https://www.huffingtonpost.it/

14/07/2019

 

Trump-Iran, la scomoda verità di Sir Darroch

By Umberto De Giovannangeli

 

Per l’ex ambasciatore britannico, Trump ha voluto abbandonare l’accordo sul nucleare “solo per fare un dispetto” a Barack Obama

 

Cancellare Obama, e quello che ha rappresentato uno dei punti più significativi della sua presidenza in politica estera: l’accordo sul nucleare con l’Iran. Parola di un Sir. L’ex ambasciatore britannico negli Stati Uniti, Kim Darroch, ha affermato che il presidente americano Donald Trump ha voluto abbandonare l’accordo sul nucleare con l’Iran “solo per fare un dispetto” a Barack Obama, dunque per “motivi personali”, in quello che ha definito “un atto di vandalismo diplomatico”.

 

In questa seconda serie di cablogrammi riservati venuti in possesso del The Mail on Sunday, viene alla luce che nel maggio del 2018, l’allora capo del Foreign Office, Boris Johnson, era andato a Washington per cercare di convincere Trump a non abbandonare l’accordo sul nucleare. Al rientro di Johnson a Londra, in commento a questa vicenda, Kim Darroch avrebbe commentato la decisione di Trump come non guidata da obiettivi politici ma “apparentemente da ragioni ideologiche e di personalità”. La Casa Bianca inoltre “fallì nel mettere a punto un piano per il day after l’uscita dall’accordo”.

 

Sir Darroch la settimana scorsa è stato costretto a dimettersi perché aveva scritto, in cablogrammi anche quelli riservati, che Trump è “un inetto” e nel frattempo ha lasciato la sede di Washington.  La prima serie di cablogrammi riservati filtrati sul tabloid britannico hanno portato Usa e Regno Unito sull’orlo della crisi diplomatica. Scotland Yard nelle ultime ore aveva ammonito esplicitamente la stampa a non pubblicare altro materiale riservato. Ma non ci sperava: nei giorni scorsi una fonte aveva detto di temere che ci sarebbero state altre fughe di notizie.

 

Mentre continua la pubblicazione di materiale riservato, secondo il Sunday Times, che cita fonti anonime governative, la talpa responsabile della fuga di notizie sarebbe stata identificata: “Pensano di sapere chi ha fatto fuoriuscire il materiale”, non si tratterebbe di un hackeraggio da parte di qualche potenza straniera, ma di qualcuno “con accesso a file e materiale storico”, ha detto la fonte governativa. Ma fuori dalla dietrologia da spy story, e mettendo in conto l’evidente antipatia personale tra il Sir britannico e il Tycoon americano, resta il fatto che Trump non ha mai nascosto cosa pensasse dell’accordo fortemente voluto dal suo predecessore alla Casa Bianca.

 

“L’Iran sta collassando su tutti i fronti nonostante il terribile accordo (sul nucleare) siglato dall’amministrazione Obama - scriveva il presidente - Il grande popolo iraniano è stato oppresso per tanti anni. La gente è affamata di cibo e libertà. Assieme ai diritti umani la ricchezza della nazione è stata depredata”, aveva twittato Trump. Per i falchi dell’amministrazione Usa, il presidente “riformatore” Hassan Rouhani più che un interlocutore è un elemento di ambiguità che non permette di svelare al mondo che ciò che è irriformabile è proprio il regime teocratico-militare che detiene le leve del potere in Iran.

Con l’accordo sul nucleare, l’Occidente, inteso come Europa e gli Usa di Obama, avevano puntato su Rouhani per innescare un processo di democratizzazione dell’Iran che facesse leva anche sulla crescita economica. Con Trump, questa prospettiva non ha più ragion d’essere. Non c’è l’America dietro la protesta che infiamma l’Iran, ma di certo l’inquilino della Casa Bianca sembra preferire un “Nemico” sicuro, Khamenei con i suoi Pasdaran, ad un chierico riformatore che non rientra nello schema semplificatorio Amico/Nemico.

