Fonte: Italicum
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25/11/2019
La riforma del MES e l’incubo del default per l’Italia
di Luigi Tedeschi
La prospettiva di ristrutturazione del debito pubblico innescherebbe in Italia una spirale speculativa sul debito, con l’incubo del default
La bozza di riforma del MES era già stata presentata il 14 giugno 2019 e concordata dai ministri delle Finanze dei 19 paesi dell’Eurozona. Dovrà essere approvata tra la fine di dicembre 2019 e gennaio 2020 all’unanimità in sede europea, per essere poi ratificata dai parlamenti degli stati membri.
L’assordante e colpevole silenzio dei governi italiani sul contenuto e le conseguenze delle riforme europee, evidenzia una prassi ormai consolidata, che rivela la condizione di subalternità italiana nei confronti della UE. Le riforme europee non sono mai oggetto di dibattito politico, l’Italia ne subisce solamente gli effetti che si rivelano poi sempre devastanti.
Infatti nel 2012, con sorprendente rapidità il governo Monti, varò con maggioranze bulgare e con la dolosa acquiescenza generale dei media, una riforma che prevedeva l’inserimento nella costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio. Tale riforma fu falsamente messa in atto come un atto dovuto, quale ratifica di una direttiva imposta dalla UE. L’obbligo del pareggio di bilancio fu invece inserito nella costituzione italiana in virtù di un atto di volontà politica del governo tecnico presieduto da Monti. Una direttiva europea in tal senso non venne approvata dalla UE a seguito del voto contrario espresso da Danimarca e Olanda.
L’obbligo del pareggio di bilancio venne invece promulgato solo come una raccomandazione rivolta dalla UE agli stati membri.
Ma l’Italia è un paese che ha rimosso la propria memoria storica, altrimenti, per quanto concerne il pareggio di bilancio, sarebbe stato menzionato il triste precedente storico costituito dai governi della destra storica nell’Italia del XIX° secolo. Il governo Minghetti, realizzò nel 1876 il pareggio di bilancio, obiettivo lungamente perseguito nell’Italia post unitaria. I costi sociali sostenuti dal popolo per il raggiungimento del pareggio di bilancio furono enormi: vorticosi aumenti della pressione fiscale, depauperamento generalizzato dell’economia, ondate migratorie crescenti, rivolte popolari che culminarono dei disordini del 1868 contro l’imposta sul macinato. Oggi il pareggio di bilancio inserito nella costituzione rappresenta un importante elemento della gabbia finanziaria europea in cui è stata racchiusa l’Italia.
Nel 2015 fu varato dall’Europa, nel più assoluto silenzio dei governi e dei media italiani il bail in, che incise profondamente sulla stabilità del sistema bancario in occasione delle crisi che si succedettero negli anni successivi.
Riforma del MES e debito pubblico italiano
L’europeismo acritico dei governi italiani è rivelatore dell’evidente deficit di sovranità dell’Italia in Europa, che si ripropone anche in occasione del varo della riforma del MES. Nel 2010, a seguito della crisi dei debiti sovrani, venne creato il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf), che fu sostituito nel 2012 dal Meccanismo europeo di stabilità (MES), al fine di sostenere i paesi europei in difficoltà mediante concessione di prestiti, acquisti di titoli, fondi per la ricapitalizzazione delle banche. Era previsto che tali aiuti potessero essere concessi a fronte di programmi di riforme che comportassero il risanamento del debito, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni e flessibilità del lavoro.
Il MES è un organismo costituito da un consiglio di governatori, composto dai ministri delle finanze dei paesi membri dell’Eurozona, il commissario UE agli affari economico – monetari e il Presidente della BCE. Il MES dispone di un capitale sottoscritto di circa 700 miliardi. Le quote del MES sono state sottoscritte dai paesi membri in proporzione alle quote di partecipazione al capitale della BCE. Pertanto la Germania dispone di una quota di capitale del 27%, la Francia del 20,2%, l’Italia del 17,8%, la Spagna dell’11,8%. Il MES è stato creato al fine di scongiurare crisi strutturali del debito, di prevenire ondate speculative, di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’Eurozona.
Ma l’assistenza del MES ai paesi in difficoltà potrà essere erogata solo in cambio di rigorose condizioni di politica economica. La riforma prevede inoltre un rafforzamento dei poteri del MES nei confronti della Commissione, che potrà partecipare ai lavori del MES solo in qualità di osservatore, non come membro. Per le decisioni del MES è richiesta l’unanimità, ma in casi di emergenza sarà sufficiente una maggioranza dell’85%. Pertanto, disponendo la Germania di una quota di partecipazione pari al 27%, nessuna decisione del MES potrà essere presa senza il suo consenso.
Gli aspetti più rilevanti di tale riforma riguardano però le condizioni previste per l’erogazione di aiuti agli stati in difficoltà. Sono previste due linee di credito.
