http://contropiano.org/ 25 Settembre 2019
Bolsonaro all’ONU: dopo il disastro politico ed economico anche quello diplomatico! di Achille Lollo
Rispettando la tradizione delle Nazioni Unite, il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, è stato invitato ad aprire la 74ª Assemblea Generale con un discorso che sarà ricordato come il peggiore intervento proferito nelle Nazioni Unite. Un discorso, arrogante e provocatorio, che i principali giornali statunitensi ed europei hanno criticato, ampliando la perdita di credibilità di questo presidente e, soprattutto, accelerando la caduta dell’immagine politica del Brasile.
Thomas Traumann, il noto editorialista della rivista brasiliana VEJA – portabandiera del conservatorismo – ha così riassunto il discorso:” …Bolsonaro ha parlato durante 31 minuti nel principale forum di discussione internazionale come se stesse facendo un comizio in una fiera agricola. Ha attaccato la Francia e la Germania che sono i paesi che maggiormente investono nel Brasile. Per poi, addirittura, mentire affermando che non c’è deforestazione nell’Amazzonia!…Peggio di così non poteva andare!” La retorica elettorale e l’assurda arroganza di Bolsonaro hanno ottenuto una reazione negativa nell’Assemblea dell’ONU, per questo i corrispondenti del New York Times, del Le Figaro, del Guardian e del El Pais, nei loro articoli hanno sbugiardato il presidente brasiliano denunciando, in particolare, le offese proferite nei confronti del lider del movimento indigeno, Raoni Metuktire (1). In questo modo, Bolsonaro ha avvalorato le denunce del lider indigeno Raoni Metuktire, secondo cui dopo l’elezione di Bolsonaro è stato messo in cantiere un progetto “top-secret” che prevede ridurre con gli incendi e con il taglio incontrollato delle foreste lo spazio preservato dell’Amazzonia. Un progetto che coinvolge il clan dei Bolsonaro, gli ufficiali dello Stato Maggiore, i latifondisti allevatori di bovini e i coltivatori di soia, le imprese sudcoreane esportatrici di legno pregiato e le multinazionali minerarie. Accuse che ottennero una conferma palpabile nel mese di luglio, quando i latifondiari inscenarono il “Dia do Fogo” (Giorno del Fuoco), sviluppando incendi in molte regioni dell’Amazzonia che l’IPEA (Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale) registrò e divulgò a livello internazionale. Per questo motivo il presidente Bolsonaro ha licenziato in tronco il direttore generale dell’IPEA, Ricardo Galvão. Comunque la critica più veemente è stata fatta dall’ex-ministro e riconosciuto diplomatico brasiliano, Rubens Ricupero, secondo cui: “….Dopo quest’intervento nell’Assemblea Generale dell’ONU, il Brasile è diventato il villano globale, che comincia a far paura alle imprese che, invece, vorrebbero fare investimenti in Brasile. Come diplomatico devo dire che il discorso di Bolsonaro è stata un’aula di antidiplomazia, scontrandosi con molti settori sociali del Brasile e del mondo intero. E’ un individuo che non ha limiti. Ha ottaccato l’ONU, nonostante l’ONU lo aveva invitato per inaugurare la 74a Assemblea Generale delle Nazioni Unite!...” Tutti immaginavano che il discorso di Bolsonaro, scritto dal figlio Eduardo e dal vicepresidente, generale Augusto Helleno, pur seguendo la linea politica tracciata da Donald Trump, avrebbe cercato di minimizzare gli attriti politici e diplomatici esistenti, provocati dal presidente Bolsonaro con intempestivi e infantili dichiarazioni veicolate poi nelle reti. Anche il poderoso giornale “O Globo” e gli editorialisti della “TV Globo”, nelle loro edizioni di lunedì, avevano preannunciato il “reencontro” (rincontro) con i rappresentanti delle principali nazioni europee e un nuovo posizionamento sul dramma dell’Amazzonia. Argomenti che, inizialmente il 13 settembre, il ministro degli Esteri, Ernesto Araújo e poi il 22 e il 23 settembre, il figlio prediletto del presidente, deputato Eduardo Bolsonaro (indicato dal padre per essere il futuro ambasciatore del Brasile negli Stati Uniti), incontravano Steve Bannon a New York, per definire i temi che Bolsonaro avrebbe toccato nella 74a Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Perché il clima distensivo