Fonte: http://www.mightyearth.org/ https://comedonchisciotte.org/ 5 Novembre 2019
Le multinazionali dietro gli incendi in Amazzonia di Glenn Hurowitz, Mat Jacobson, Etelle Higonnet, and Lucia von Reusner Scelto e tradotto da Piero Rivoira
Gli incendi che dall’inizio dell’estate stanno devastando il bacino del Rio delle Amazzoni, oscurando il cielo da San Paolo in Brasile a Santa Cruz in Bolivia, hanno scosso le coscienze in tutto il mondo. Gran parte della responsabilità dei roghi è stata giustamente attribuita al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, accusato di incoraggiare direttamente l’incendio delle foreste allo scopo di impadronirsi delle terre dei popoli indigeni.
Tuttavia il maggior incentivo alla distruzione della selva amazzonica proviene da marchi globali come Stop & Shop, Costco, McDonald’s, Walmart/Asda, e Sysco, e dai loro fornitori JBS e Cargill, multinazionali che operano nel settore della carne bovina e della coltivazione della soia, destinata all’estrazione dell’olio da cui residua un sottoprodotto, la farina di estrazione, utilizzato come alimento zootecnico. Sono queste compagnie che stanno creando la domanda internazionale di tali prodotti, la quale, a propria volta, finanza i roghi e la deforestazione.
Incendi al tramonto in Bolivia. Photo Credit: 2017, Jim Wickens/Ecostorm.
La crisi attuale è il riflesso della natura transnazionale dell’impatto che tali attività esercitano sull’ecosistema amazzonico. Ma quest’ultimo non è confinato al Brasile: oltre il confine, nell’Amazzonia Boliviana, nel giro di poche settimane un milione di ettari di foresta sono andati in fumo, principalmente per aprire nuovi spazi per il pascolo dei bovini e per la coltivazione della soia. Anche in Paraguay sta succedendo la stessa cosa.
Nuove mappe ed analisi condotte da Mighty Earth, basate su dati della NASA, del CONAB e di Imazon e pubblicati qui per la prima volta, dimostrano quali compagnie siano più coinvolte negli incendi: Macelli e campi di soia in prossimità dei roghi in Amazzonia
Concentrazione dei roghi in Bolivia
Sia la domanda interna sia quella internazionale di carne bovina e di cuoio hanno alimentato la rapida espansione dell’industria zootecnica in Amazzonia. Dal 1993 al 2013 la consistenza delle mandrie allevate è aumentata del 200%, raggiungendo i 60 milioni di capi. Mentre la deforestazione per la conversione a pascolo delle superfici disboscate si era ridotta grazie all’intervento sia governativo sia di organizzazioni private, la nuova ondata di deforestazione quest’anno indica che che le grandi compagnie internazionali della carne e del cuoio ed i loro clienti e finanziatori continuano ad espandere i mercati per tali prodotti.
Mandria di bovini al pascolo al margine della foresta. Photo credit: Jim Wickens/Ecosotrm
Gli effetti di tale domanda si traducono nella concentrazione della deforestazione in prossimità dei macelli e delle strade di accesso ai macelli stessi. Dalle mappe riportate sopra, si evince che la compagnia maggiormente responsabile della distruzione della foresta è JBS, la quale è, da un lato, il maggior distributore brasiliano di carne e, dall’altro, il più grande produttore di carne del mondo. JBS, come gli altri principali distributori brasiliani di carne, sottoscrisse nel 2009 una moratoria con cui si impegnava a non acquistare carne bovina prodotta da animali allevati in aree deforestate. Tuttavia, indagini condotte da agenzie governative e da organizzazioni non governative hanno più volte scoperto gravi violazioni da parte della stessa JBS, compreso il riciclaggio dei bovini. Questi comportamenti illegali culminarono nello scandalo della Carne Fredda (Carne Fria) nel 2017, quando le agenzie governative brasiliane dimostrarono che JBS si stava rifornendo di carne prodotta da bovini allevati in aree protette e, successivamente, trasferiti in aziende “pulite”, per ottemperare, ma solo formalmente, agli impegni sottoscritti dalla stessa compagnia, violando, così, le leggi nazionali brasiliane. Tutto ciò determinò l’arresto dei due fratelli che controllano l’impresa.
