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11 marzo 2020

 

Contagio
di Giorgio Agamben

 

L’untore! dagli! dagli! dagli all’untore!
Alessandro Manzoni, I promessi sposi

Una delle conseguenze più disumane del panico che si cerca con ogni mezzo di diffondere in Italia in occasione della cosiddetta epidemia del corona virus è nella stessa idea di contagio, che è alla base delle eccezionali misure di emergenza adottate dal governo. L’idea, che era estranea alla medicina ippocratica, ha il suo primo inconsapevole precursore durante le pestilenze che fra il 1500 e il 1600 devastano alcune città italiane. Si tratta della figura dell’untore, immortalata da Manzoni tanto nel suo romanzo che nel saggio sulla Storia della colonna infame. Una “grida” milanese per la peste del 1576 li descrive in questo modo, invitando i cittadini a denunciarli:

«Essendo venuto a notizia del governatore che alcune persone con fioco zelo di carità e per mettere terrore e spavento al popolo ed agli abitatori di questa città di Milano, e per eccitarli a qualche tumulto, vanno ungendo con onti, che dicono pestiferi e contagiosi, le porte e i catenacci delle case e le cantonate delle contrade di detta città e altri luoghi dello Stato, sotto pretesto di portare la peste al privato ed al pubblico, dal che risultano molti inconvenienti, e non poca alterazione tra le genti, maggiormente a quei che facilmente si persuadono a credere tali cose, si fa intendere per parte sua a ciascuna persona di qual si voglia qualità, stato, grado e conditione, che nel termine di quaranta giorni metterà in chiaro la persona o persone ch'hanno favorito, aiutato, o saputo di tale insolenza, se gli daranno cinquecento scuti…» 

Fatte le debite differenze, le recenti disposizioni (prese dal governo con dei decreti che ci piacerebbe sperare – ma è un’illusione – che non fossero confermati dal parlamento in leggi nei termini previsti) trasformano di fatto ogni individuo in un potenziale untore, esattamente come quelle sul terrorismo consideravano di fatto e di diritto ogni cittadino come un terrorista in potenza. L’analogia è così chiara che il potenziale untore che non si attiene alle prescrizioni è punito con la prigione. Particolarmente invisa è la figura del portatore sano o precoce, che contagia una molteplicità di individui senza che ci si possa difendere da lui, come ci si poteva difendere dall’untore.

Ancora più tristi delle limitazioni delle libertà implicite nelle disposizioni è, a mio avviso, la degenerazione dei rapporti fra gli uomini che esse possono produrre. L’altro uomo, chiunque egli sia, anche una persona cara, non dev’essere né avvicinato né toccato e occorre anzi mettere fra noi e lui una distanza che secondo alcuni è di un metro, ma secondo gli ultimi suggerimenti dei cosiddetti esperti dovrebbe essere di 4,5 metri (interessanti quei cinquanta centimetri!). Il nostro prossimo è stato abolito. È possibile, data l’inconsistenza etica dei nostri governanti, che queste disposizioni siano dettate in chi le ha prese dalla stessa paura che esse intendono provocare, ma è difficile non pensare che la situazione che esse creano è esattamente quella che chi ci governa ha più volte cercato di realizzare: che si chiudano una buona volta le università e le scuole e si facciano lezioni solo on line, che si smetta di riunirsi e di parlare per ragioni politiche o culturali e ci si scambino soltanto messaggi digitali, che ovunque è possibile le macchine sostituiscano ogni contatto – ogni contagio – fra gli esseri umani.

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