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13.02.2019

 

Analisi costi-benefici, il falso teorema di M5s & Toninelli

di Paolo Annoni

 

Finalmente è stata resa pubblica l’analisi costi-benefici sulla Tav. E bastano due elementi per notare quanto sia fragile e traballante nelle conclusioni

 

Abbiamo letto l’analisi costi-benefici sulla Tav e vorremmo concentrarci su due questioni. La prima si trova a pagina 50 al punto “Vita utile dell’investimento e coefficiente valore residuo”. Il “valore residuo” e ovviamente la sua determinazione è il punto più critico di ogni valutazione anche da un punto di vista numerico; spessissimo è l’elemento più importante del calcolo. Cerchiamo di spiegarci. Quando si deve decidere un investimento si ha una visibilità molto buona su quello che succederà nei primi anni e poi, con il passare del tempo, sempre minore. Più passa il tempo, più si moltiplicano le variabili e meno diamo peso a quello che potrà accadere e più decidiamo sulla base di una “strategia” e di una “prospettiva”.

Facciamo l’esempio dell’acquisto di una casa confrontato con un affitto; un’analisi costi-benefici che molti hanno dovuto fare. Per i primi anni possiamo confrontare i costi di un affitto con quello del mutuo, ma quello che ci fa decidere è il “valore residuo”, perché la casa dura per decenni e in alcuni casi persino per secoli.

 

Nell’analisi consegnata ieri le determinanti di questo valore fondamentale da un punto di vista “matematico-finanziario”, come sa chiunque abbia fatto una valutazione, non solo non vengono esplicitate, ma vengono precedute da un’assunzione arbitraria sulla vita utile della Tav stabilito in 60 anni. È la vita utile del tunnel sotto le Alpi. È un’assunzione non solo arbitraria, ma molto discutibile. Il traforo del Sempione, aperto nel 1905, dopo 113 anni ci risulta sia ancora in esercizio. Probabilmente con un’assunzione arbitraria di vita utile di 60 anni, con scadenza 1965, non sarebbe mai stato fatto.

L’Italia è piena non solo di opere con una vita utile ampiamente superiore ai 60 anni, ma di opere che ai tempi della loro costruzione dovevano sembrare inutili, non convenienti se non addirittura completamente sfasate rispetto ai traffici dell’epoca. Più l’opera è “pesante”, più cambia profondamente i traffici, più le valutazioni devono passare da analisi matematiche a veri e propri scenari prospettici o strategie. In un foglio excel è impossibile rinchiudere opere che definiscono in modo molto marcato un prima e un dopo. Questa prospettiva è la stessa che c’era in Italia quando si costruivano opere “inutili” e largamente sovradimensionate per l’epoca come l’Autostrada del sole. Erano opere pensate per una strategia di sviluppo e i cui benefici, per questo, sono impossibili da mettere in un calcolo.

E qui arriviamo al secondo punto. Nel rapporto tutta l’analisi preliminare dello studio sul traffico si basa nella sostanza sull’estrapolazione di andamenti di traffico passati e, in un certo senso, sembra volerci convincere che gli altri, gli svizzeri che bucano le Alpi, hanno sbagliato, hanno sprecato dei soldi che non si sarebbero dovuti spendere dopo una “vera” analisi costi-benefici. Ma qui è chiaro che le analisi degli altri non sono come questa e che gli “altri” hanno un approccio completamente diverso. Immaginano un futuro che non c’è, ma che avviene proprio e solo come conseguenza di un’opera che con il metro di oggi è inutile. La gente compra una macchina perché ci sono le strade asfaltate e non viceversa. Nessuno compra una macchina se non vede la strada asfaltata. Come nessuno pensa di aprire un capannone vicino all’Autostrada del sole se non c’è l’Austostrada del sole. Nessuno pensa di mettere il frigo se non c’è la rete elettrica. O nessuno investe in un sito di e-commerce se non c’è internet. E nessuno, tornando all’oggi, pensa di comprare una mozzarella campana se per portarla a Parigi costa troppo, oppure se costa il doppio o il triplo di un altro prodotto che viaggia, senza inquinare, più velocemente, senza intoppi e a costi inferiori.

