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3 giugno 2019

 

I rapporti transatlantici e il dominio del dollaro

di Giuseppe Gagliano

 

Non è inconsueto che ex sostenitori dell’Alleanza atlantica come Sergio Romano o Fabio Mini abbiano assunto nei suoi confronti un atteggiamento critico analogo, per certi versi, a quello che fu sostenuto dai gollisti francesi degli Anni Cinquanta.


A tale proposito le riflessioni di Romano apparse sulla rubrica l’Ago della bilancia del Corriere della Sera dal titolo L’Europa non può tollerare che il dollaro governi il mondo appaiono quanto mai rilevanti e significative. Come sottolinea Romano, dopo l’avvento dell’euro la Commissione europea espresse la speranza che la banca europea degli investimenti avrebbe favorito la nascita di una nuova zona monetaria. Ma i risultati furono di scarso rilievo poiché gli Stati Uniti utilizzavano il dollaro non solo come valuta di riferimento ma come strumento per imporre la propria politica. Nonostante l’alternativa prospettata da De Gaulle nel 1958 ,alternativa che si concretizzò nel proporre il ritorno all’oro, gli alleati europei rigettarono con sdegno questa proposta temendo che rappresentasse una minaccia per l’integrità dell’alleanza atlantica. Ebbene,nonostante la guerra fredda si sia conclusa e il dollaro non sia più legato all’oro, la politica economica americana detta le linee guida della politica economica europea nonostante la crisi dei derivati abbia certamente dimostrato la pericolosa spregiudicatezza della finanza americana e nonostante la politica estera di Trump sia una politica imprevedibile e che sta determinando una instabilità internazionale rilevante. L’Unione Europea, per dimostrare di essere una potenza a livello economico e per competere alla pari con gli Stati Uniti, non può tollerare l’esistenza di un sistema monetario internazionale governato da un solo paese, e cioè dagli Stati Uniti ,ma al contrario dovrebbe porre in essere una politica economica conforme al suo interesse complessivo e alla sua legittima proiezione di potenza. Non sarà certo ispirandosi alle riflessioni del pacifismo irenico laico e religioso che un tale obiettivo sarà perseguibile. I nostri riferimenti, sotto il profilo storico-culturale e sotto il profilo della prassi politica ,non possono che essere i classici del realismo politico e della riflessione strategica.

 

L’Europa non può tollerare che il dollaro governi il mondo

Sergio Romano – Corriere della Sera, 1 giugno 2019

Occorre un breve riepilogo. Quando denunciò l’accordo che il suo predecessore aveva firmato con l’Iran sulle sperimentazioni nucleari della Repubblica islamica, Donald Trump non si limitò a interrompere qualsiasi rapporto economico con Teheran. Volle che anche i Paesi europei adottassero la stessa linea e minacciò sanzioni economiche contro chiunque avesse disobbedito.


La Francia, la Germania e il Regno Unito cercarono di aggirare le sanzioni creando una cassa di compensazione a cui le aziende europee avrebbero potuto attingere per incassare le somme di cui erano creditrici. Ma il sistema (il suo nome è Instex) funziona soltanto per transazioni modeste mentre le aziende attive nei mercati internazionali non possono permettersi di sfidare gli Stati Uniti. Come ha scritto Wolfgang Münchau sul Financial Times del 27 maggio, perderebbero la grande clientela americana e non potrebbero più contare sui finanziamenti di banche che operano nel mercato dei capitali.

 

Dopo l’avvento dell’euro, la Commissione di Bruxelles sperò che la Banca Europea degli Investimenti, fondata nel 1957 per finanziare operazioni utili ai fini politici dell’Unione (allora si chiamava Cee), avrebbe favorito la nascita di una nuova zona monetaria. Ma i risultati, per ora, sono stati poco rilevanti. Finché la maggiore valuta di riferimento sarà il dollaro, gli Stati Uniti potranno governare la finanza internazionale e il presidente americano potrà valersi di questo privilegio per imporre la propria politica.

Il generale De Gaulle ne era consapevole. Dopo il suo ritorno al potere nel 1958, sollecitato da un brillante consigliere economico finanziario (Jacques Rueff), propose il ritorno all’oro e dette ordine alla Banca centrale francese di acquistarne considerevoli quantità. Ma agli alleati europei dell’America il progetto gollista sembrò una minaccia per la coesione dell’Alleanza Atlantica in anni in cui la Guerra fredda giustificava, agli occhi di molti, la leadership americana.

 

Oggi la situazione è alquanto diversa. La Guerra fredda è finita. Il dollaro, dal 1971, non è più ancorato all’oro ed è quindi una moneta nazionale. La grande crisi dei derivati, nel 2008, ha rivelato la pericolosa spregiudicatezza della finanza americana. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha reso la politica estera degli Stati Uniti avventurosa e imprevedibile. Non so se il ritorno all’oro sia possibile. In un libro pubblicato dalle Edizioni del Mulino nel 2009 («La veduta corta»), Tommaso Padoa Schioppa ha risposto alla domanda del suo intervistatore dicendo che l’oro «era ormai un oggetto della vanità umana». Ma questo non autorizza l’Unione Europea a tollerare che il sistema monetario internazionale sia governato da un solo Paese. Fra gli obiettivi che la Ue dovrebbe proporsi nei prossimi anni vi è quello di una politica valutaria corrispondente ai suoi interessi e alle sue ambizioni.

 

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