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22 Ottobre 2019

 

«Non si tratta di trenta pesos ma di trent’anni»

di Pablo Abufom

militante del movimento Solidaridad di Santiago del Cile.
traduzione di Giuliano Santoro.

 

Dopo lo sciopero generale proclamato da movimenti e organizzazioni femministe al quale hanno aderito i sindacati, la rivolta cilena cerca sbocchi politici nuovi

 

Venerdì sera, il presidente di destra cileno Sebastían Piñera ha proclamato lo stato di emergenza per l’intera città di Santiago in risposta a una settimana di massicce proteste. Contestando un aumento tariffario pianificato, migliaia di persone hanno rifiutato di pagare la tariffa della metropolitana nel contesto più ampio di una protesta con un semplice slogan: non pagare.
L’elusione della tariffa per tutto il venerdì ha colto di sorpresa il governo. Due delle sei linee della metropolitana di Santiago sono state cancellate e negli autobus di linea i passeggeri hanno cominciato a tracimare. La repressione della polizia ha potuto fare ben poco per scoraggiare le proteste guidate dagli studenti e alla fine migliaia di lavoratori si sono uniti alle azioni. Apparentemente, questo è stato semplicemente un atto di sfida contro gli aumenti dei prezzi nei trasporti pubblici.
Un poster fatto a mano che faceva il giro sui social media esprimeva il sentimento generale: «Non si tratta di trenta pesos ma di trent’anni». Tanto è passato dal 1988, quando il Cile iniziò la sua transizione dalla dittatura di Pinochet alla democrazia liberale. Quei tre decenni hanno visto il ripristino dei diritti civili, ma anche un’estensione di molti dei piani economici neoliberisti del regime.
La distruzione del sistema pensionistico, l’emarginazione del movimento organizzato dei lavoratori e un modello volatile di accumulazione capitalista basato sull’estrazione e l’esportazione di materie prime: queste caratteristiche distintive del Cile contemporaneo hanno generato un sistema sociale profondamente frammentato e disuguale. In questo senso, la rivolta spontanea a cui la nazione sta assistendo in risposta all’aumento del costo della vita non è solo un grido di aiuto, è un disperato tentativo di trovare un’alternativa politica.
Decretando lo stato di emergenza, il presidente Piñera ha nominato Javier Iturriaga, figura di una famiglia associata alle violazioni dei diritti umani dell’era Pinochet, come capo della difesa nazionale. Questo fatto basta da solo a incrementare la brutale realtà della situazione: in Cile la dittatura continua a tormentare il presente.
I militari sono tornati in strada nel tentativo di ripristinare l’ordine pubblico. Ma gli eventi di venerdì sera e sabato mattina hanno chiarito che il popolo cileno non si sarebbe fatto intimidire. Nonostante le continue cariche di polizia e militari, a decine di migliaia hanno resistito per le strade, sollevando barricate e accendendo fuochi. Le cose stanno prendendo una svolta ancora più radicale: le stazioni della metropolitana sono state saccheggiate e incendiate. Centinaia di punti in tutta la città sono diventati il luogo di forti scontri con la polizia.
Sabato pomeriggio la protesta ha assunto dimensioni nazionali e il governo ha deciso di tornare indietro sull’aumento dei prezzi a Santiago. Tuttavia, a quel punto gli aumenti delle tariffe non erano più la questione centrale. Le proteste sono proseguite fino alle 20 di sabato, quando è stato dichiarato il coprifuoco tra le 22 e le 7 della mattina successiva. Una misura completamente senza precedenti (tranne durante i disastri naturali come i terremoti), che ha rappresentato un doloroso promemoria degli anni della dittatura.
Nel frattempo, il governo ha dipinto i manifestanti come parte di una cospirazione criminale, nel tentativo disperato di minimizzare il carattere spontaneo e di massa delle proteste. Verso mezzanotte a Santiago del Cile, è apparso chiaro che il coprifuoco non ha raggiunto il suo obiettivo. Migliaia di persone hanno mantenuto la propria posizione, erigendo barricate e gridando e cantando contro il presidente, lo stato di emergenza, i militari e l’eredità della dittatura. L’entusiasmante dimostrazione ha ricordato gli anni Ottanta: i giorni delle proteste contro Pinochet, che comprendevano il battito di pentole vuote come segno della vita impoverita e indebitata della maggioranza.
Questo fine settimana, il governo ha esteso lo stato di emergenza e il coprifuoco a Valparaíso e Concepción, due delle principali città del Cile (altre città si sarebbero unite alla crescente ondata di disobbedienza nazionale domenica). Questa è solo una risposta parziale a quella che oggi è una protesta ormai nazionale, non c’è quasi più un angolo senza barricate e falò, saccheggi di supermercati e centri commerciali, attacchi a stazioni di polizia ed edifici governativi stanno lentamente iniziando a vedere coinvolta gente di ogni ceto sociale.
A questo punto appare impossibile dire come andranno gli eventi. Le cose sono semplicemente troppo volatili. Un dato però è certo: la risposta del governo è stata tornare al suo unico strumento: la repressione e la salvaguardia della proprietà privata contro la minaccia della democrazia e della rivolta della classe operaia.
Detto questo, ci sono due possibili scenari che guardano al futuro: o le tattiche di repressione e propaganda del governo prenderanno il sopravvento, portando a una “situazione normalizzata” oppure, la mobilitazione di massa proseguirà e continuerà a occupare spazi in tutte le città della nazione, chiedendo non solo un costo della vita inferiore ma anche una profonda trasformazione politica. Per quanto riguarda il primo scenario, il governo è isolato nel desiderare un immediato ritorno alla pace sociale, l’amministrazione di Piñera è messa alle strette e sulla difensiva, afflitta dai suoi errori e incerta su come ritirare i militari dalla strada.
Quanto alla seconda opzione, oggi [ieri per chi legge, Ndt] è già in corso uno sciopero generale che chiede la fine dello stato di emergenza. Inizialmente annunciato dai principali movimenti sociali del Cile – organizzazioni studentesche delle scuole superiori e il Comitato di coordinamento femminista 8M, protagonista dello sciopero generale femminista – è stato affiancato da lavoratori portuali, insegnanti, operatori sanitari e operai edili, tra gli altri.
Dopo una settimana di irrequieti disordini popolari, anche se le cose potrebbero non cambiare completamente dall’oggi al domani, non vi è dubbio che la protesta di massa sia tornata in Cile.

 

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