– La Pccl, che viene concessa agli stati con una situazione finanziaria conforme ai seguenti parametri:
1) Non essere in procedura di infrazione;
2) registrare un deficit inferiore al 3% del Pil da almeno 2 anni;
3) Avere un rapporto deficit / Pil al di sotto del 60% (o almeno aver ridotto tale rapporto di 1/20 negli ultimi 2 anni).
– La Eccl, che viene erogata a paesi che non si trovano nelle condizioni previste dalla Pccl.
Ma per ottenere la concessione di tale linea di credito, si rende necessaria la sottoscrizione di condizioni di politica economica di rigore finanziario previste da un memorandum d’intesa.
Per accedere alla Pccl non è più previsto un memorandum d’intesa, ma la sussistenza delle condizioni di stabilità finanziaria previste devono essere preesistenti. Almeno 10 paesi membri dell’Eurozona (compresa la Francia), su 19 non sono nelle condizioni di accedere alla Pccl.
E le stesse condizioni per accedere alla Eccl, presuppongono un memorandum d’intesa che necessariamente comporterà la ristrutturazione del debito pubblico.
Ristrutturazione del debito e tutela del risparmio
La prospettiva di ristrutturazione del debito pubblico, specie per un paese come l’Italia (con un debito pari al 132% del Pil), innescherebbe una spirale speculativa sul debito, con conseguenze devastanti. A tal riguardo Gianpaolo Galli, docente dell’Università Cattolica di Milano afferma che: “Nella riforma che viene trapela l’idea che un paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso Mes” …. “Si noti che la novità non sta tanto nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato – cosa che è già avvenuta nel caso della Grecia – ma nell’idea che la ristrutturazione diventi una precondizione, pressoché automatica, per ottenere i finanziamenti”.
L’eventualità della ristrutturazione del debito, quale condizione preventiva per l’accesso ai finanziamenti del MES, determinerebbe inoltre una grave crisi del sistema bancario, che attualmente detiene circa 400 miliardi del debito pubblico italiano. Il presidente dell’ABI Patuelli così si è espresso al riguardo: “Noi siamo liberi di comprare quel che vogliamo. Le banche hanno 400 miliardi di debito pubblico italiano. Il mio problema è capire cosa fa la Repubblica italiana per tutelarlo, questo debito pubblico. Se davvero le condizioni relative al debito pubblico si alterano, o per maggiori assorbimenti o per elementi che favoriscano sinistri, allora le banche italiane sottoscriveranno meno debito pubblico, non lo compreremo più”.
Occorre inoltre rilevare che il debito pubblico italiano è costituito in larga maggioranza dai risparmi dei cittadini italiani. In caso di ristrutturazione del debito, i loro risparmi verrebbero gravemente decurtati.
In caso di approvazione della riforma del MES, il governo violerebbe quindi la normativa stabilita dall’art. 47 della Costituzione che così recita: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.
Il ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz, sulla base della contrarietà tedesca al QE di Draghi che ha condotto i tassi di interesse in territorio negativo, ha recentemente proposto di introdurre un coefficiente di rischio sul debito pubblico degli stati, che attualmente non è previsto. Tale proposta, respinta in sede UE, se approvata, avrebbe ridotto drasticamente gli acquisti dei titoli di stato da parte delle banche, compromettendo l’equilibrio finanziario degli stati. La riforma del MES potrebbe avere conseguenze analoghe, con possibile default degli stati maggiormente indebitati come l’Italia.
Le riforme europee e la fine della sovranità degli stati
La riforma del MES si inserisce in un processo di riforme strutturali programmato dalla UE che prevede, oltre alla riforma del MES, l’unificazione bancaria e il bilancio comune europeo. In realtà, il processo di destrutturazione della sovranità degli stati ad opera della UE registra sempre più perniciosi avanzamenti.
Vengono conferiti ulteriori maggiori poteri alla oligarchia tecnocratico – finanziaria europea, in totale disconoscimento delle situazioni di crisi economica, di diseguaglianze sociali, di malcontento popolare sempre più accentuati.
Così commenta le evidenti anomalie e contraddizioni che emergono dalla riforma del MES l’economista Giulio Sapelli: “Valgono le stesse regole che valgono in Europa: siamo di fronte alla definitiva sottrazione della democrazia liberale” ed aggiunge: “In pratica, un Paese non ha né il diritto né la libertà di scegliere come intervenire sul proprio debito pubblico”.
Riteniamo assai improbabile che una classe politica italiana che da sempre esprime un europeismo acritico e subalterno, sia in grado di salvaguardare la sovranità nazionale contestando la riforma del MES. L’Italia è rappresentata in Europa unicamente da esponenti del PD, inseriti ai vertici della governance europea, in quanto ritenuti affidabili esecutori dei diktat dell’oligarchia europea dominata dall’asse franco – tedesco.
La ratifica parlamentare della riforma del MES rappresenterebbe, così come lo furono l’inserimento nella costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio, l’approvazione del fiscal compact e del bail in, una ulteriore fase della progressiva espropriazione della sovranità nazionale messa in atto dalla oligarchia dominante della UE.