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05 giu 2014

 

L’Iran 25 anni dopo Khomeini, 
potenza regionale tra conservazione e desiderio di libertà

di Francesca La Bella

 

L’anniversario della morte del controverso protagonista della nascita della Repubblica Islamica è un momento di valutazione per la politica interna ed internazionale del Paese.

 

Roma, 05 giugno 2014, Nena News –

 

E’ innegabile che esistano figure che segnano il destino dei Paesi nei quali vivono per un periodo ben più lungo della propria vita. E’ sicuramente questo il caso dell’Ayatollah Rouhollah Moussavi Khomeini che, a 25 anni dalla sua morte, rimane un punto di riferimento per la politica e la società iraniana nel suo complesso. Il giorno della commemorazione dell’Ayatollah (14 Khordad nel calendario iraniano, 3-4 giugno per noi occidentali) diventa, così, momento di valutazione e di rilancio per la politica interna ed internazionale del Paese.

Nel giorno delle imponenti cerimonie di ricordo che coinvolgono gran parte del popolo iraniano, anche gli aeroporti si fermano e il discorso del successore di Khomeini, l’AyatollahSeyyed Ali Khamenei, pronunciato davanti al mausoleo dedicato al padre del moderno Iran, diventa centrale per comprendere la direzione della politica nazionale. Due le problematiche principali evidenziate dalla Guida Suprema: il confronto/scontro con gli Stati Uniti, accusati di continue interferenze nella politica del Paese, e i dissidi interni che rischiano di minare l’unità nazionale. Da un lato si sottolinea, durante le celebrazioni per chi nel 1979, contro il volere statunitense, pose fine al regno dello Shah Mohammad Reza Pahlavi, come permanga una contrapposizione netta con l’Occidente in generale e con gli Stati Uniti in particolare e come questo incida nelle scelte della dirigenza nazionale. Dall’altra, l’Ayatollah attacca coloro che vorrebbero intraprendere strade diverse da quella segnata dall’eredità di Khomeini.

Benché possa apparire come una semplice chiamata all’unità nazionale, questa affermazione è carica di tutte le tensioni che attualmente attraversano il Paese. Per quanto l’Iran sia da molti anni segnato da movimenti di opposizione che si pongono in contrasto con la dirigenza nazionale sia per rivendicare maggiori diritti sia per questioni etnico-religiose, quest’ultimo messaggio sembra diretto più al mondo politico che non alla società civile. I rapporti tra l’ala più conservatrice guidata da Khamenei e quella che, semplificando, potremmo definire più liberale, rappresentata dal presidente Hassan Rowhani starebbero, infatti, peggiorando giorno dopo giorno. A partire dall’apertura dei negoziati sul nucleare, passando per una maggiore flessibilità per quanto riguarda le norme di comportamento negli spazi pubblici dei cittadini iraniani, le strade dei due leader sembrano divaricarsi, lasciando il Paese in una condizione di latente instabilità.

A titolo di esempio si guardi al discorso che il Primo ministro ha pronunciato durante le celebrazioni. Questo si è incentrato in particolar modo sul diritto della Repubblica islamica a sviluppare un programma nucleare, argomento volutamente non trattato, invece, dall’Ayatollah. Nel giorno in cui a Vienna riprendono i colloqui tra l’Iran e il gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Germania, Francia e Gran Bretagna) per delineare i dettagli di un possibile accordo definitivo sul programma di sviluppo atomico in vista del vertice previsto sempre a Vienna dal 16 al 20 giugno, l’atteggiamento dei due leader risulta totalmente diverso. Di chiusura nel caso di Khamenei, di apertura condizionata nel caso di Rowhani. Un cambiamento, quello del Primo Ministro, di valenza epocale, tenendo conto dei passati rapporti tra Teheran e la diplomazia internazionale sotto la guida del suo predecessore, Mahmud Ahmadinejad.

A quanto detto fino ad ora si aggiungano due fattori, uno di natura economica ed uno di natura politica, che contribuiscono alla condizione di estrema difficoltà in cui oggi vive il Paese. Dal punto di vista economico, nonostante le aperture al turismo del Primo Ministro, i lunghi anni di sanzioni e la centralità produttiva del petrolio hanno indotto tassi di disoccupazione e di inflazione altissimi. Una debolezza che limita anche le capacità di finanziamento degli alleati di sempre nell’area e dalla quale è molto difficile che il Paese riesca ad uscire nel breve periodo. Laddove si guardi alle alleanze si potrà, inoltre, notare come la crisi siriana abbia inciso negativamente sulla capacità di azione di Teheran. L’impasse nella quale si trovano il Governo Assad e, con le debite differenze, gli alleati libanesi di Hezbollah, ha coinvolto, anche se in minor parte, il Governo iraniano. Parallelamente, la ristrutturazione delle alleanze d’area a seguito delle Primavere Arabe e delle prese di posizione in merito alla questione siriana, ha allontanato da Teheran realtà politiche come Hamas. La diretta conseguenza è stata un sempre maggiore isolamento della Repubblica Islamica rispetto alle dinamiche locali ed internazionali.

A 25 anni dalla morte di Khomeini molte sono le incognite sul destino dell’Iran: il prevalere dell’una o dell’altra anima dell’establishment iraniano potrebbe modificare in maniera sostanziale il destino del Paese. Nena News

 

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