https://scenarieconomici.it/ Luglio 23, 2019
La dedollarizzazione dell’impero finanziario americano intervista a Michael Hudson Traduzione a cura di Renato Nettuno
Abbiamo tradotto per voi questa interessantissima intervista all’economista americano Michael Hudson. Nonostante la lunghezza, ne consigliamo la lettura, in quanto ci aiuta a comprendere in modo molto chiaro come l’uso del dollaro e dei bond americani nel mondo sia determinante per la politica internazionale attuale e dei prossimi decenni.
L’imperialismo è il conseguimento di qualcosa in cambio di niente. E’ una strategia per ottenere il surplus di altri paesi senza svolgere attività produttive, ma creando un sistema di rendita estrattivo. Un potere imperialista obbliga altri paesi a pagare un tributo. Ovvio, l’America non dice apertamente agli altri paesi “dovete pagarci un tributo”, come facevano gli imperatori Romani con le province che governavano. Sono Bonnie Faulkner, oggi su Guns and Butter, dottor Michael Hudson. Il tema di oggi è la dedollarizzazione dell’impero finanziario americano. Torniamo oggi su una discussione dell’importante libro del 1972 del dottor Hudson, Super Imperialism: The Economic Strategy of American Empire [Super imperialismo: la strategia economica dell’impero americano], una critica del modo in cui gli Stati Uniti sfruttano le economie straniere attraverso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Bonnie Faulkner: Michael Hudson, bentornato. Michael Hudson: Bello essere di nuovo qui, Bonnie. B.F.: Perché il presidente Trump insiste a chiedere che la Federal Reserve abbassi i tassi di interesse? Pensavo fossero già molto bassi. E se scendessero ancora, quale sarebbe l’effetto? M.H.: I tassi di interesse sono storicamente bassi e sono stati mantenuti bassi per cercare di continuare a fornire denaro a basso costo agli speculatori, per loro comperare azioni e obbligazioni e ottenere guadagni di arbitraggio. Gli speculatori possono prendere in prestito a un basso tasso di interesse per comperare un’azione che offrono dei dividendi (facendo anche guadagni sul capitale) ad un tasso di rendimento più elevato o acquistando obbligazioni tipo le obbligazioni-spazzatura che pagano interessi più alti, tenendosi la differenza. In breve, i bassi tassi di interesse sono una forma di ingegneria finanziaria. Trump vuole che i tassi di interesse rimangano bassi per gonfiare ancora di più il mercato immobiliare e quello azionario, come se fosse un indice di economia reale, e non solo il settore finanziario che è avvolto intorno all’economia della produzione e del consumo. Al di là di questa preoccupazione interna, Trump immagina che se si tengono i tassi di interesse più bassi di quelli europei, il tasso di cambio del dollaro subirà una diminuzione. Pensa che ciò renderà le esportazioni USA più competitive rispetto ai prodotti stranieri. Questo è il grande errore di calcolo dei neoliberisti. Ed è anche la base dei modelli economici del Fondo Monetario Internazionale. Le case madri americane hanno già trasferito le loro fabbriche all’estero. Hanno rinunciato all’America. Fino a quando Trump o i suoi successori si asterranno dal cambiare quel sistema (ovvero: fino a quando darà vantaggi fiscali che fanno delocalizzare all’estero le società) non c’è niente che possa fare per riportare qui l’industria. Ma ha adottato l’economia-spazzatura del Fondo Monetario Internazionale, il discorso neoliberista dato a bere all’America Latina sostenendo che se un paese abbassa il semplicemente tasso di cambio, sarà in grado di abbassare i salari e gli standard di vita, pagando la manodopera meno in termini valutari fino a quando a un certo punto, quando povertà e austerità raggiungeranno livelli critici, diventerà più competitivo. Questo non funziona da 50 anni in America Latina. Non ha funzionato