https://www.wired.it/ 5 gen, 2019
Come sarà il 2019 della politica internazionale di Davide Ludovisi
Brexit, elezioni europee, l’addio di Draghi e Juncker, il G20 in Giappone, le elezioni in Europa e nel mondo. Cosa ci aspetta nel 2019 degli esteri
Il 2019 sarà un anno chiave per la politica internazionale. In realtà è una previsione valida un po’ per tutti gli anni, certo, però se guardiamo ai possibili cambiamenti politici dei prossimi dodici messi ci sono alcune date da tener d’occhio; date che si potrebbero definire un punto di non ritorno. Sarà l’anno in cui forse l’Unione europea perderà un pezzo importante, la Gran Bretagna. L’anno in cui si rinnoverà il Parlamento europeo, in un’Europa criticata dagli stati che la compongono come non mai. E che vedrà il cambio di vertice economico e politico. Oltre a importanti meeting internazionali ci saranno anche molte elezioni, in un mondo in cui la democrazia non è più un sistema così ovvio e prevedibile.
Brexit Alle ore 23.00 (mezzanotte in Italia) del 29 marzo la Gran Bretagna non farà più parte dell’Unione europea. Questo almeno è quanto stabilito dal famoso articolo 50 del trattato di Lisbona. Non sono però esclusi colpi di scena. Sono in molti, infatti, nel Regno Unito ad auspicare un ripensamento. Tra loro, ci sono sicuramente i laburisti. Un sondaggio appena pubblicatoriporta che il 90% dei membri del partito vorrebbe rimanere in Europa. Molto più del loro leader, Jeremy Corbin. Il 72% dei laburisti vorrebbe inoltre che si spingesse per un secondo referendum. Un’ipotesi che al momento non è poi così remota. La situazione infatti è piuttosto ingarbugliata: il parlamento inglese deve ancora approvare i termini per un’uscita decorosa, per così dire. Cosa affatto scontata e un no deal, una Brexit senza accordo, sarebbe grave soprattutto per i britannici. È possibile che la data del 29 marzo sia posticipata? Difficile. Ma un nuovo referendum potrebbe cambiare le carte in tavola. Anche perché la Corte di giustizia Ue all’inizio di dicembre si è espressa chiaramente: il Regno Unito può revocare unilateralmente Brexit.
Le europee, l’Italia e i populismi comunitari Le elezioni del Parlamento europeo sono importanti e questa volta ancora di più, per diverse ragioni. Prima di tutto perché saranno le prime senza la Gran Bretagna. Oppure con un clamoroso ripensamento di Brexit. Si terranno infatti dal 23 al 26 maggio, a quasi due mesi della prevista uscita inglese dall’Unione europea. E andranno in scena, peraltro, in un clima antieuropeista senza precedenti. Lo scetticismo nei confronti delle istituzioni sovranazionali è un tema sempre più rilevante. I partiti populisti, nazionalisti e sovranisti di destra stanno alimentando questo malcontento. E il loro potere in Europa e nel mondo sta facendo rumore. Il movimento dei cosiddetti gilet gialli in Francia fa sicuramente parte di questo fenomeno. Nel 2019 potrebbe allargarsi anche da noi. In paesi come l’Italia l’antieuropeismo alle elezioni europee giocherà un ruolo fondamentale anche per gli equilibri di politica interna, soprattutto dopo lo scontro con la Commissione Ue sulla sulla legge di bilancio italiana. Anche in questo caso però nulla è scontato: il voto per rinnovare il Parlamento europeo potrebbe riservare delle sorprese. Nonostante quanto detto finora, infatti, il 64% degli italiani considera positivamente la permanenza in Europa. Non dimentichiamo inoltre l’influenza della Russia. L’Unione europea ha già denunciato il pericolo di possibili infiltrazioni russe. La destabilizzazione politica dell’Europa potrebbe essere aumentata attraverso pratiche di cyberattacco. Ma anche con altre pratiche più subdole.
L’addio di Draghi e Juncker Restando nell’ambito europeo, c’è una data importante per la direzione politica ed economica della zona euro. Il 31 ottobre 2019 terminano infatti l’incarico Mario Draghi e Jean-Claude Juncker. Il primo è il governatore della Banca centrale europea; il secondo è il presidente della Commissione europea. Il termine a cui si associa Draghi è il Quantitative easing. Si tratta del programma di acquisto straordinario di titoli di stato e altre obbligazioni di paesi dell’Eurozona da parte della Bce. Lanciato nel 2015, è appena terminato. Questo ha comportato molti benefici a paesi come l’Italia, soprattutto. Draghi d’altronde è famoso anche per una frase: “whatever it takes”. “A qualunque costo”. Pronunciata nel 2012, era riferita allo sforzo totale della Bce per salvare la crisi dell’euro. E pare abbia funzionato. Ora resta da vedere cosa farà il suo successore. Lo nomina il Consiglio europeo e ci sono ancora diversi papabili. Jens Weidmann, governatore della Bundesbank; Benoit Coeure, membro del consiglio direttivo della Bce; Francois Villeroy, governatore della Banca centrale francese; Olli Rehn, governatore della Banca Centrale della Finlandia; Philip Lane, governatore della Banca centrale d’Irlanda; Erkii Liikanen, politico ed ex governatore della Banca Centrale della Finlandia. Il successore di Jean-Claude Juncker invece viene proposto formalmente al Parlamento europeo dal Consiglio europeo. È l’organo che riunisce i vari capi di stato o di governo (l’Italia è rappresentata da Giuseppe Conte). Dal 2014 il candidato è imposto dal partito che ottiene più preferenze alle elezioni parlamentari. Questo metodo però, chiamato Spitzenkandidat, ad alcuni non piace. In testa Emmanuel Macron, il presidente francese. Se ne discuterà il 23 febbraio 2019 al summit europeo di Bruxelles. I nomi più gettonati sono principalmente quattro. Due per il centrodestra e due per il centrosinistra. Manfred Weber, tedesco e capogruppo del Partito popolare europeo. Alexander Stubb, finlandese e vicepresidente della Banca europea per gli investimenti. Maroš Šef?ovi?, slovacco e membro della Commissione europea. Frans Timmermans, olandese e vicepresidente della Commissione europea. L’incarico che lascia il lussemburghese Juncker è fondamentale per la linea politica europea. Oltre ad avere una funzione di indirizzo generale, è infatti a capo dell’esecutivo europeo. A lui spetta anche l’assegnazione dei portafogli ai commissari indicati dagli stati membri.
