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18 Febbraio 2020
«RIACE, MUSICA PER L’UMANITÀ»
stralci di Vittorio Agnoletto, Alex Zanotelli, Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Moni Ovadia
Vittorio Agnoletto – Introduzione
Il diritto a emigrare è antico
come la storia dell’umanità
Huc pauci vestris adnavimus oris. Quod genus hoc hominum? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Si genus humanum et mortalia temnitis arma, at sperate Deos memores fandi atque nefandi.
«In pochi a nuoto arrivammo alle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro? Che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia; che ci dichiara guerra e ci vieta di fermarci sulla vicina terra. Se non credete nel genere umano e nella fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli Dei, memori del giusto e dell’ingiusto».
Questi versi di Virgilio, contenuti nell’Eneide (Libro I, 538-543), risalenti a oltre duemila anni fa restituiscono, meglio di qualunque altro ragionamento, l’evidenza di quanto sia profonda, nella storia dell’umanità, la consapevolezza del diritto all’emigrazione.
La sua negazione suscita scandalo, turbamento e colloca, già allora, i responsabili di tali atti fuori da quello che era ritenuto, dal massimo poeta dell’antica Roma, il mondo civile. D’altra parte ancor prima, la stessa mitologia greca, ad esempio attraverso la figura d’Ulisse, celebrava il viaggio, l’attraversata dei mari allora conosciuti, il diritto a espatriare, ad approdare in terre straniere abitate da altre popolazioni.
Il diritto ad emigrare, il diritto alla libertà di movimento oltre qualunque confine, è antico come la storia dell’umanità; non a caso è stato riaffermato con forza il 10 dicembre del 1948, nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che nell’articolo 13 recita:
“1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Per poi proseguire con l’articolo 14: “1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni…”.
Nel 1966 la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici ribadisce tale diritto nell’art. 12 comma 2: “Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”.
Principi ripresi dalla Costituzione italiana all’art. 35, dove afferma che la Repubblica: “Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”.
Il riferimento al lavoro non è certo casuale; la ricerca di un’occupazione in grado di garantire il proprio mantenimento e quello di tutta la famiglia è la ragione prima che da sempre spinge ad abbandonare la propria terra, innescando fenomeni collettivi destinati a produrre profondi cambiamenti sociali.
I grandi sommovimenti operai, ad esempio, si sono sempre intrecciati, nell’epoca moderna, con i flussi migratori nazionali o internazionali.
[…]
Il diritto a emigrare, afferma il giurista Luigi Ferrajoli, dovrebbe diventare un nuovo principio costituente nell’architettura istituzionale a livello mondiale.
Nella situazione storico-politica che stiamo vivendo, segnata da un crescente egoismo sociale e personale, da un razzismo manifestato con orgoglio e dalla repentina cancellazione dei principi della convivenza collettiva che avevamo considerato conquistati una volta per tutte dopo la barbarie nazifascista, l’esperienza di Riace ci appare giustamente straordinaria e straordinario ci appare l’uomo, che più di ogni altro ne incarna la storia, il sindaco Mimmo Lucano.
Eppure quel paese di duemila anime non ha fatto altro che scrivere una nuova pagina di un antico racconto che affonda le radici in tutta la storia dell’umanità.
Per questo tutti noi gli siamo grati, enormemente grati.
Alex Zanotelli
Per un’utopia possibile
Ho gioito quando ICAN ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per il suo impegno contro le armi nucleari.
[…]
Penso sia significativo legare il Premio Nobel dato a ICAN per la campagna contro le armi nucleari e la campagna per dare il Premio Nobel a Domenico Lucano, sindaco di Riace, il paese dell’accoglienza.
L’umanità ha oggi davanti a sé due gravi minacce: la bomba atomica e il rifiuto dell’altro. Di fatto una guerra nucleare potrebbe mettere la parola fine all’umanità. Ma altrettanto le politiche di non accoglienza praticate dagli USA, dall’Australia, dall’Europa, dall’Italia porteranno gli uomini a sbranarsi vicendevolmente. Mentre l’abolizione delle armi nucleari e una nuova politica di accoglienza, come è stata fatta a Riace, permetterebbero all’umanità di rifiorire.