in altri paesi e nemmeno negli Stati Uniti. La Scuola Americana di economia politica del XIX secolo sviluppò la dottrina dell’economia degli alti salari. Parlo di questo nel mio libro sul decollo protezionista americano: 1815-1914. In quel modello si riconosceva che se si paga di più la manodopera, essa è più produttiva, può permettersi un’istruzione migliore e lavorare meglio. Ecco perché la manodopera ad alto salario elevato può sottostimare quella ‘povera’ a basso salario. Trump è dunque indietro di un secolo nel far sua l’idea di austerità del FMI, secondo la quale basta svalutare la moneta e ridurre salari e standard di vita in termini internazionali per rendere l’economia più redditizia e in qualche modo “liberarti dal debito”. B.F.: Esattamente. Qual è lo scopo di veicolare gli investimenti in paesi stranieri, lontano dagli Stati Uniti? M.H.: Se sei un investitore, puoi fare più soldi smantellando l’economia americana. Puoi prendere in prestito all’1% e acquistare un titolo o azioni che producono il 3-4%. Questo si chiama arbitraggio. E’ un “pasto gratis” finanziario. L’effetto di questo “pasto gratis”, come dice lei, è di rafforzare economie straniere o almeno i loro mercati finanziari e allo stesso tempo danneggiare il tuo. La finanza è cosmopolita, non patriottica. Non gli importa dove si fanno soldi. La finanza va dove il tasso di rendimento è più alto. Questa è la dinamica che ha deindustrializzato gli Stati Uniti negli ultimi 40 anni. B.F.: Da quello che sta dicendo, sembra che le politiche di Trump portino a fare agli Stati Uniti quello che l’FMI e la Banca Mondiale hanno tradizionalmente fatto alle economie straniere. M.H.: Questo è quello che succede quando svaluti. Il settore finanziario vedrà che i tassi di interesse stanno scendendo, così anche il tasso di cambio del dollaro diminuirà. Gli investitori trasferiranno il loro denaro (o prenderanno prestiti) in euro, in oro, in yen giapponesi o in franchi svizzeri, il cui tasso di cambio dovrebbe salire. Così si sta offrendo un arbitraggio finanziario e un guadagno di capitale agli investitori che speculano in valute estere. Stai anche svuotando l’economia e comprimendo i livelli di salario e gli standard di vita reali. Perché la svalutazione non aiuterà a reindustrializzare l’economia americanaB.F.: Crede che Donald Trump capisca quello che sta facendo? M.H.: Non credo. Penso che abbia una visione iper-semplificata di come funziona il mondo. Ritiene che se svalutiamo il dollaro possiamo vendere a prezzi inferiori rispetto alla Cina ed all’Europa. Ma questo puoi farlo solo se disponi di fabbriche di automobili. Se non possiedi fabbriche, non sarai in grado di vendere a costo più basso di costruttori di auto stranieri, indipendentemente da quanto il valore del dollaro scenda. E se non hai un complesso di fabbriche manifatturiere di computer e di fornitori locali già presenti negli Stati Uniti, non avrai la capacità di produzione per vendere a prezzi inferiori alla Cina. Soprattutto, c’è bisogno di infrastrutture pubbliche e di alloggi a prezzi accessibili, di istruzione e di assistenza sanitaria. Quindi la visione di Trump è una fantasia. E’ come dire che “se avessimo un po’ di prosciutto, potremmo avere un po’ di prosciutto con le uova, se avessimo anche delle uova”. Le cause della de-industrializzazione americane non vengono prese in considerazione. Se avessimo dei disoccupati ex produttori di auto, di computer e di altro, fabbriche che fossero inattive in un’economia piuttosto competitiva, allora la svalutazione potrebbe avere un senso. Ma gli americani sono tutt’altro che competitivi. I costi per gli alloggi, i costi per l’assicurazione medica e sanitaria, le imposte e le trattenute sui salari e i prezzi per le infrastrutture di base sono così alti che non c’è modo di competere con i paesi