Fonte: Marco Della Luna

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7 Settembre 2019 

 

La marginale importanza della politica visibile

di Marco Della Luna

 

Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, voglio gettare una secchiata d’acqua fredda su quelle fiamme, col far presente che, rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà.

 

I temi di cui la politica palese parla all’opinione pubblica, quelli di cui si occupano i politici bassi, visibili, sono aspetti superficiali e di scarsa rilevanza, privi di valore strutturale, non comprendono le cause dei processi generali in corso, che del resto stanno ben oltre la capacità di azione della politica palese. I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono. Ultimamente, quale nuovo cavallo di battaglia, hanno introdotto nel dibattito pubblico l’importante tema, ben noto da oltre un secolo in sociologia, della struttura oligarchica della società, ossia del bipolarismo popolo-élite in luogo del bipolarismo destra-sinistra; ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società.

 

La politica palese, per il pubblico, come pure i media mainstream, nel suo teatrino dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul PIL; controverte su dove prendere e dove ricollocare altri millesimi sul PIL tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese o proprietà immobiliari; discute anche di gestione della pressione migratoria, di diritti civili consolatori come l’eutanasia, la droga, il matrimonio e l’adozione da parte di coppie omosessuali, l’affitto di utero e la fecondazione eterologa.

 

Se si va a un livello immediatamente più profondo di fattori strutturali, si capisce quanto quel dibattito politico per il grande pubblico sia secondario e, nella sua pretesa di importanza, illusorio. Al livello più profondo di quello di cui dibatte la politica palese nelle sedi istituzionali, ma ancora superficiale, si trovano fattori strutturalmente molto più potenti, come gli effetti recessivi e deindustrializzanti dell’euro, effetti visibili a tutti, e dei quali i partiti nostrani, erroneamente ritenuti sovranisti, populisti e antisistema, parlavano prima di andare al governo contemplando la possibilità di uscire dall’euro, mentre subito dopo hanno dichiarato fedeltà ad esso senza condizioni, rivelandosi non sovranisti né populisti, ma sottomessi ai gestori dell’UE: quando si hanno incarichi istituzionali, certi principi e certi dati di realtà bisogna rinnegarli. Così è avvenuto con Syriza in Grecia e Podemos in Spagna: si sono omologati.

 

Sovranisti, per ora, sono invece lo UKIP e il Brexit Party, che enunciano chiaramente: nessuno meglio può governare il nostro Paese, che il suo stesso popolo attraverso un sistema democratico parlamentare nazionale; il Paese deve avere la sovranità dei propri confini, della propria legislazione, della propria giurisdizione, dei propri rapporti anche economici con gli altri; nel 1974 entrammo in una CEE che era solo un’unione doganale, ma che poi è divenuta politica, e che ora, come UE, è in mano ad autocrati non eletti e non responsabili, prevalentemente tedeschi. Avete mai udito un leader “sovranista” nostrano proclamare, come Nigel Farage, “we want our country back”?

 

Ma anche questo livello, come dicevo, è superficiale e non va alle cause profonde. Parla delle cose che da un lato rientrano negli schemi cognitivi della popolazione generale, cioè delle cose che la gente comune può capire, può accettare come verosimili in base alla sua esperienza diretta e alla narrazione generale di realtà che ha assimilato, e che dall’altro non disturbano i veri interessi in gioco, manovratori dell’industria culturale che produce e adatta i predetti schemi e narrazioni. Entro questi limiti da essa posti, è ammesso fare gli antisistemici.

