http://contropiano.org/ 12 gennaio 2019
L’immensa “pulizia etnica” applicata alla Grecia. Dalla Ue di Nikos Konstandaras editorialista del quotidiano greco Kathimerini e collaboratore del New York Times.
Angela Merkel è andata ad Atene. Non ci sono state le grandi contestazioni degli scorsi anni, ma c’è una ragione. Il paese ha perso, durante la crisi economica, quasi 700.000 abitanti: quasi tutti giovani, laureati o diplomati. Un esodo di massa che sta lasciando il paese senza più forze vitali, sia per produrre nuova ricchezza che – eventualmente – innescare un riscatto sociale basato sul conflitto. Questo articolo, apparso giovedì sul New York Times, pur se scritto nel tono “british” che ci si attende da una testata anglosassone, restituisce un quadro di devastazione che neanche la Seconda guerra mondiale era stata in grado di produrre in quel paese. Per quanto lo si possa dire in modo freddo e neutro, infatti, la stima della popolazione ellenica – da qui a 30 anni, se si va avanti così, con il “pilota automatico” – è da post attacco nucleare: una riduzione tra 800.000-2,5 milioni. Un mezzo “sterminio” diluito nel tempo, quasi senza spargimento di sangue o campi di concentramento, ma non senza tragedie e dolori, che riguarderà tra il 10 e il 25% della popolazione originaria. Sommando emigrazione e fisiologia umana. Dietro i numeri dell’economia ci sono le persone in carne e ossa, si usa dire. Beh, in questo caso si dimostra che insieme alla distruzione dell’economia di un paese scompare anche la sua popolazione. Perché costretta ad emigrare (“migranti economici”, che qualcuno magari proporrà di rimandare “a casa loro”, se l’economia peggiorerà – come pare – anche là dove son andati) o non più in condizione di riprodursi. La lista delle conseguenze umane, antropologiche, culturali, ecc, è tutta da individuare, ma immensa. Una eradicazione così vasta di un popolo, di queste dimensioni, non si era mai vista dai tempi di Gengis Khan. Forse solo il grande arretramento delle popolazioni slave davanti all’invasione nazista può reggere al confronto. Ma, in quel caso, esisteva un ampio retroterra solidale e belligerante, e durò solo due-tre anni, seppure con costi umani mostruosi (la gran parte degli oltre 20 milioni di sovietici morti nella Seconda guerra mondiale erano civili). Quando diciamo che un sistema di produzione è intimamente criminale e criminogeno, qualcuno finge di stupirsi e grida all’esagerazione ideologica. La pulizia etnica della Grecia dimostra invece che anche noi abbiamo fatto un errore: siamo stati troppo buoni e “ottimisti”. In proporzioni appena minori, è quello che sta avvenendo anche in Italia, e prima ancora che vengano applicate con altrettanta ferocia le “misure di aggiustamento strutturale” imposte dai trattati europei e dalle tecnoburocrazie della “Troika” (Ue. Bce, Fmi). E’ quello che sta avvenendo da anni in Africa e altri paesi, stretti tra schiavitù economica e attacchi militari espliciti, moltiplicando fino all’inverosimile fenomeni migratori altrimenti solo “fisiologici”. Quando ascoltate parlare un Monti, un Giavazzi, un Cottarelli o un Calenda, è questa sorte che ci stanno indicando come “necessaria”, “senza alternative”. Col sorriso sulle labbra. Se ne sono accorti per tempo, forse, anche in Francia. E, almeno lì, hanno cominciato – solo cominciato – a far capire che non ci sarà più ovina obbedienza e “fiducia in questa classe dirigente”.
La grande emorragia greca di Nikos Konstandaras
Il governo greco, una coalizione di un movimento radicale di sinistra e un partito di destra nazionalista al potere dal 2015, ha celebrato la fine del terzo piano di salvataggio del paese lo scorso agosto come “ritorno alla normalità”. I nostri partner e creditori dell’Unione europea, che ha erogato 288,7 miliardi di euro di prestiti negli anni precedenti, si sono anche affrettati a dichiarare vittoria sulla crisi iniziata nel 2010. Nella più drammatica dimostrazione di sfiducia, si stima che oltre 700.000 persone abbiano lasciato la Grecia dal 2010, cercando opportunità all’estero. Le morti sono più numerose delle nascite, in quanto le persone fanno meno figli o non osano affatto farne. Ricerche recenti suggeriscono che, ai tassi attuali, la popolazione della Grecia, che nel 2015 era di circa 10,9 milioni, potrebbe ridursi di una cifra tra 800.000 e 2,5 milioni di persone entro il 2050. La forza lavoro è costituita attualmente da circa 4,7 milioni di persone. Una popolazione lavorativa molto più piccola dovrà sostenere un numero crescente di pensionati, con una minore crescita e minori entrate, dovute a costi più elevati della sicurezza sociale. La compressione della spesa continuerà per decenni, dal momento che la Grecia è impegnata a mantenereun’eccedenza annuale del 3,5% fino al 2022 e sarà sottoposta a una rigorosa supervisione finché non ripagherà i suoi prestiti entro il 2060. Questo problema è aggravato dall’enorme crescita del debito privato. Quasi la metà dei crediti totali concessi dalle quattro principali banche del paese, circa 86 miliardi di euro, sono inesigibili o vicine ad esserlo. Ciò impedisce alle banche di iniettare denaro nell’economia. Le aziende che cercano di prendere a prestito all’estero devono affrontare alti tassi di interesse. I valori delle proprietà riflettono tasse più elevate e affitti più bassi, con appartamenti che perdono in media il 41% in valore tra il 2007 e il 2017, secondo la Banca di Grecia. Ma da nessuna parte l’emorragia della Grecia è più grave che nella partenza dei giovani. La Grecia ha visto emigrazioni di massa in passato, perché povertà, guerra, dittature e mancanza di prospettive hanno spinto soprattutto le persone non qualificate a cercare fortuna in America, Australia, Europa e Africa. Questa volta, però, la maggior parte di coloro che lasciano stanno privando il paese delle proprie capacità e dei propri investimenti. Circa il 92% dei nuovi emigranti è laureato all’università o in istituti tecnici, con il 64% del totale dei diplomi post-laurea, compresi i dottorati, ha scoperto la consulenza ICAP in un sondaggio su 1.068 greci in 61 paesi. Circa 18.000 medici hanno lasciato il paese durante la crisi; secondo l’Associazione medica di Atene, per ciascuno lo stato aveva speso 85.000 euro.
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