stranieri semplicemente con la manipolazione valutaria. A partire dal 1980 l’economia americana è stata è diventata molto costosa. C’è stato inoltre anche un forte aumento della pressione sui redditi da lavoro, a causa dell’aumento dei prezzi sui bisogni di prima necessità. Anche se i salari aumentano, la gente non può più permettersi di vivere come viveva 30 anni fa. E’ necessaria una riforma radicale per ripristinare un’economia di tipo industriale e a piena occupazione. Bisogna de-privatizzare, spezzare i monopoli. Serve una economia e di riforma economica come quella che l’America aveva sotto Franklin Roosvelt negli anni 1930. Ma non credo che questo accadrà. B.F.: Crede che Donald Trump sia stato piazzato lì come presidente degli Stati Uniti per sovrintendere alla loro bancarotta e allo smantellamento dell’impero? M.H.: Nessuno lo ha “piazzato lì”; ci si è messo da solo. Non credo che la maggioranza delle persone si aspettasse la sua vittoria. Se si guarda alle probabilità che i bookmaker e gli oddsmaker davano al suo successo nel momento in cui annunciò la sua candidatura, la maggioranza pensava che l’assonnato Jeb Bush avrebbe ottenuto la nomina e che questi avrebbe poi perso contro Hillary Clinton. Quindi ci furono in realtà tentativi di piazzare la Clinton o Bush. Ma non Trump. E’ riuscito a superarli con la schiettezza, l’umorismo e la celebrità. Wall Street contro l’economia “reale”: cos’è davvero più reale? B.F.: Cosa sta succedendo alla classe dominante negli Stati Uniti? Qualcuno all’interno dei suoi ranghi sa come gestire l’economia di un paese? M.H.: Il problema è che gestire un’economia, per aiutare le persone e migliorare lo standard di vita e anche per abbassare il costo della vita e fare affari nell’economia reale, significa non gestirla per aiutare Wall Street. Se qualcuno sa come amministrare l’economia, il settore finanziario vorrà tenerlo bel al di fuori da qualsiasi ufficio pubblico. L’alta finanza ragiona a breve termine, non a lungo termine. Fa il gioco del “mordi e fuggi”, non svolge il compito molto più arduo di creare un quadro adatto ad una reale crescita economica. La questione è chi pianificherà questo cambiamento. Saranno funzionari pubblici eletti nel governo o sarà Wall Street? L’ufficio di pubbliche relazioni di Wall Street è l’università di Chicago. Essa afferma che un libero mercato è quello in cui i ricchi investitori di Wall Street e la sua classe finanziaria governano l’economia. Ma se si lasciano votare le persone e democraticamente eleggere i governi per scrivere delle regole, questo viene chiamato “interferenza” nel libero mercato. Questa è la battaglia che Trump combatte con la Cina. Dice che la Cina si è arricchita negli ultimi 50 anni con mezzi sleali, con aiuti governativi e imprese pubbliche. In effetti, vuole che i cinesi siano minacciati e insicuri quanto i lavoratori americani. Dovrebbero sbarazzarsi dei loro mezzi pubblici, dei loro sussidi. Dovrebbero lasciare che molte delle loro aziende fallissero così da poter essere acquisite dagli americani. Dovrebbero avere lo stesso tipo di “libero mercato” che ha massacrato l’economia americana. Il cambio di strategia monetaria: dal surplus della bilancia dei pagamenti al deficit B.F.: Nella sua opera magistrale del 1972, Super Imperialism: The Economic Strategy of American Empire lei scrive: “Se il dominio degli Stati Uniti sull’economia mondiale dal 1920 al 1960 derivava dalla loro posizione di creditori, il controllo a partire dagli anni 1960 deriva dalla posizione di debitori. Non solo sono cambiate le carte in tavola, ma i diplomatici statunitensi si sono resi conto che la loro influenza come principale economia debitrice al mondo è forte quanto quella che precedentemente aveva riflesso la posizione di creditori netti”. Questo concetto sembra contro-intuitivo. Potrebbe