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23 febbraio 2019

 

Sergio Romano: “Il più grande errore dell’Europa? Aver fatto entrare nell’Unione i Paesi dell’Est”

 

Intervista all’editorialista e saggista, già ambasciatore italiano alla Nato e a Mosca: “Sono state Germania e Regno Unito a voler allargare l’Unione ai Paesi dell’ex Patto di Varsavia. La cosa buffa è che oggi i sovranisti si servono delle istituzioni europee per combattere l’Europa»

 

Dal 9 novembre 1989 al 9 novembre 2019: com'è cambiata l’Europa nei trent’anni senza Muro? Siamo dove ci saremo aspettati di essere? E cosa potremmo fare per corrispondere agli ideali di libertà di quella notte, in cui sembrava finire la Storia? Una serie di interviste a testimoni dell'epoca per ragionare con loro di come la caduta del Muro ha cambiato le nostre vite. Si comincia con Sergio Romano, già ambasciatore italiano alla Nato e a Mosca.

 

«I Paesi dell’est? Non vogliono l’integrazione dell’Europa. Rivogliono semplicemente la sovranità nazionale perduta, dopo decenni di nazismo e comunismo. La cosa buffa è che stanno usando le istituzioni europee per raggiungere il loro obiettivo»Sergio Romanolasciò la carica di ambasciatore italiano a Mosca e la carriera diplomatica pochi mesi prima che il muro cessasse di esistere, nei primi mesi del 1989, una specie di congedo dalla guerra fredda, poco prima che terminasse. Di quel che successe allora, e di quel che accadde da allora in poi, tuttavia, ha il ricordo vivido del testimone privilegiato, di chi sapeva che cosa stava succedendo e perché: «A dire il vero non avrei mai pensato che l’Unione Sovietica si disintegrasse così in fretta - si schermisce - e sinceramente nemmeno pensavo che la caduta del Muro di Berlino avrebbe fatto scomparire tutti i muri del mondo».

Cosa pensava, allora?
Mi limitavo agli effetti sulla Guerra Fredda e sullo stato della politica nella regione, a che cosa sarebbe successo nell’Europa centrale. Sapevamo che se la Germania si fosse riunificata, le condizioni politiche dei Paesi dell’ allora Patto di Varsavia sarebbero cambiate e che il rapporto con una nuova Urss avrebbe giovato al nuovo Stato tedesco . Non pensavo che sarebbe successo così rapidamente, che già meno di due anni dopo non ci sarebbe più stata l’Unione Sovietica.

Andreotti diceva che amava talmente tanto la Germania da volerne due. Mitterrand e Thatcher, raccontano i documenti dell’epoca, erano tutto fuorché entusiasti della fine del Muro di Berlino. Perché, secondo lei?
Io credo che tutti, chi più chi meno, sapessero che il Muro andava eliminato. Nemmeno francesi e britannici sarebbero stati felici se il Muro fosse rimasto dov’era. Semmai, temevano la ricostituzione di uno Stato tedesco con le dimensioni di quello del 1870. Si ricordavano bene, Mitterrand e Thatcher, che quella Germania, con quelle dimensioni, aveva provocato due guerre mondiali. E d’altro canto, chi credeva nella Comunità Europea era convinto che tutti i progressi fossero stati possibili grazie al rimpicciolimento della Germania. Una Germania riunificata sarebbe stata così disponibile all’integrazione? Erano preoccupazioni legittime.

Eppure, passano solo tre anni dalla riunificazione delle Germanie e arriva il trattato di Maastricht. Ne passano poco più di dieci e c’è l’Euro...
La nascita dell’Euro è strettamente legata alla riunificazione tedesca. Quando Mitterrand capisce che non è possibile opporsi alla riunificazione della Germania, cerca di legarla il più possibile all’Europa e le chiede di rinunciare al Marco come prezzo da pagare per l propria unità. Fa leva sull’europeismo di Kohl, reale e sincero.

Anche l’allargamento dell’Unione Europea a est è figlio della caduta del Muro?
Certo. I Paesi dell’ormai ex Patto di Varsavia erano finalmente democratici e indipendenti, ma erano orfanelli. Avevano bisogno di qualcuno, per costruire la loro economia, per aggiornare le loro istituzioni. Ed era sacrosanto dar loro una mano. L’errore semmai è stato quello di realizzare quell’aiuto ammettendoli nell’Unione Europea. Già allora pensavo che avremmo corso un grosso rischio.