che quasi tutti i massmedia governisti annunciavano è cambiato in appena dodici ore? Chi ha promosso il ritorno a temi da campagna elettorale? Perché Bolsonaro ha aperto il suo discorso insultando Cuba e il Venezuela accusandoli di voler instaurare dittaature socialiste in America latina come in passato? In realtà nessuno ha capito perché Bolsonaro abbia cercato di infangare la storia del ”Forum de São Paulo”, affermando che Fidel Castro, Hugo Chavez e Lula avrebbero manipolato questo evento per diffondere il socialismo in America Latina. Certo che per la destra fascitoide brasiliana, alimentata dalle fake news divulgate dalla rete organizzata dal Clan Bolsonaro e dalle dichiarazioni mirabolanti del “teorico fascista” (ed anche consulente della CIA), Olavo de Carvalho, il tono arrogante e provocatorio del presidente Bolsonaro sarebbe servito per controbilanciare la notevole perdita di simpatie da parte dell’elettorato, cercando di mascherare le prime crepe all’interno del fronte politico che sostiene il governo del presidente Bolsonaro. Infatti, il 20 settembre, dopo l’uccisione di una bambina di otto anni, Agatha Félix, da parte dei gruppi speciali della Polizia, durante un rastrellamento nel popolare quartiere (Complexo do Alemão) di Rio de Janeiro, l’immagine politica del governo e soprattutto quella del presidente Bolsonaro hanno registrato i minimi storici con 15% nei sindaggi. L’inspiegabile assassinio di Agatha Félix ha rimesso in discussione le promesse elettorali di Bolsonaro, l’attuale politica economica del governo e le conseguenti misure repressive della polizia che stanno martirizzando le “favelas” con autentiche “battute di caccia”, dove il ruolo della polizia si confonde con quello dei paramilitari “Las Milicias” (3), che combattono i gruppi di narcotrafficanti per controllare il milionario traffico di stupefacenti (cocaina, crack e maruyana). 51 milioni di precari Dopo nove mesi di governo “bolsonarista”, l’economia è praticamente ferma registrando un generale retrocesso, anche nei settori di punta dell’agro-bussines, vale a dire l’esportazione di carne bovina e quella di pollami, di soia di cereali. Particolarmente acuta è invece la crisi nel settore industriale che può diventare un incubo per la maggior parte delle piccole e medie imprese, poiché se il rallentamento dell’economia mondiale è un elemento determinante dell’attuale crisi, il motivo che, invece, ne accellera le sue proporzioni nel Brasile è la caduta degli ordini da parte dei tradizionali importatori argentini, cileni, equadoriani e soprattutto i venezuelani. Quest’ultimi, che rappresentavano circa il 33% delle esportazioni dei prodotti industriali e 18% delle esportazioni di agroalimentari brasiliane, già nel 2018, a causa delle sanzioni “umanitarie” imposte dal presidente statunidense, Donald Trump, comprano solo il minimo indispensabile, anche perché il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, eseguendo l’ordine di Trump, ha ordinato alle banche pubbliche di cancellare tutte le facilitazioni finanziarie che anteriormente erano concesse ai contratti con gli importatori venezuelani. Nello stesso tempo la cancellazione di tutti i programmi di assistenza sociale, la sospensione “sine die” dei progetti per lo sviluppo dell’edilizia popolare, dell’agricoltura familiare, dell’elettrificazione rurale e di tutte le iniziative legate all’ambiente, hanno, in pratica, paralizzato l’economia d’intere cittadine, soprattutto nelle province agricole degli stati del Nordest. Un contesto che si aggraverà nei prossimi sei mesi, quando saranno finalmente implementate le nuovi leggi sulle pensioni, sui salari, sulle relazioni capitale-lavoro e, soprattutto, dopo la privatizzazione delle grandi imprese e banche pubbliche, “tutte”, in favore di multinazionali e banche statunitensi. Infatti sarebbe interessante sapere perché le grandi imprese italiani presenti in Brasile – alcune delle quali hanno appoggiato la candidatura di Bolsonaro – non sono state invitate a partecipare nei consorzi che dovranno impadronirsi di banche, istituti di assicurazioni, industrie energetiche (distribuzione e produzione di energia elettrica, gas