spiegarlo meglio? Iniziamo dal 1920 fino al 1960. In che modo gli Stati Uniti potevano dominare l’economia mondiale da una posizione di creditori? M.H.: La posizione di creditore degli Stati Uniti iniziò dopo la Prima Guerra Mondiale, per via del denaro prestato agli alleati prima di unirsi alla guerra. Quando la guerra finì, i diplomatici americani dissero a Inghilterra e Francia di ripagare loro le armi che avevano comprato. Ma in passato, per secoli, i vincitori di solito cancellavano tutti i debiti una volta finita la guerra. Per la prima volta, l’America insistette che gli Alleati pagassero per il sostegno militare che aveva loro venduto prima di allearsi con loro. Gli alleati europei si trovavano alquanto devastati dalla prima guerra mondiale e si rivolsero alla Germania, insistendo sui risarcimenti di guerra che la mandarono presto in bancarotta. Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1950, quando scoppiò la guerra in Corea, l’America accumulò oltre il 70% dell’oro mondiale come riserva monetaria. Gli Stati Uniti erano forti nelle esportazioni agricole, in crescita nelle esportazioni industriali e avevano denaro sufficiente per acquistare le industrie leader in Europa, America Latina e altri paesi. Ma a partire dal 1950, con la guerra di Corea, il bilancio degli Stati Uniti andò in deficit per la prima volta. La situazione peggiorò quando il presidente Eisenhower decise che l’America doveva sostenere il colonialismo francese nel sud-est asiatico, nell’Indocina francese, Vietnam e Laos. Nel momento in cui la guerra in Vietnam si intensificò negli anni 1960, il dollaro stava passando un periodo di grossi deficit di bilancio. Ogni settimana a Wall Street vedeva le riserve d’oro diminuire, in favore di paesi che non erano in guerra, come Francia e Germania. Stavano incassando i dollari in eccesso che venivano spesi dai militari statunitensi. Negli anni 1960 fu chiaro che l’America era destinata all’esaurimento delle sue riserve d’oro entro un decennio a causa di queste spese militari d’oltremare. E così fu, nell’agosto del 1971 cessò di vendere oro alla borsa di Londra, per cui il prezzo salì fino a oltre 35 dollari l’oncia. Il bilancio degli Stati Uniti era ancora in forte deficit a causa dei combattimenti nel Sud-est asiatico e altrove, creando un deficit permanente. Quando l’America esaurì le riserve d’oro, le persone cominciarono a chiedersi cosa sarebbe successo. Molti predissero un giorno del giudizio economico. Gli USA stavano perdendo la loro capacità di governare il mondo attraverso l’oro. Ma quello che io allora compresi (e fui il primo a pubblicarlo) era che se i paesi non potevano più comprare e tenere l’oro nelle riserve internazionali, cosa potevano fare? C’era solo un asset che potevano trattenere: titoli di stato del governo degli Stati Uniti, vale a dire buoni del Tesoro. Il risultato fu un flusso circolare di spese militari riciclate da banche centrali straniere. Dopo il 1971 gli Stati Uniti continuarono con le spese militari all’estero e come risposta nel 1974 i paesi dell’OPEC quadruplicarono il prezzo del petrolio. A quel tempo gli Stati Uniti dissero all’Arabia Saudita che poteva far pagare quanto voleva per il suo petrolio, ma che doveva accumulare tutti i suoi guadagni netti in dollari. I sauditi non dovevano comprare oro. Facciamo finta che lei sia la Germania, la Francia o il Giappone. Se non ri-spende le sue entrate in dollari nell’economia degli Stati Uniti, la sua valuta aumenterà. Gli afflussi di dollari derivanti dalle vendite dell’export vengono convertiti nella sua valuta, aumentandone il tasso di cambio. Ma con l’acquisto di titoli o azioni statunitensi, il prezzo del dollaro viene rialzato rispetto alla suo reale tasso di cambio. Quindi quando gli Stati Uniti gestiscono un deficit di bilancio in