La catena di distribuzione della soia funziona in modo diverso, come si può constatare dalle mappe riportate sopra. Gran parte dell’attuale ondata di deforestazione si è verificata in prossimità dell’autostrada BR-163, che i grandi produttori di soia utilizzano per trasportare tale leguminosa a Santarem, dove si trova il principale porto della Cargill: qui la soia viene caricata sulle navi e spedita in tutto il mondo per alimentare gli animali domestici in Europa, Cina e altrove. Flussi logistici simili si osservano lungo altre arterie sulla mappa. Cargill (azienda che “si impegna a far prosperare il mondo”, ndt), Bunge ed altri leaders mondiali nel commercio della soia si sono impegnati, attraverso la moratoria alla produzione di soia nell’Amazzonia brasiliana, negli ultimi dodici anni ad escludere dai proprio elenco di fornitori le aziende agricole implicate nella deforestazione.
Altipiani del Cerrado brasiliano ridotti a campi di soia. Photo credit; Jim Wickens/Ecostorm
Benché, complessivamente, la moratoria abbia avuto successo, avendo fatto cessare tale pratica distruttiva, essa contiene due falle: 1) i grandi distributori di soia possono continuare a rifornirsi da agricoltori che praticano la deforestazione su larga scala, a condizione che la foresta venga spianata per allestire altre colture (diverse dalla soia): il fatto che la deforestazione si concentri lungo l’autostrada BR-163 indica che i coltivatori stanno sfruttando tale escamotage per continuare la loro opera devastatrice rifornendo di soia le stesse multinazionali Cargill e Bunge; 2) la moratoria della soia si applica solo all’Amazzonia brasiliana, e ciò consente agli “spacciatori” di soia di rifornirsi in altre regioni, come il Cerrado in Brasile, il Gran Chaco in Argentina e Paraguay e la Bolivia, creando un forte incentivo alla deforestazione in queste stesse aree.
I rapporti di Mighty Earth, The Ultimate Mystery Meat e Still At It dimostrano gli intimi legami di Cargill con la deforestazione nel bacino amazzonico boliviano, nonché il suo ripetuto rifiuto a prendere provvedimenti contro i fornitori chiave (coinvolti nella deforestazione – ndr), perfino quando fu messa di fronte all’evidenza. Inotre, a mano a mano che l’Amazzonia è oggetto di un’attenzione crescente, una superficie di 94000 kmq di mosaico foresta – savana ricca di biodiversità, nota come il Cerrado, è stata deforestata. Mentre l’80% dell’Amazzonia è, fortunatamente, ancora intatto, il bestiame, la soia e l’attività agricola in generale hanno provocato la distruzione di oltre la metà del Cerrado, compromettendo la conservazione di questo ecosistema unico. L’organizzazione Mighty Earth ha scoperto che nel Cerrado, dove la deforestazione è continuata, due compagnie sono le principali responsabili di questo disastro: Cargill e Bunge.
La prima è il principale esportatore di soia dal Brasile, oltre ad essere la più grande compagnia che operi nel settore agroalimentare a livello globale. Il rapporto di Mighty Earth, pubblicato nel luglio del 2019, The Worst Company in the World, documentò il ruolo svolto dalla multinazionale nella deforestazione intensiva in Sud America ed in altre regioni del mondo, sulla base di indagini condotte in Bolivia, nel Cerrado brasiliano, in Paraguay e in Argentina.
Sebbene Bunge sia un operatore economico più importante (di Cargill) non solo nel Cerrado ma anche in altre regioni del Sud America – in Bolivia, Paraguay e Argentina – il rapporto precedente di Mighty Earth analyses of deforestation linked to soy animal feed identificò Cargill come principale responsabile della deforestazione: i suoi dirigenti si sono rifiutati di porre fine alla distruzione delle foreste in Sud America al di fuori del bacino amazzonico. Un cartello pubblicitario della Cargill in Bolivia dice “Compriamo soia”. Cargill è una delle più grandi compagnie private americane: benché tale marchio non sia particolarmente noto al pubblico, i consumatori acquistano i suoi prodotti ogni giorno.