metano e petrolio), infrastrutture e servizi pubblici (treni, metropolitane, autostrade, porti, ospedali, università, centri di ricerca). Oggi 51 milioni di brasiliani – in maggioranza quei giovani tra i 18 e i 30 anni che erano stati contrattati grazie ai programmi in favore dell’industria lanciati dai governi del PT – per non essere definitivamente tagliati fuori accettano di lavorare anche per alcuni giorni a settimana! Una situazione che sta mettendo a nudo tutte le promesse che Jair Bolsnaro fece nella campagna elettorale. Promesse che i media e i pastori delle chiese evangeliche manipolarono perfettamente per captare il voto della classe media e, soprattutto, di tutti quei settori popolari che erano stati beneficiati dai programmi sociali e di sviluppo economico dei governi del PT. Oggi l’esercito dei disoccupati è salito fino al 12,6% della popolazione attiva. A questi si deve sommare un’altra 5,8% di ex-lavoratori dell’industria che, ormai, hanno rinunciato a cercare un contratto di lavoro, accontentandosi di sopravvivere con i miseri guadagni del lavoro nero. Per questo motivo anche gli scioperi sono diminuiti, passando da 815 del 2018 a 510 del 2019. Infatti, soprattutto nelle piccole e nelle medie fabbriche, esiste un clima di “salvasi chi può”, con gli impresari che licenziano o impongono nuovi ritmi e orari di lavoro accorciati per pagare salari sempre più bassi, mentre i sindacati si limitano a negoziare solo clausole economiche, senza affrontare i grandi problemi delle nuove relazioni capitale-lavoro determinate dalla politica del nuovo governo. Di conseguenza i sindacati non riescono più a mobilizzare le differenti categorie di lavoratori per manifestare contro il governo, perché ormai la maggior parte dei lavoratori non ha più fiducia nella cosiddetta “burocrazia sindacale”, che ormai controlla e dirige la maggior parte dei sindacati. Un contesto che è risultato evidente alcuni mesi fa, quando il movimento sindacale non riusci a mettere in piedi un sciopero generale, dopo che il giornale Interceptor rivelò le falsità del giudice istruttore Sergio Moro (oggi Ministro della Giustizia) e della Polizia Federale, utilizzate per imprigionare Lula con la falsa accusa di corruzione. Una condanna che ha impedito a Lula, candidato del PT (Partito dei Lavoratori) di partecipare nel 2018 alle elezioni presidenziali, dove i sondaggi gli assicuravano a vittoria con il 71%. L’ultima stella del ministro dell’economia, il “Chicago Boys” Paulo Guedes è la cosiddetta “Nova Previdencia” (Nuovo Sistema di Pensioni), che è stato approvato dalla Camera dei Deputati dopo che governo e i media avevano divulgato una serie di dati e di previsioni che, solo adesso, risultano essere una autentica truffa. Infatti, il “Centro Studi di Congiuntura e Politica Economica” dell’Istituto di Economia della famosa università brasiliana UNICAMP, dopo aver analizzato tutti i documenti, le analisi e le proiezioni ha rigettato il nuovo progetto di legge dichiarando alla rivista Carta Capital :”…Si tratta di una proposta di legge elaborata da professionisti, con cui il governo è riuscito a ingannare tutti, i deputati, i senatori, gli impresari e soprattutto i lavoratori. Il progetto chiamato “Nuova Previdenza” è una falsità completa. E’ un edificio che si regge su proiezioni finanziarie che non hanno un minimo di consistenza e per di più è una riforma costruita con dati manipolati per giustificare gli obbiettivi di austerità e privatizzanti del Ministero dell’Economia“. Lo stesso segretario della Previdenza, Rogério Marinho, come pure il professore di economia dell’Università di BerLeley, Pedro Paulo Zahlutt Bastos confermano che la riforma pensionistica del ministro dell’Economia, Paulo Guedes è un’autentica truffa! ” Totale Subordinazione agli USA” Questo è quanto si legge nell’accordo che il presidente Jair Bolsonaro e i suoi ministri militari hanno sottoscritto offrendo agli USA la base di lanciamento missilistica di Alcantara rinunciando anche alla sovranità brasiliana sulla stessa. In questo modo la base di Alcantara è diventata “Made in USA”, e adesso, solo le autorità della NASA (e della CIA), possono amministrare