”A Teheran – osserva Bernard Guetta, tra i più autorevoli analisti francesi di politica estera - è in gioco il rapporto di forze tra i due schieramenti del regime e soprattutto il modo in cui gli iraniani usciranno da una teocrazia che non sopportano più da molto tempo. Per chi, a differenza di Trump, preferisce la scommessa di una liberalizzazione alla certezza di un inasprimento che potrebbe portare a violenze spaventosamente simili a quelle siriane, è meglio sperare che Rouhani conservi il controllo della situazione. In questa ottica, i falchi di Washington fanno il tifo per un inasprimento dei rapporti tra il Regno Unito e l’Iran.

Una disputa tra Londra e Teheran – rileva il Washington Post – sarebbe accolta con favore dall’amministrazione Trump, che ha lottato per convincere le nazioni europee che la sua linea dura con l’Iran è necessaria. “Ottime notizie”, ha twittato la scorsa settimana il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, quando la Gran Bretagna ha “sequestrato” la petroliera iraniana. Ma di più Londra non intende fare. Tra le crisi politiche interne che non sembrano avere soluzione di continuità, il Regno Unito ha cercato di rimanere nell’accordo con l’Iran insieme ad altre nazioni europee, Francia e Germania in primis.

 

E poi c’è un altro elemento di cui tener conto: a differenza degli Stati Uniti, negli ultimi anni la Gran Bretagna non è diventata meno dipendente dal petrolio e dal gas dal Medio Oriente, ma di più. “L’Iran sembra aver tentato di mettere in pratica la sua minaccia contro le navi battenti bandiera britannica in seguito al sequestro di una nave cisterna iraniana al largo di Gibilterra - annota Jonathan Marcus, analista militare della Bbc -. Ma sebbene questo incidente abbia una dimensione essenzialmente bilaterale, è anche un forte richiamo al fatto che le tensioni nel Golfo sono tutt’altro che rientrate. E con la disputa in corso attorno all’accordo sul nucleare con Teheran, le cose potrebbero solo peggiorare”.

“L’episodio – rimarca ancora Marcus – potrebbe dare ulteriore impulso agli sforzi degli Stati Uniti per mobilitare una forza navale internazionale nel Golfo per proteggere la navigazione internazionale. Ma più preoccupante di tutto, mostra che gli elementi all’interno del sistema iraniano – il braccio navale del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, o qualsiasi branca militare legata ai Pasdaran – sono intenti ad alimentare la tensione. Questo inevitabilmente fa il gioco del presidente Trump mentre la Gran Bretagna e i suoi principali partner europei lottano per mantenere in vita l’accordo nucleare.

 

Ma i dubbi di Londra sull’“armiamoci e partite” americano è poca cosa se rapportato alle preoccupazioni che investono i Paesi del Medio Oriente profondamente ostili all’Iran”. Ed è in questo contesto che s’inquadra il braccio di ferro in atto tra Londra e Teheran sulla petroliera iraniana “Grace 1, sequestrata alcuni giorni fa al largo di Gibilterra. La petroliera potrà essere riconsegnata a Teheran se ci sarà la garanzia che non fornirà greggio alla Siria, rispettando così le sanzioni Ue, ha affermato ieri il ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt in un colloquio con il collega iraniano Mohammad Javad Zarif. “Ho appena parlato con il ministro Zarif - spiega Hunt su Twitter - Colloquio costruttivo.

 

L’ho rassicurato che la nostra preoccupazione era la destinazione e non l’origine del petrolio sulla Grace 1 e che il Regno Unito faciliterà il rilascio della nave se riceveremo garanzie che non andrà in Siria, in seguito ad un giusto processo nei tribunali di Gibilterra”. Nel frattempo, le autorità hanno rilasciato su cauzione il capitano e tre membri dell’equipaggio della petroliera, senza specificare le accuse. Resta la determinazione di Londra, in sintonia con Parigi e Berlino, di mantenere in vita l’accordo sul nucleare con Teheran. Un atteggiamento che non è gradito a Washington, o almeno tra i consiglieri di The Donald sostenitori della linea durissima contro la Repubblica islamica d’Iran, a cominciare dal segretario di Stato Mike Pompeo. Una linea che non trova audience a Downing Street e al Foreign Office. Perché, in fondo, ma non può essere riconosciuto pubblicamente, sono in molti a Londra, nei palazzi del potere, che sottoscrivono le considerazioni di Sir Darroch.

 

top