 

A un livello più profondo, leggermente più serio quindi mai o quasi mai proposto al pubblico dalla politica, si trovano tematiche quali la intenzionale, dolosa pianificazione dell’uso dell’euro e dei suoi effetti nocivi per alcuni paesi a vantaggio della Germania, e l’analisi della stessa costruzione europeista come concepita per questo fine. Si trovano pure fatti come l’imperialismo e il neocolonialismo cinese, francese, statunitense, con il land grabbing e la rimozione dei popoli locali, come causa della marea migratoria dall’Africa verso l’Europa, della quale noi dovremmo farci carico a vantaggio dei suddetti paesi ‘amici’. Si trovano inoltre temi e quali la pratica inestinguibilità del debito pubblico di quasi tutti i paesi, Italia inclusa; la tendenza nazionale italiana, dopo 27 anni di declino, ad almeno altri 25 anni alla perdita di efficienza comparata; la sostituzione etnica (afro-islamizzazione) congiunta alla fuga di cervelli, capitali e imprese; gli ingravescenti effetti di una coesione nazionale mantenuta e mantenibile solo spogliando Veneto e Lombardia del loro reddito (quindi della capacità di investimento e innovazione) per integrare il reddito di una Roma e di un Meridione storicamente dimostratisi incapaci di crescere nonostante gli aiuti. Da qui il tema di valutare lo scioglimento dell’unità d’Italia in alternativa a un percorso diretto alla rovina. Tutte cose di cui nelle istituzioni, almeno di fronte all’opinione pubblica, non si dibatte.

 

A una maggior profondità, quindi a una maggior lontananza dalla notiziabilità popolare e dalla pubblica dibattibilità politica nelle istituzioni, mentre è un tema essenziale per impostare il discorso politico in modo sensato, si trova il problema dei rapporti gerarchici tra le potenze (stati ma anche potentati bancario-finanziari), il problema delle sovranità limitate. Si trova in particolare la questione pratica di se e quanta libertà di autodeterminazione politica resti all’Italia dopo la resa incondizionata all’arsenale del capitalismo nel 1943, in relazione alla perdurante occupazione militare USA con 130 basi circa in tempo di pace, in relazione alla costrizione dell’Italia a partecipare (a sue spese e contro i propri interessi) all’illegale guerra contro prima contro la Serbia e poi contro la Libia; e in relazione all’appartenenza all’UE e all’Eurosistema, ambedue a guida franco-tedesca, e che fanno gli interessi del grande capitale franco-tedesco, con capacità di coartare sino al golpe la politica interna italiana, come fecero nel 2011 con l’impennata politicamente decisa dello spread, e come hanno bissato nel vittorioso contrasto al governo gialloverde (mediante la stretta dei vincoli finanziari, la minaccia di nuova impennata dello spread, la promessa di allentamento dei vincoli per l’europeista Conte bis).

 

E’ divenuto manifesto, ma non se ne parla in parlamento, il fatto che un paese che non controlla la propria moneta è diretto politicamente da chi gliela fornisce, cioè dai banchieri. Si è constatata la capacità di UE, BCE, agenzie di rating di prescrivere coercitivamente (con la minaccia di impedire il finanziamento del debito pubblico) all’Italia e ad altri paesi deboli politiche e riforme socio-economiche favorevoli al grande capitale finanziario di tipo liberista, recessivo, sperequante, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione e altri.

 

Tale capacità pone il tema della illusorietà dei principi fondamentali della Costituzione nazionale alla luce del reale ordinamento e funzionamento gerarchico internazionale: niente governo del popolo (democrazia) ma dei capitali; niente sovranità nazionale; niente primato del lavoro; niente perseguimento dell’eguaglianza sostanziale; niente equa e dignitosa retribuzione; niente subordinazione dell’impresa privata all’interesse collettivo; niente intervento pubblico keynesiano per uscire dalla depressione e dalla disoccupazione; quindi mancano i presupposti per la legittimazione del potere politico delle istituzioni. Queste sono le tematiche della post-democrazia ampiamente analizzate e illuminate da audaci giuristi come Luciano Barra Caracciolo, da valenti sociologi come Luciano Gallino, e da illuminanti filosofi come Costanzo Preve e Diego Fusaro, al quale ultimo, con la sua martellante presenza mediatica e con i suoi scritti divulgativi, è riuscita l’unica impresa rivoluzionaria del dopoguerra, ossia sfondare la muraglia di censura culturale (costruita dalla falsa sinistra) portando davanti al naso del grande pubblico la spiegazione cristallina di che cosa è e che cosa fa il sistema liberal-finanziario, di come entro di esso non è possibile realizzare politiche diverse da quelle che esso comanda, nonché dell’ipocrisia delle forze presentate e presentantisi come di sinistra o progressiste, cioè in Italia soprattutto del PD, le quali in realtà siano traditrici del socialismo (che è essenzialmente difesa dei lavoratori contro lo sfruttamento dei capitalisti finanziari) al servizio dell’élite bancaria: forze impegnate a passare e a far accettare ai loro sprovveduti elettorati i desiderata antisociali di tale élite in un processo di generale dissoluzione dei legami sociali e culturali e per produrre una massa globale, amorfa, di abitatori ignavi, passivi e numeriformi della Terra.