il vasto territorio della base, potendo proibire l’entrata a qualsiasi brasiliano che non sia stato autorizzato dalla NASA. Ricordo che il Brasile è un grande produttore di satelliti di telecomunicazioni che sono lanciati con missili cinesi. Per ridurre i costi e sviluppare i progetti missilistici tanto cari ai militari brasiliani, il primo governo Lula fece un accordo di cooperazione con l’Ucraina, che però venne meno subito dopo il colpo di stato. In fatti gli uomini della CIA che promossero la rivolta di Maidan, istruirono il governo golpista ucraino a ritardare l’implementazione dei progetti di cooperazione missilistica con il Brasile. Questo perché il Pentagono è sempre stato contrario all sviluppo dell’industria missilistica in Brasile. E’ evidente che con la Base di Alcantara totalmente controllata dagli USA, la NASA potrà inviare nello spazio anche i satelliti specializzati nello spionaggio. A questo proposito il deputato del PT, Carlos zarattini, dopo aver consultato fonti militari ha dichiarato: “…In realtà con l’anesso dell’accordo, detto Salvaguradia per la Tecnologia in Uso, il Brasile non potrà fare nessun tipo di ispezione nella base durante i lanci dei missili. Per cui se la NASA porterà un satellite per spiare quello che succede in Venezuela noi non lo sapremo mai. Infatti con questo accordo il Brasile è usato per servire come punta di lancia della geopolitica statunitense!...”. Con la denuncia politica sono uscite fuori anche quelle per “corruzione” e “falso ideologico”. Infatti oltre a un non ben identificato valore di milioni dollari, già negoziati dagli USA con i rappresentanti della Commissione Esteri della Camera dei Deputati (presieduta da uno dei figli del presidente Bolsonaro), il deputato del PT, Arlindo Chinaglia, ha scoperto che esistono due testi dell’accordo. Uno pubblico, ma semplificato per ottenere l’approvazione del Parlamento, mentre l’altro, completo di tutte le clausole di subordinazione geo-strategiche, firmato dal solo Presidente Bolsonaro, è rimasto “Top-Secret”. Per non essere smentito publicamente dagli ufficiali dello Stato Maggiore e, soprattutto per silenziare il “nazionalismo” dei comandanti delle regioni militari, il Presidente Jair Bolsonaro ha, immediatamente, firmato un decreto per aumentare, in maniera succulenta, gl stipendi degli ufficiali che stanno nei posti di comando. Nello stesso tempo il Pentagono per dorare la pillola della “Totale Subordinazione” ha invitato il generale brasiliano Alcides Valeriano de Faria Junior, ad integrare la direzione del Comando Sud delle forze armate statunitensi! Il dramma politico di questo governo e soprattutto del bolsonarismo è la manifesta volontà di provocare il collapso del regime parlamentare e dell’economia per poter imporre una soluzione autoritaria, simile a una dittatura in cui il nazionalismo dei militari sarebbe manipolato per difendere gli interessi dei nuovi padroni del Brasile, vale a dire le multinazionali statunitensi ed il Pentagono.
NOTE 1— Raoni Metuktire è il capo riconosciuto (cacique in brasiliano), del popolo indigeno amazzonico Caiapò. 2 — Rubens Recupero, è stato assessore per le questioni internazionali dei presidenti Tancredo Neves (1984/85) e José sarney (1985/87). Rappresentante del Brasile negli organismi dell’ONU a Ginevra (1987/1991). Ambasciatore negli Stati Uniti (1991/1993). Ministro dell’Ambiente e dell’Amazzonia, nel governo di Itamar Franco (1993/1994) e infine nel governo di Fernando Henrique Cardoso, Ministro del Tesoro nel 1994 con l’adozione del Piano Reale. 3— Las Milicias (Le Milizie), furono create alla fine del 1995 da poliziotti per realizzare nelle “favelas” missioni punitive, quando qualche poliziotto era ferito o morto. Per questo alcuni impresari e alcuni politici della destra cominciarono ad appoggiare il progetto. In breve Las Milicias – soprattutto nello stato di Rio de Janeiro – si sono trasformate in autentici gruppi armati paramilitari, che come le AUC colombiane, disputano con i narcotrafficanti il controllo delle “favelas” per arricchirsi con il traffico di stupefacenti e altre attività illegali.
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