condizioni in cui gli altri paesi mantengono le loro riserve in dollari, l’effetto è che essi mantengono i loro tassi di cambio stabili-principalmente prestando denaro al governo USA. Questo è un affare per gli Stati Uniti. Possono disseminare il mondo di basi militari e i dollari spesi per farlo, che gli vengono poi restituiti. Immagini di firmare delle cambiale (dei pagherò, come lo sono i titoli di stato), quando va in un negozio o al ristorante, che poi non verranno mai incassati! Il negozio potrebbe dire: “Abbiamo una cambiale di Bonnie Faulkner. Teniamocelo come forma di risparmio. Invece di versarlo in banca o di chiedere un pagamento in moneta reale, continuiamo a collezionare queste cambiali di Bonnie Faulkner.” Le aziende chiamano questo tipo di crediti “ricevibili”. Ora, supponiamo che lei faccia delle spese folli, consegnando un miliardo di dollari al negozio in cambiali. Non ci sarebbe modo di pagare questo miliardo. In tal caso i negozi che ricevessero queste cambiali direbbero: “Non possiamo escludere Bonnie, perché sappiamo che non può pagare. Perderemmo il valore dei crediti dalla parte in attivo del nostro bilancio, tutte le cambiali che abbiamo accumulato.” Questo è essenzialmente ciò che i paesi stranieri fanno con le loro riserve di dollari. La posizione degli Stati Uniti è, di fatto, che non rimborseranno mai a nessun paese straniero il debito in dollari che gli devono. Come disse il Segretario del Tesoro John Connolly, “I dollari sono nostri, i problemi sono vostri”. Altri paesi devono pagarci, pena il bombardamento. Questo è ciò che rende gli Stati Uniti un “paese eccezionale”. Il valore della nostra moneta è basato sui risparmi degli altri paesi. Il denaro che risparmiano deve essere mantenuto sotto forma di dollari o titoli che non rimborseremo mai, neanche se potessimo farlo. Questo è un enorme vantaggio. C’è da pensare che Donald Trump voglia continuare su questa strada. Ma quando sostiene che la Cina sta manipolando la sua moneta riciclando i propri dollari in prestiti al Tesoro degli USA, che cosa intende dire? La Cina sta guadagnando molti dollari esportando le sue merci negli Stati Uniti. Cosa fa con questi dollari? Ha cercato di fare quello che fece l’America con l’Europa e il Sud-America: ha cercato di acquistare società americane. Ma gli Stati Uniti le hanno impedito di farlo, sulla base di pretestuose ragioni di sicurezza nazionale. Trump sta portando altri paesi fuori dall’orbita del dollaro La Cina si è ben resa conto che il Tesoro degli Stati Uniti non ha intenzione di rimborsare i dollari. I paesi si rendono conto che c’è un grosso vantaggio nel cambio dell’oro: c’è solo una quantità limitata di oro nelle banche centrali del mondo. Ciò significa che qualsiasi paese affronti una guerra dovrà gestire un deficit di bilancio così grande da rischiare di esaurire le riserve auree. Pertanto rivitalizzare il ruolo dell’oro potrebbe impedire a qualsiasi paese, Stati Uniti compresi, di andare in guerra e soffrire un deficit militare. L’ironia è che Trump sta distruggendo il grande privilegio finanziario americano, che è la sua politica di imperialismo monetario, dicendo ai paesi di smettere di riciclare i loro afflussi di dollari. Trump ha già annunciato che non assumeremo cinesi nel settore IT (tecnologia dell’informazione), né lasceremo loro studiare nelle università materie che potrebbero metterli in grado di competere con noi. Alcuni dati sulla popolazione americana sono stati pubblicati una settimana fa. Le compagnie automobilistiche tedesche vedono Trump imporre dazi sull’acciaio importato di cui hanno bisogno per costruire macchine negli Stati Uniti. Le costruivano qui per aggirare le barriere tariffarie e di altro tipo contro le automobili tedesche. Ma ora Trump non gli sta nemmeno permettendo di importare le parti di cui