Cinque anni fa, diverse compagnie tra cui Cargill, Unilever e Yum Brands parteciparono al Summit per il Clima a New York ed in quella sede si impegnarono a depennare dalla lista dei propri fornitori le aziende agricole implicate nella deforestazione entro il 2020. La stessa cosa fece il Consumer Goods Forum, i cui membri comprendono Walmart, Mars e Danone. Non hanno ancora resi noti i programmi per onorare tale impegno. Ora, ad un anno di distanza dalla scadenza e con l’Amazzonia in fiamme, è troppo tardi per correre ai ripari. Queste multinazionali devono assumersi le proprie responsabilità per l’impatto ambientale dei loro prodotti, eliminando gli incentivi di mercato che promuovono questa criminale distruzione ambientale.
Il Consumer Goods Forum e compagnie come McDonald’s, Burger King e Ahold Delhaize, proprietaria di Stop & Shop così come di Hannaford, Food Lion, Pea Pod e dei supermercati Giant, non possono continuare a voltarsi dall’altra parte mentre l’Amazzonia brucia. Invece, dovrebbero rifornirsi esclusivamente da fornitori e regioni esenti da pratiche di deforestazione. Non fra dieci anni. Non fra cinque anni. Non fra un anno. Adesso. Oggi. Il grafico sottostante mostra i maggiori clienti dei macelli ed i distributori di farina di estrazione di soia maggiormente implicati con la deforestazione causata dall’allevamento del bestiame e dalla coltivazione della soia, rispettivamente.
Diversi marchi hanno relazioni commerciali con i fornitori responsabili della deforestazione.
Ahold Delhaize: questa catena olandese di super-mercati è proprietaria dei marchi Stop & Shop, Giant, Food Lion, e Hannaford negli Stati Uniti e Albert Heijn, Delhaize, Etos, Albert, Alfa-Beta ed altri in Europa. Mentre continua a propagandare il proprio impegno per la sostenibilità ambientale, Ahold persevera nel vendere ai propri clienti prodotti provenienti dalle peggiori compagnie del mondo. Essendo a conoscenza dello sfruttamento del lavoro minorile attuato da Cargill e del suo ruolo nella deforestazione in Sud America, Ahold ha esortato Cargill a modificare le sue politiche ma, contemporaneamente, ha stipulato un accordo commerciale con quest’ultima impresa per fornire carne con il proprio marchio ai negozi Stop & Shop stores. Inoltre, nel 2019 Ahold Delhaize ha concluso transazioni commerciali con JBS per un ammontare di 113 milioni di dollari. Ahold Delhaize è, comunque, in buona compagnia:
McDonald’s: è, probabilmente, il maggior cliente di Cargill. I suoi ristoranti sono essenzialmente spacci dei prodotti di quest’ultima compagnia, la quale non le fornisce soltanto carne di pollo e di bovino ma prepara e congela gli hamburgers che McDonald’s si limita a scongelare e portare in tavola.
Sysco: con un fatturato annuo di 55 miliardi di dollari, Sysco è il più grande distributore mondiale di prodotti alimentari a ristoranti, alberghi, mense universitarie ed aziendali. Sebbene vanti di proteggere il pianeta attraverso pratiche agricole sostenibili, di ridurre la propria “carbon footprint” e di non conferire i propri rifiuti in discarica, al fine di proteggere e preservare l’ambiente per le generazioni future, questa ditta considera Cargill il proprio miglior fornitore di carne suina e bovina; inoltre, nel 2019 ha fatto affari con JBS per 525 milioni di dollari.