Per me è chiaro che il primo passo è quello dell’abolizione delle armi nucleari, perché servono a proteggere privilegi. Questa connessione l’aveva espressa così bene l’allora arcivescovo di Seattle (USA) Raymond Hunthausen:
La propaganda e un certo modo di vivere ci hanno vestiti di morte. Abbandonare il nostro controllo sulla distruzione globale ci dà l’impressione di rischiare tutto, ed è rischiare tutto, ma in una direzione opposta a quella in cui attualmente rischiamo tutto. Le armi nucleari proteggono i privilegi e lo sfruttamento. Rinunciare a esse significherebbe che dobbiamo abbandonare il nostro potere economico sugli altri popoli. La pace e la giustizia procedono insieme. Sulla strada che seguiamo attualmente, la nostra politica economica verso gli altri Paesi ha bisogno delle armi nucleari. Abbandonare queste armi significherebbe abbandonare qualcosa di più che i nostri strumenti di terrore globale; significherebbe abbandonare le ragioni di tale terrore: il nostro posto privilegiato in questo mondo.
Le armi atomiche servono a proteggere un sistema mondiale ingiusto che forza 3 miliardi di persone a vivere con due dollari al giorno e 821 milioni a patire la fame. Per cui gli impoveriti sono costretti a migrare.
Le migrazioni oggi non sono un’emergenza, sono strutturali a questo sistema. Il dramma è che il mondo ricco non vuole accogliere i migranti. Invece il sindaco di Riace, Domenico Lucano, ha accolto nel suo Comune, sulle colline della Calabria, i migranti, facendo rinascere così questo paese semiabbandonato. Lucano ha fatto rivivere Riace, mescolando calabresi e migranti che lavorano insieme, diventando un simbolo per l’Italia e l’Europa. È solo accogliendo le vittime di questo sistema mondiale ingiusto che la vecchia Europa può rifiorire. Riace ha dimostrato che un’umanità al plurale è possibile.
Per questo mi auguro che la campagna per il Premio Nobel per la Pace a Lucano abbia successo e che Riace diventi un esempio per tutti, dimostrando che le migrazioni non sono un problema, ma una risorsa per far rivivere questa vecchia Europa.
Fabrizio Cracolici e Laura Tussi
Lettera alla nostra
comune umanità
Sviluppiamo empatia e solidarietà, abbracciamoci per unirci nella responsabilità comune di curare la Madre Terra
Caro sentimento di umanità, ci siamo proprio persi di vista, in quale baratro ti abbiamo relegato?
Quanta sadica ingiustizia, oggi, permea il nostro rapporto con la vita e per la vita dell’intero pianeta.
Prima di tutto ti chiediamo scusa per non essere stati capaci di ascoltarti, dato che di segnali di sofferenza ce ne stai dando molti.
Dov’è finita la voglia di contribuire alla realizzazione di un mondo giusto, equo e solidale?
La storia ci ha trasmesso dei valori che, però, sono stati relegati troppo spesso in un cassetto chiuso a chiave con doppia mandata, quel cassetto che oggi dovremmo riaprire e chiamare “memoria storica”.
In momenti difficili popoli interi si sono opposti a dittature e a guerre, facendolo in nome della pace e di un rinnovato patto con te, “umanità”, che a gran voce hai chiesto pietà per le terribili condizioni degli oppressi.
L’esperienza orribile delle due guerre mondiali ci ha dato i mezzi per non ripetere mai più questi orrori, ma noi, massa manipolata, e ci verrebbe voglia di dire disumanizzata, siamo riusciti a relegare questi enormi progressi chiamati costituzioni democratiche, antifasciste, pacifiste, nel dimenticatoio, senza mai veramente applicarle.
Mai più guerre! è un urlo straziante che anche dopo queste catastrofiche esperienze rimane parola gettata al vento.
[…]
Si sta giocando con la vita di esseri umani che l’Occidente tratta come invasori, quando i veri invasori siamo noi, con i nostri eserciti, i nostri capitali, le nostre merci.
Il “cattivismo” di chi dileggia i presunti “buonisti” dilaga continuamente come metodo di distrazione di massa: chi detiene il potere così si garantisce nuovo e rinnovato controllo sulle popolazioni, scagliando contro gli ultimi del mondo i penultimi.
Questa lettera allo stesso tempo vuole essere anche un atto di fiducia e di ringraziamento per tutti coloro che fanno della lotta all’ingiustizia e della ricerca della verità il proprio lume di vita.
Queste donne e questi uomini di buona volontà sono molti e rappresentano per tutte le nazioni un segnale di mutamento, una luce che può portare fuori da quel tunnel di odio e di violenza che dall’origine dell’umanità contrappone fratello a fratello.