La lotta al global warming, le conferenze sul clima e il G20 L’11 marzo si svolge a Nairobi, in Kenya, l’assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente. Su questo fronte sembra che negli ultimi anni si siano fatti diversi passi indietro. Mentre le conseguenze del riscaldamento globalesono sempre più evidenti. António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha in mente di puntare a un nuovo patto globale per l’ambiente. Un nuovo impianto legislativo internazionale di salvaguardia, insomma. È tutto specificato nel report pubblicato il 30 novembre 2018. Il 28 giugno si tiene invece il G20 a Osaka. è particolarmente significativo per il Giappone. Non solo perché è la prima volta che si svolge in quel paese. Ma anche perché avviene a due mesi (30 aprile) dall’abdicazione dell’imperatore Akihito. Nel 2017 ha deciso di cedere la corona al principe Naruhito. Ha 85 anni, l’età e la salute gli impediscono di continuare l’incarico. Il forum del Gruppo dei 20 paesi leader mondiali riunisce anche i ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali. Questa edizione è importante anche per l’assetto politico globale derivante dalle varie elezioni del 2019.
Portogallo, India, Ucraina, Israele: dove altro si voterà nel mondo In Europa le elezioni da tenere d’occhio sono tutte verso la fine del 2019. In ottobre si vota in due paesi guidati dalla sinistra. Portogallo e Grecia. Nel primo caso la data è già fissata, il 6 ottobre. È ancora presto per stabilire chi sia in vantaggio. Ma la popolarità dell’attuale primo ministro socialista Antonio Costa sembra in crescita. Cosa diversa per Alexis Tsipras in Grecia. Il primo ministro a capo della coalizione populista Syriza sta faticando ad affrontare la crisi economica. Ottobre o novembre vedranno al voto anche la Polonia. A guidare il paese dal 2015 è il partito di destra Diritto e Giustizia, di Jaroslaw Kaczynski. Si sta assistendo a una crescita dell’estremismo di destra polacco. Ma lo scorso ottobre alle elezioni amministrative il partito di Kaczynski ha sperimentato una flessione, soprattutto nelle città. Anche nel resto mondo si svolgeranno diverse elezioni importanti, ovviamente. Le prime toccano alla Nigeria, il 16 febbraio 2019. L’attuale presidente Muhammadu Buhari è un ex generale e un ex dittatore. Formalmente ex perché nel 2015 è stato rieletto e quest’anno si ripresenta. Il suo ex vicepresidente Atiku Abubakar potrebbe anche vincere. Il paese, il più popoloso dell’Africa, è segnato dalla guerriglia di matrice islamica e da enormi problemi economici. È alto il rischio di disordini durante le operazioni di voto dovute a conflitti etnici e religiosi. Il 31 marzo in Ucraina si vota per eleggere il presidente. Si ricandida quello attuale, Petro Poroshenko. Tuttavia ultimamente non gode di gran popolarità. Il conflitto con la Russia è ancora in atto e sta portando a gravi danni, economici e sociali. Poroshenko ha dichiarato che la legge marziale imposta nel paese non influisce sulla data delle elezioni. Yulia Tymoshenko, l’ex primo ministro, potrebbe vincere. Tra ottobre e novembre si svolgono le elezioni parlamentari. Le elezioni generali in India si svolgono tra marzo e aprile. Narendra Modi, nazionalista indù e attuale primo ministro è dato per favorito. Il suo partito, il Partito popolare indiano, è in netto vantaggio sul Partito del Congresso. Quest’ultimo è guidato da Raul Gandhi, che se vuole vincere deve rafforzare la propria identità politica. L’India è nota per essere la più grande democrazia al mondo. La popolazione stimata nel 2016 era di oltre un miliardo e trecentomila abitanti. In crescita. Elezioni anticipate il 9 aprile 2019 in Israele. Il governo è caduto dopo dei dissidi all’interno della coalizione di destra. I problemi al centro della crisi sono la tregua con Hamas e la riforma della leva per gli ebrei ortodossi. Il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu è dato comunque per favorito. Nonostante le critiche e il fatto che sia al potere da circa 10 anni. In Indonesia, il paese a maggioranza musulmana più popoloso al mondo, si vota il 17 aprile. L’attuale presidente Joko Widodo deve affrontare una dura battaglia elettorale da parte di Prabowo Subianto. L’aveva già sfidato nel 2014. Il sistema di voto non è facile da gestire. Il paese ha centinaia di isolee si parlano oltre trecento idiomi. Il 21 e il 27 ottobre 2019 si vota rispettivamente in Canada e in Argentina. È ancora presto per le previsioni. Se però il primo ministro canadese Justin Trudeau sembra ancora popolare, lo scenario in Argentina è del tutto diverso. Nel paese sudamericano il presidente Mauricio Macri sta affrontando l’ennesima crisi economica, con indici di gradimento in picchiata.
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