaria forma di falsificazione diffusa, che concerne la selezione delle notizie. Per ogni evento di ogni genere esistono continue istanziazioni nel mondo. L’operazione selettiva che si impone ad ogni ‘produttore di informazione’ è perciò drastico. Rispetto ai milioni di eventi, all’infinità di circostanze variegate e contesti intriganti, si deve ogni giorno operare una selezione di qualche decina di voci. E naturalmente solo le voci che avranno spazio e di norma anche qualche enfasi) verranno a costituire una base per la discussione pubblica. Chiaramente una tale parzializzazione (necessaria) della verità segue criteri di scelta che sono di per sé definitori del tipo di verità che l’opinione pubblica andrà ad incontrare. Classi di notizie reiterate definiranno l’agenda. Eventi omessi o ‘riportati per dovere di cronaca’ rimarranno ai margini. La realtà nel suo complesso farà capolino solo come scusa per confermare tesi preesistenti.
Ora, nei romanzi polizieschi, quando si cercano indizi di un delitto si cerca di determinare se c’è il movente, se c’è la possibilità concreta di commettere il misfatto, e se sia disponibile l’arma del delitto.
Qui moventi, capacità e mezzi materiali sono chiarissimi.
Il correttivo immaginato dai teorici liberali è radicalmente inadeguato.
Tale correttivo sarebbe rappresentato dalla pluralità di interessi contrapposti tra i vari agenti informativi, ma tale pluralità è largamente illusoria.
Essa è illusoria in termini di interessi economici coinvolti (che competono solo su questioni di piccolo cabotaggio, mentre sono essenzialmente legate alla difesa dell’autoriproduzione del capitale).
Ed è illusoria quanto ad impatto degli attori internazionali coinvolti. Gli USA hanno una capacità di influenza e controllo diretto ed indiretto incomparabilmente superiore ad ogni altro attore sulla scena internazionale, e dove una voce ‘accreditata’ (USA e amici) confligge con una non accreditata (resto del mondo) la seconda appare semplicemente come folclore.
In questo contesto le possibilità aperte sono tre.
Ci sono quelli che, nutriti a filmografia hollywoodiana, predecidono nel foro interiore che le versioni mainstream (approvate o approvabili dalle linee di interesse ‘filooccidentali’, cioè filoamericane) sono comunque comparativamente più credibili.
Ci sono poi quelli che, o per bastian contrario antiamericano o perché risiedenti in paesi con un forte apparato mediatico diversamente orientato (Cina, Russia, Iran, ecc.) tenderanno a dare per default maggiore credito a qualunque cosa smentisca le tesi mainstream.
Infine, a quelli che cercano, con i poveri mezzi a disposizione, qualche scampolo di verità non resta che l’adozione di una sistematica politica del sospetto, cui si applica sistematicamente la domanda ‘cui prodest?’, a chi giova?
Ma è sin troppo evidente che sotto queste condizioni il massimo di richiesta di verità confini necessariamente, e in un equilibrio sempre precario, con il massimo di disponibilità a credere a versioni alternative, nascoste allo sguardo.
Massima razionalità e rischio di paranoia danzano perciò pericolosamente su un confine impervio.