hanno bisogno per assemblare queste macchine negli impianti “non sindacalizzati” che hanno costruito nel Sud. B.F.: Ricapitolando quando gli Stati Uniti hanno abbandonato il Gold Standard, il dollaro ha praticamente rimpiazzato l’oro come asset principale in cui i governi stranieri potevano detenere le loro riserve. Lei ora dice che da quando non c’è più stato il gold standard, se le economie straniere non compravano i buoni del Tesoro Usa, il prezzo della loro valuta aumentava e le rendeva meno competitive. M.H.: Esatto. Immagini se gli americani dovessero pagare sempre più dollari per comprare macchine tedesche. Ci sarebbe una maggiore domanda di valuta tedesca, l’euro, il cui tasso di cambio aumenterebbe. Questo è quello che accadeva negli anni 1960 e 1970, prima dell’euro. L’unico modo in cui la Germania poteva tenere basso il valore del marco era di comprare qualcosa che si pagava in dollari. Non comprava le esportazioni americane, perché l’America stava già producendo ed esportando sempre di meno, cibo a parte (e i tedeschi potevano mangiare una quantità limitata di grano e soia). Quindi l’unica cosa che la Germania poteva acquistare e che aveva un prezzo in dollari erano i buoni del Tesoro americano. Questo evitò che il marco salisse ancora più rapidamente, e mantenne il bilancio in equilibrio. Il Giappone ha avuto un problema simile. I Giapponesi cercarono di acquistare immobili americani, ma non avevano idea di ciò che rese prezioso il patrimonio immobiliare qui (in America). Persero un miliardo di dollari per l’acquisto del Rockfeller Centre, non rendendosi conto che l’edificio era separato dal valore del terreno, e il terreno era proprietà della Columbia University. L’edificio stesso andava avanti in deficit. La maggior parte del valore locativo pagato andò al proprietario dei canoni di affitto del terreno. I giapponesi non avevano idea di come funzionassero gli immobili americani. L’euro è solo una moneta satellite del dollaro americano Alcuni americani temevano che l’euro potesse diventare un rivale del dollaro. Gli Stati Uniti possono creare sempre più debito in dollari gestendo un bilancio a deficit. Possono attuare politiche keynesiane, facendo più debito per assumere maggior forza lavoro. Ma la zona Euro non ammette che i paesi abbiano un deficit maggiore del 3% del loro PIL. Quel limite è molto ridotto rispetto agli Stati Uniti. B.F.: L’Unione europea che non consente ai paesi dell’Eurozona di superare il 3% di rapporto deficit/PIL ha praticamente tagliato la gola all’euro. Perché fare una cosa del genere? M.H. Perché i capi delle banche centrali stanno combattendo una lotta di classe. Si considerano generali finanziari nella lotta economica al lavoro, per danneggiare la classe lavoratrice, abbassare i salari e aiutare il loro elettorato, la classe dei ricchi investitori finanziari. B.F.: Insomma gli Stati Uniti sono stati capaci di dominare l’economia mondiale a partire dal 1971 da una posizione debitrice. M.H.: Quando perdevano oro, dal 1950 al 1971, non erano dominanti; stavano perdendo la disponibilità americana di oro rispetto a paesi come Francia, Germania, Giappone ed altri. Solo quando posero fine al gold standard, lasciando gli altri paesi senza altre alternativa per i loro risparmi, se non l’acquisto di buoni del Tesoro americano o di altri titoli, furono in grado pagare le spese militari senza perdere il loro potere. B.F.: In Super Imperialism lei scrive che “Le pressioni per la creazione di un nuovo ordine mondiale economico crollarono alla fine degli anni 1970”. Intende dire che gli altri paesi semplicemente si arresero e accettarono l’imperialismo monetario americano? Cosa successe? M.H.: Mi è stato riferito che la corruzione era allora su vasta scala. Funzionari dell’amministrazione Reagan mi hanno riferito che pagavano funzionari