Con questo approccio saremmo letteralmente fermi all’età della pietra oppure, banalmente, l’Italia sarebbe ancora un Paese agricolo con l’aspettativa di vita sotto i 50 anni. Al di là delle conclusioni e dei casi specifici, l’approccio di fondo è un’assicurazione sul declino italiano con un Paese costretto, da“analisi costi-benefici” sostanzialmente senza senso, a rimanere indietro. Un approccio che blocca la Tav esattamente come la rotonda nella strada accanto il cui costo non sarà mai giustificato da nessuna analisi costi-benefici perché i 5 secondi che si risparmiano di certo non valgono l’investimento di qualche decina di migliaia di euro. Eppure con quella rotonda e le strade scorrevoli cambia tutto, anche per le imprese.

Le analisi costi-benefici fatte in questo modo su opere di questo tipo sembrano solo un bel modo per non fare mai assolutamente niente. Una scelta ideologica su cui possiamo discutere, che però non ha niente a che vedere con i numeri. La “decrescita felice” che qualcuno può anche condividere non è né una scelta “scientifica”, né, tantomeno, un modo per continuare ad avere un tenore di vita da primo mondo.

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13.02.2019

 

Ecco quanti miliardi perderebbero le nostre imprese

di  Roberto Zucchetti

 

Scegliere di annullare la costruzione della Tav significa provocare un danno alle imprese e non aiutare il Paese nei suoi rapporti internazionali

 

La Tav e l’analisi costi-benefici: proviamo a guardare la questione da un altro punto di vista. Siamo preoccupati per la nostra economia: la produzione cala e presto perderemo posti di lavoro. Perché? Abbiamo le debolezze interne che conosciamo e a queste si somma un contesto internazionale sempre più difficile per le “guerre dei dazi” tra Usa e Cina che coinvolgono anche noi e i nostri partner europei. Quando calano gli ordini, di solito si va a far vista ai clienti, magari con un’offerta vantaggiosa. Bene, la Francia è il nostro secondo cliente, dopo la Germania: compra dall’Italia 53 miliardi di dollari di beni l’anno e ce ne vende per 39, con un saldo netto a nostro favore di 13 miliardi di dollari.

“A chi interessa andare a Lione?”. Interessa a tutti: agli imprenditori, che comprano e vendono; ai lavoratori che hanno uno stipendio se c’è lavoro e anche a chi riceve una pensione e (forse) un reddito di cittadinanza, che potranno essere pagati solo con il prelievo della ricchezza prodotta da chi lavora, se ha clienti.

 

Noi, anziché andare con una buona offerta per cercare di portare a casa più lavoro, cosa facciamo? Rompiamo un trattato internazionale con la Francia, approvato dal Parlamento e solennemente firmato alla presenza delle più alte cariche dello Stato, solo perché una forza politica sponsorizza i violenti che da tempo si oppongono alla costruzione di un pezzo di ferrovia. La giustificazione che diamo ai francesi, che nel frattempo hanno speso centinaia di milioni, è che “una analisi scientifica” fatta dal prof. Ponti ha dimostrato che i nostri tecnici di prima, i tecnici del ministero francese e i tecnici dell’Unione Europea o hanno sbagliato a fare i conti (ignoranti) o hanno partecipato alla “mangiatoia” (corrotti).

Altri potranno mostrare perché l’analisi presentata non è attendibile, ma una vera recita a soggetto. Mi soffermo quindi sull’altro documento presentato dal ministro, la “relazione tecnico giuridica”; in burocratese c’è scritto: “Pertanto, nell’enunciare tali voci (i risarcimenti eventualmente dovuti, ndr) deve essere tenuto presente che l’importo relativo potrebbe essere addebitato solo all’esito di un procedimento complesso il cui risultato è del tutto impredicibile”. Tradotto in parole comuni: fammi pure causa e poi vedremo se trovi qualcuno che ti da ragione e che ha il potere di farmi pagare il danno che ti ho fatto.

Ci rendiamo conto del danno immenso che questo atteggiamento provoca alla nostra nazione e alle nostre imprese? Commerciamo ogni anno per 92 miliardi di dollari con i francesi e pensiamo di trattarli così, di fronte a tutto il mondo che guarda? Con che credibilità un nostro funzionario si siederà a difendere i nostri interessi in una trattativa internazionale, che si tratti di quote latte o di tutela dei nostri prestigiosi marchi? Con chi faranno contratti le nostre aziende?

Di tutto questo non c’è traccia nell’analisi costi-benefici e nemmeno nelle dichiarazioni degli uomini di governo, a sentire i quali possiamo fare a meno di francesi e tedeschi, magari confidando nella Russia, che ci compra 9 miliardi di dollari l’anno di prodotti. Solo il 17% di quanto fa la Francia!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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