Costco: sia JBS sia Cargill sono fornitori di Costco; marchio noto alle famiglie e ai negozi, Costco è il terzo rivenditore di prodotti alimentare più grande al mondo. Esso afferma di avere la responsabilità di scegliere fornitori che rispettino l’ambiente e le persone associate a quell’ambiente. Come si può leggere sul loro sito internet, “La nostra missione è di esercitare un impatto netto positivo sulle comunità che vivono in zone in cui si producono le materie prime, facendo la nostra parte per ridurre la perdita di foreste e di altri ecosistemi naturali, che comprendono praterie vergini o intatte, torbiere, savane e zone umide”. Nonostante ciò, secondo Bloomberg, nel 2019 Costco concluse affari con JBS per 1,43 miliardi di dollari.
Burger King/Restaurant Brands International: la politica posta in essere da Burger King di vendere carne legata a Cargill e ad altri distruttori delle foreste ha fatto assegnare al gigante dei fast food un bello “zero” da parte da parte degli scienziati “deforestation concerned”. Burger King ha così chiesto a Cargill di fermare la distruzione delle foreste da parte dei suoi fornitori… entro il 2030. È anche cliente di JBS, oltre ad essere membro della catena Restaurant Brands International (RBI), che comprende anche Tim Horton’s e Popeye’s.
Nestle: la più grande azienda alimentare del mondo iniziò a monitorare effettivamente i propri fornitori solo nel 2019, nove anni dopo aver assunto impegni per ridurre a zero la deforestazione, e solo per quanto concerne l’olio di palma, non per la soia o per la carta. Recentemente Nestle ha certificato il 77% della propria catena di rifornimento come esente da deforestazione, ma continua ad acquistare il cibo per animali da affezione (Nestle Purina Petcare) da Cargill. I dati raccolti da Bloomberg dimostrano che la multinazionale svizzera è uno dei clienti principali di Marfrig.
Carrefour: questa compagnia francese è una delle più grandi catene di supermercati al mondo, il principale proprietario della più grande catena di grande distribuzione in Brasile ed è a rischio per quanto riguarda la deforestazione provocata dall’allevamento del bestiame. È legata a fornitori come Cargill e JBS. Carrefour si è impegnata ad eliminare la deforestazione dai suoi prodotti entro il 2020, ma tale politica virtuosa non si applica a preparati di carne bovina o a carne congelata: ciò significa che solo circa la metà della distribuzione di carne bovina di Carrefour in Brasile è esente da deforestazione. Secondo Chain Reaction Research, il 35% della carne bovina e dei prodotti a base di carne proviene da macelli localizzati all’interno dell’area amazzonica in cui l’allevamento è legale, ma il 2,3% proverrebbe da macelli ad alto rischio deforestazione.
Casino: Casino, proprietaria di Pão de Açúcar, è un colosso francese della grande distribuzione che vanta una reputazione di sostenibilità in Francia. Tuttavia come seconda catena di distribuzione in Brasile, continua a rifornirsi da Cargill, Bunge e dai principali allevatori brasiliani.
Walmart: compagnia con sede in Arkansas, Walmart è la più grande impresa al mondo per fatturato e anche per numero di dipendenti. Opera anche nel Regno Unito attraverso la sua controllata ASDA. La sua politica aziendale è la seguente: “come membro del Consumer Goods Forum, noi sostenemmo la risoluzione volta a raggiungere zero deforestazione netta nella nostra catena di rifornimento entro il 2020, esortiamo i nostri fornitori di carne bovina, soia, olio di palma, cellulosa e carta a produrre tali beni senza distruggere le foreste. Abbiamo chiesto loro di evitare foreste antiche e minacciate, di intraprendere politiche di conservazione ambientale e di aumentare il contenuto di (imballaggi – ndr) riciclati.” Nonostante ciò, Walmart nel 2018 fece affari con JBS per 1,68 miliardi di dollari e continua ad essere uno dei principali clienti di Cargill per la carne e per altri prodotti.
E. Leclerc: E.Leclerc è un rivenditore francese con più di 600 negozi in Francia e oltre 120 all’estero. Tra le catene di supermercati francesi, Leclerc ha forse le politiche di sostenibilità meno robuste. Un recente rapporto, redatto da Sherpa, France Nature Environment e da Mighty Earth dimostra che le misure per la sostenibilità della produzione di soia attuate da Leclerc sono fallimentari. La compagnia si rifiuta di unirsi agli sforzi per proteggere il Cerrado brasiliano, non ha ottemperato all’obbligo legale di rivelare i propri fornitori e non ha sviluppato un meccanismo di allerta per identificare il rischio o per intervenire in caso di allerte denunciate da altri. Il recente rapporto sulla sostenibilità redatto dall’azienda francese non prevede alcun impegno da parte della stessa sui fornitori di carne o di qualsiasi altro prodotto ad eccezione dell’olio di palma.