stranieri affinché sostenessero la posizione degli Stati Uniti, non un nuovo Ordine Economico Internazionale. Chi pianificherà l’economia? I manager della finanza o i governi democratici? B.F.: Se c’erano pressioni per creare un nuovo ordine economico internazionale negli anni 1970, a cosa puntava questo nuovo ordine? M.H.: Dei paesi volevano fare per le loro economie ciò che altri paesi facevano per la loro: utilizzare la spesa a deficit del loro governo per costruire infrastrutture, migliorare gli standard di vita, costruire alloggi e promuovere una tassazione progressiva, che avrebbe impedito alla classe dei redditieri, dei proprietari terrieri ed alla classe finanziaria di prendere il controllo della gestione economica. Il progetto del neoliberismo era l’opposto: promuovere il settore immobiliare, finanziario ed i monopoli, per togliere l’amministrazione economica dalle mani del governo.
La spinta internazionale alla dedollarizzazione B.F.: Fu questa pressione a fermare un nuovo ordine economico internazionale portato avanti dagli Stati Uniti che stavano uscendo dal gold standard? M.H.: No. Fu una reazione contro la politica degli Stati Uniti di svuotamento degli alti comandi delle economie straniere. Gli Stati Uniti vogliono controllare le esportazioni delle loro materie prime, in particolare petrolio e gas. Vogliono controllare il loro sistema finanziario, in modo che tutti i loro guadagni vadano agli investitori stranieri, specialmente investitori americani. Vogliono trasformare le altre economie in economie al servizio degli Stati Uniti e trasformarle in una specie di super-alleanza militare NATO, la quale si opporrà a qualunque paese non voglia far parte dell’ordine mondiale unilaterale incentrato sugli Stati Uniti. B.F.: In che modo l’imperialismo monetario moderno, il super-imperialismo, differisce da quello del passato? M.H.: E’ uno stadio superiore dell’imperialismo. Il vecchio imperialismo era colonialismo. Entravi ed usavi il potere militare per mettere a capo una classe dirigente clientelare. Ma ogni paese aveva la propria moneta. In questo modo gli investitori americani capiscono che, nonostante il deficit di bilancio, possono richiedere quei dollari in prestito dai paesi stranieri a un tasso così basso, pagando solo dall’1-3 % sui buoni del Tesoro che possiedono, mentre pompano dollari nelle economie straniere comprando le loro industrie, l’agricoltura, le infrastrutture e i servizi pubblici, facendo grossi guadagni di capitale. La speranza è che presto troveremo una via d’uscita da questo sistema del debito, tramite un nuovo libero accordo. L’imperialismo è il conseguimento di qualcosa in cambio di niente. E’ una strategia per ottenere il surplus di altri paesi senza svolgere attività produttive, ma creando un sistema di rendita estrattivo. Un potere imperialista obbliga altri paesi a pagare un tributo. Ovvio, l’America non dice apertamente agli altri paesi “dovete pagarci un tributo”, come facevano gli imperatori Romani con le province che governavano. B.F.: Lei scrive: “Oggi sarebbe necessario che Europa e Asia progettassero un’alternativa al dollaro, artificiale, creata politicamente come riserva internazionale di valore. Questo potrebbe essere il punto cruciale delle tensioni politiche internazionali per la prossima generazione.” Come si può rompere questo dominio del dollaro dei “due pesi e due misure”? M.H.: Sta già arrivando. E Trump è un grande catalizzatore che accelera la dipartita degli ospiti. B.F.: Quali sono i paesi come la Cina e la Russia che sono soliti comprare oro? Lo stanno comprando con i dollari? M.H.: Si. Guadagnano dollari o euro da quello che esportano. Questi soldi finiscono nella banca centrale cinese perché gli esportatori cinesi vogliono che gli yuan nazionali paghino i loro lavoratori e fornitori cinesi. Così