 

Queste tematiche ci sospingono a livelli ancora più profondi nella ricerca delle cause vere e possibilmente ultime delle vicende socio-economiche, cause che ho affrontato dapprima (Euroschiavi, Cimiteuro, Traditori al governo, Sbankitalia, I signori della catastrofe) in ambito monetario con lo studio del vigente monopolio privato e irresponsabile della creazione dei mezzi monetari, della loro distribuzione, della fissazione del loro ‘costo’ (tasso di interesse), etc.; nonché degli effetti di tale monopolio sulla politica e sulla società, soprattutto in relazione

a) al fatto che la moneta imposta è una moneta indebitante, che dà luogo a un indebitamento pubblico e privato che, per ragioni matematiche, non può essere estinto e continua a crescere, anche perché il reddito da creazione monetaria non viene contabilizzato e sfugge così alla tassazione;

b) alla conseguenza che tale tipo di moneta, nel lungo termine, grazie all’indebitamento inarrestabile, sta portando tutto e tutti, come debitori insolventi, nel dominio dei monopolisti monetari, azzerando la dimensione pubblica della politica e dello stato;

c) ai falsi dogmi con cui i detti monopolisti nascondono o legittimano il predetto processo, innanzitutto quello della scarsità e costosità della moneta.

 

Elite finanziaria, banchieri centrali

 

Portare tali temi nel pubblico dibattito non è fattibile perché la gente non li capirebbe, ma soprattutto perché renderebbero manifesta l’impotenza della politica bassa, palese, e dello stesso stato; e altresì perché darebbero luogo a discussioni disturbanti la fede popolare (e il consenso) verso la falsa narrazione economica che legittima tutte le scelte di fondo finalizzate agli interessi dell’oligarchia che le formula a suo beneficio. E il non porli nel pubblico dibattito rende questo dibattito sterile, avulso dalla realtà, quindi non pericoloso per il potere costituito.

 

I predetti fattori causativi, di genere monetario, pur costituendo verosimilmente il fondo economico delle cause che stiamo ricercando, rinviano a ulteriori e più radicali processi di tipo sociologico (che ho trattato in Oligarchia per popoli superflui), ossia al fatto che le masse, i popoli, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenuti superflui (quindi impotenti poiché privi di potere negoziale, ma anche ridondanti, eliminabili) per effetto della concentrazione globale del potere e della smaterializzazione-automazione dei processi produttivi e bellici. E ora la possibilità tecnologica (esplorata nel mio ultimo saggio, Tecnoschiavi) di gestirli in modo zootecnico, ossia non più semplicemente attraverso leve economiche e psicologiche (quelle esposte in Neuroschiavi), ma entrando nei loro corpi, nel loro dna, e modificandoli biologicamente e geneticamente, soprattutto attraverso una manipolazione attuata per via legislativa (somministrazione forzata a generazioni di bambini di sostanze dagli effetti non chiari e non garantiti), avvia la decostruzione ontologica dell’essere umano, della specie homo, e la sua completa riduzione a strumento, merce, cosa illimitatamente formattabile, disponibile, fungibile.

 

In Tecnoschiavi cerco anche di lumeggiare il fondo ultimo da cui derivano i suindicati processi storici, ravvisandolo nella stessa concezione, o meglio nello stesso vissuto (erroneo, illusorio) che l’uomo ha della realtà, dell’essere, del rapporto tra pensiero e mondo; e indico quello che ritengo l’unica possibile via o fonte di liberazione.

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