Come mai?
Perché non era indispensabile, non erano pronti, non avevano fatto lo stesso percorso dell’Europa occidentale. Noi avevamo perso la seconda guerra mondiale e sapevamo che la sconfitta era figlia dei nazionalismi. Avevamo ritrovato la democrazia e avevamo deciso di metterci assieme per lasciarci alle spalle, una volta per tutte, i nostri nazionalismi. Loro erano diventati satelliti di un regime che non avrebbe mai permesso la nascita di una classe dirigente veramente nazionale e autonoma. Ecco perché non vogliono l’integrazione europea. Perché rivogliono la sovranità nazionale, perché la fine dell’Unione Sovietica per loro era l’occasione, attesa da una vita, per ridiventare nazione. C’è una profonda differenza, un confine mentale che divide noi e loro. E noi ci siamo messi in casa persone che sono venute da noi solo perché offrivamo prospettive economiche interessanti, non certo per fare l’Europa.

Domanda da un milione di euro: perché ce li siamo portati in casa?
Per due motivi. Il primo: la Germania non voleva più avere sul suo fianco destro paesi potenzialmente ostili e ritenne che i vantaggi sarebbero stati superiori agli svantaggi. Il secondo: la pressione della Gran Bretagna che non voleva l’integrazione dell’Europa. Il Regno Unito era entrato nella Comunità europea entrata per evitarla e ha immediatamente premuto per l’allargamento nella convinzione che avrebbe reso l’integrazione ancora più difficile. L’allora presidente della commissione Jacques Delors provò a rallentare il processo e per un certo periodo si parlò anche di un rapporto confederale dell’Unione Europea coi Paesi del’est, ma non se ne fece nulla. Germania e Regno Unito avevano fretta che l’est entrasse.

E alla fine l’est è entrato eccome. Col suo carico di leader di destra, nazionalisti e autoritari. I gemelli Kaczynski in Polonia, Viktor Orban in Ungheria…
Non è sempre stato così, però. Questa è una mutazione, figlia degli ultimi anni. In Polonia, Solidarnosc ha governato per una generazione prima che i Kaczynski arrivassero al potere. E quando Berlusconi andò in Ungheria a sostenere la campagna elettorale di Orban, questi era ancora un moderato conservatore del Partito Popolare Europeo.

Anche qui: cos’è successo?
È successo che il nazionalismo dell’Europa centro-orientale (oggi chiamato sovranismo) ha contagiato i Paesi dell’Europa occidentale, nel momento in cui è emersa, dopo la crisi dei debiti sovrani, una forte forma di euro-scetticismo. La cosa buffa è che le forze politiche che governano i Paesi dell’est - ma anche quelle che governano l’Italia e l’Austria - oggi vogliono creare un gruppo parlamentare maggioritario al parlamento di Strasburgo, e stanno trattando per lavorare insieme.

Perché è buffa?
Perché stanno facendo una politica nazionalista ed euro-critica servendosi degli strumenti istituzionali europei. In altri tempi, non avrebbero avuto questa possibilità. Oggi ce l’hanno, grazie all’Europa. C’è molto tatticismo e poca strategia in questo contagio dell’est nell’ovest: stanno usando l’Europa contro l’Europa, criticano la Commissione, ma accettano la sua esistenza e anzi vorrebbero prendersela. Il simbolo di questo paradosso è Nigel Farage, per molto tempo leader dell’Ukip (Uniteed Kingdom Independence Party) , che non ha mai messo piede nel parlamento del suo Paese e ha fatto tutte le sue battaglie da Strasburgo.

Vinceranno loro?
Non so dirlo perché i nostri giudizi sono spesso influenzati dai nostri desideri, ma non me lo auguro. Questo è un momento molto difficile per l’Europa ma sono ragionevolmente ottimista e penso che la ragionevolezza finirà per prevalere, che i risultati acquisiti nel processo di integrazione non verranno perduti.

Fuori, intanto, ci sono Russia e America, le due potenze della guerra fredda, che sono pronte a riprendersi quel che era loro.
Le loro posizioni sono diverse. La Russia teme l’America e l’imperialismo americano. Noi non abbiamo mai capito come l’America abbia interpretato la caduta del muro. Per noi era la fine della guerra fredda, per loro era la vittoria della guerra fredda. In mezzo c’è tutta la distanza del mondo. Noi volevamo aprirci, collaborare, creare un futuro dove gli equilibri avrebbero prevalso sui contenziosi. L’America invece voleva cogliere l’occasione per una politica più marcatamente imperiale. Non è un caso, che a pochi anni di distanza dalla caduta del Muro, la Nato si sia allargata fino ad arrivare alle frontiere della Russia. E se l’America reagisce così, non è strano che la Russia anteponga la propria sicurezza alla modernizzazione. E nemmeno è strano che siano gli europei a scontare le conseguenze di questa nuova contrapposizione.

 

 

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