Siamo i vostri fratelli figli di queste colline. Ci fu chiesta la vita. Avevamo poco di più, ma la demmo lo stesso perché voi poteste continuare a sperare in un mondo più umano. Non offriteci solo preghiere, ma la rabbia feroce contro chiunque voglia mettere di nuovo l’uomo contro l’uomo – Monumento ai caduti di Moresco (Fermo).
Che il grido dello spirito di compassione umana sia ascoltato! Mai più ingiustizie e mai più guerre!
Che l’uomo si liberi dalla schiavitù dello sfruttamento e dall’oppressione del potere, lavoriamo per vivere con dignità e non per morire!
La follia dell’uomo imprigionato anche mentalmente nelle strutture dell’ingiustizia e della violenza si trasformi in un rinnovato patto di solidarietà con tutto ciò che è vita e che dà la vita.
I nostri Padri della Pace hanno dedicato la loro esistenza per questo grande salto di civilizzazione dell’umanità e noi oggi siamo chiamati a rinnovarlo in nome loro e della comune umanità.
Un abbraccio che accoglie…Vogliamo la pace tra gli uomini e la pace con la Terra.
[…]
Un abbraccio che accoglie perché amo il mio prossimo come me stesso.
Un abbraccio che accoglie perché la vita mi ha dato tanto.
Un abbraccio che accoglie perché non voglio essere solo.
Un abbraccio che accoglie perché voglio restare umano.
Un abbraccio che accoglie perché negli occhi dei miei fratelli trovo e incontro la Pace.
Un abbraccio che accoglie perché nella solitudine sono certo che troverò sempre una mano aperta pronta ad aiutarmi.
Un abbraccio che accoglie perché amo profondamente l’umanità.
Un abbraccio che accoglie perché in tempi difficili molti mi hanno abbracciato sacrificando la loro vita in nome della Pace.
Un abbraccio che accoglie perché nessuno debba soffrire per causa mia.
Un abbraccio che accoglie perché il seme della vita cresca senza veleni e senza odio.
Un abbraccio che accoglie perché fratello Sole e sorella Luna nutrono la mia esistenza.
Un abbraccio che accoglie perché il vento soffia ancora.
Moni Ovadia
Mentsch
Nella lingua yiddish esiste un termine, mentsch, non traducibile in altre lingue con una sola parola.
Mentsch indica un vero essere umano, ma cosa si intende con questa espressione? Ci si vuole riferire a una persona che riconosce nei propri simili una priorità della vita e, per questa ragione, non concepisce neppure che essi vengano discriminati.
Mimmo Lucano è prima di tutto, soprattutto un mentsch. È un giusto che arriva a sfidare la legalità se essa si pone a servizio dell’ingiustizia. La difesa della legalità viene spesso surrettiziamente invocata dai retori del potere al fine di limitare la forza intrinseca della giustizia. Costoro non fanno altro che invocare istericamente le regole, il rispetto delle regole, ma sfregiano sistematicamente i grandi principi che fondano e legittimano il senso di qualsiasi civiltà democratica. Fra questi il più sbranato è il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Questo enunciato dovrebbe essere per ogni cittadino democratico il mantra di una fede laica e secolare che abbia al centro l’umanità in quanto tale prima di ogni successiva connotazione. Mimmo Lucano pratica questo mantra come un irrinunciabile strumento di relazione e di amministrazione di una comunità, per questo è riuscito a creare un’integrazione giusta eticamente e funzionalmente. È riuscito a creare un capolavoro di giustizia, mostrando che un altro mondo è possibile hic et nunc. Questo è il motivo per il quale un governo, che accetta la versione artatamente securitaria del razzismo, si è scatenato contro di lui con la consapevolezza che, se si fosse lasciato prosperare il “modello Riace” senza cercare di infangarlo, molti totem della cultura xenofoba, che si nutre aizzando l’odio per l’altro, sarebbero caduti sprofondando nel liquame di fogna che li ha eretti.
[…]
Gli uomini come Lucano sono il raggio di luce che fende le nebbie della sottocultura del disprezzo e dell’odio il cui esito ultimo è quello di condurre l’Italia nel marasma del discredito e dell’infamia.
«RIACE MUSICA PER L’UMANITÀ»
Con una intervista a Mimmo Lucano
A cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Contributi di Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti, Moni Ovadia, Gianmarco Pisa, Mimmo Lucano, Marino Severini, Daniele Biacchessi, Gianfranco D’Adda con Renato Franchi, Agnese Ginocchio, Alfonso Navarra
Bibliografia e approfondimenti
Illustrazioni di Mauro Biani e Giulio Peranzoni
Mimesis editoreGiulio Peranzoni