Gli incendi notturni, visibili da chilometri di distanza, stanno devastando gli ecosistemi del Cerrado brasiliano. Photo credit: 2017, Jim Wickens/Ecostorm
Un disastro che si sarebbe potuto evitare Mentre la frequenza degli incendi è aumentata drammaticamente negli ultimi mesi come reazione alle politiche del presidente brasiliano Bolsonaro, queste compagnie hanno causato la deforestazione per anni in Sud America. In molti casi, si sono opposte strenuamente a tutti gli sforzi volti a creare sistemi che avrebbero consentito all’agricoltura di espandersi senza distruggere le foreste.
La mobilitazione dell’esercito da parte di Bolsonaro per combattere gli incendi può essere utile nel breve periodo, così come la recente espressa dal presidente boliviano Evo Morales ad accettare l’aiuto internazionale per fermare i roghi. Ma fino a quando queste multinazionali continueranno a creare un mercato per la carne bovina, suina e di pollame che non tiene conto dell’esigenza di preservare la foresta, questo disastro ambientale continuerà.
Dopo che per anni in Brasile erano state intraprese con successo iniziative di conservazione che ridussero la deforestazione del 66%, il presidente Jair Bolsonaro ha riaperto le porte alla distruzione rampante a favore dell’agribusiness che ha sostenuto la sua campagna elettorale. Tale industria è responsabile del clima di illegalità, della deforestazione, dei roghi e del massacro dei popoli indigeni. Secondo dati pubblicati dall’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile (INPE), la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana a luglio 2019 è aumentata del 278% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Bolsonaro, per tutta risposta, ha recentemente silurato il direttore dell’INPE.
I recenti incendi rappresentano l’ultimo esempio del tentativo dell’industria zootecnica e della soia di approfittare del nuovo clima di impunità che si sta affermando sia in Brasile sia in Bolivia. Dal mese di gennaio 2019 in Brasile sono scoppiati più di 74000 incendi, l’85% in più rispetto allo stesso mese del 2018. In Bolivia un milione di ettari sono bruciati in sole due settimane.
Questi non sono incendi naturali. Quasi tutti sono provocati dalla volontà intenzionale di aprire nuovi spazi nella foresta da parte degli allevatori e dei produttori industriali di soia, che riforniscono i mercati globali e le compagnie internazionali. Infatti, il 10 agosto scorso, gli agricoltori amazzonici tennero il “Giorno del fuoco” per dimostrare il proprio sostegno alle politiche di Bolsonaro.
Secondo lo Smithsonian Institute, questi roghi, così grandi da essere visibili dallo spazio, rappresentano una significativa minaccia al “polmone” del pianeta (inteso come meccanismo di fissazione del carbonio, che le piante, attraverso la fotosintesi, sottraggono all’atmosfera sotto forma di CO2 incorporandolo nei tessuti vegetali in composti organici come la cellulosa ed altri zuccheri – ndr), una delle ultime difese della biosfera contro il cambiamento climatico.
La crisi ambientale provocata dalla deforestazione in Brasile e in Bolivia non sarebbe esplosa senza il contributo determinante di multinazionali come Cargill, Bunge, JBS e dei loro clienti – compagnie come Stop & Shop, McDonald’s, Burger King e Sysco – le quali, creando la domanda dei prodotti agroalimentari, finanziano la distruzione.
Mighty Earth è un’organizzazione non governativa che lavora per proteggere gli ecosistemi terrestri, gli oceani e il clima. È sponsorizzata dal Centro per la Politica Internazionale (organizzazione senza fini di lucro). Link: https://stories.mightyearth.org/amazonfires/index.html settembe 2019
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