vanno alla banca centrale cinese, che cambia dollari in yuan. La banca centrale decide quindi cosa fare con questa valuta straniera. B.F.: I cinesi possono realizzare i progetti per le infrastrutture della “Belt and Road” con i dollari? M.H.: No. Si stanno sbarazzando dei dollari. Stanno già ricevendo un surplus così alto ogni anno che utilizzano i dollari soltanto per comprare oro a alcuni beni, come i Boeing, ma principalmente cibo e materie prime. Quando la Cina compra ferro dall’Australia per esempio, vende dollari dalle sue riserve di valuta estera e compra valuta australiana per pagare agli australiani l’oro importato. Utilizzano i dollari per pagare altri paesi che fanno ancora parte dell’area del dollaro e che sono ancora disposti ad accumulare questi dollari nelle loro riserve monetarie ufficiali invece di tenere l’oro. B.F.: Beh, è sorprendente che altri paesi non abbiano iniziato a farlo molto prima. M.H.: C’è stata una forte pressione politica affinché non si ritirassero dal sistema del debito in dollari. B.F.: Quanto è lontana la fine del dollaro come valuta delle riserve mondiali? M.H.: Sta già rallentando. Trump sta facendo di tutto per accelerarla, minacciando che se i paesi stranieri continuano a riciclare i loro proventi da esportazione in dollari (aumentando il tasso di cambio del dollaro), li accuserà di manipolare la loro valuta. B.F.: Cosa succederebbe agli Stati Uniti se il dollaro non fosse più la valuta di riserva mondiale? M.H.: Se continueranno a lasciare che sia Wall Street a fare la pianificazione economica, l’economia assomiglierà a quella argentina. B.H.: E com’è l’Argentina? M.H.: Una ristretta oligarchia al vertice, che mantiene la forza lavoro al basso livello, che toglie ai lavoratori il diritto di unirsi in sindacati, un’economia i cui settori finanziario e militare hanno vinto la guerra di classe. B.F.: La Cina, con il suo progetto di infrastrutture per la “Belt and Road”, sta acquistando oro sul mercato, come stanno facendo altri paesi. Il sistema bancario occidentale è penetrato in Cina? E se sì, come definirebbe il sistema bancario cinese? M.H.: C’è un tentativo da parte degli Stati Uniti di penetrare in Cina. Nei recenti accordi commerciali, la Cina ha consentito alle banche degli Stati Uniti di fare credito. In Cina ci sono banche governative che fanno prestiti. Questo impedisce alla Cina di avere una crisi finanziaria come quella degli Stati Uniti. Dicono che il 12% delle aziende americane siano aziende zombi. Sono già insolventi, non in grado di fare profitti dopo aver pagato il loro pesante debito. Ma le banche danno loro ancora credito sufficiente per rimanere in affari, in questo modo non falliscono e non generano una crisi. B.F.: Può spiegare in che modo ridurre debiti sia un bene per l’economia? M.H.: Bene, pensi all’alternativa. Se non si riduce il debito degli studenti americani, i laureati dovranno pagare così tanto per il servizio del credito agli studenti (ora lo pagano al governo) che in seguito non avranno abbastanza denaro per comprarsi una casa, per sposarsi, per comprare beni e servizi. Significa che la maggior parte delle persone che oggi possono comprare casa sono laureati con fondi fiduciari, studenti i cui genitori sono abbastanza ricchi da non dover usufruire di un prestito per pagare l’istruzione dei loro figli. B.F.: In sostanza questo piano di privatizzazioni, in particolare la privatizzazione del sistema bancario e la privatizzazione di molte infrastrutture, è ciò che sta mandando in bancarotta gli Stati Uniti? M.H.: Si. Proprio come ha mandato in rovina l’Inghilterra e altri paesi che hanno seguito il thatcherismo o la teoria neoliberista a partire dal 1980 circa. B.F.: Michael Hudson, grazie ancora. M.F.: E’ sempre un piacere. Tratto da:
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