https://jacobinitalia.it/ 25 Febbraio 2019
Trasformazione produttiva e destrutturazione sociale di Annalisa Dordoni Sociologa applicata e metodologia della ricerca sociale, Assegnista di ricerca presso l’Università di Trento. Esperta di processi economici e culturali, mondo del lavoro e questioni di genere.
Le nuove tecnologie rendono "immediato" il processo produttivo e le stesse relazioni sociali. Ma senza una regolamentazione del tempo di lavoro e del tempo di vita va in crisi la società
Nelle analisi delle trasformazioni del lavoro e della sua organizzazione, la questione della routinizzazione dei tempi, dei ritmi e soprattutto delle mansioni sul posto di lavoro, è un tema centrale per il controllo e il disciplinamento temporale e spaziale dato dalla presenza delle macchine. Soprattutto nei settori dei servizi, come la Gdo, Grande Distribuzione Organizzata, chiamata ora Dmo, Distribuzione “Moderna” Organizzata, le nuove tecnologie trasformano il lavoro rendendolo routinario, con maggiore controllo ed estrazione di valore. In un magazzino della logistica addetti e addette sono costretti, nella movimentazione delle merci, a sottostare ai tempi e ritmi delle macchine e dei dispositivi tecnologici, così come avviene anche nella consegna dei pasti a domicilio, o nei negozi su strada, o nei supermercati. Telecamere e dispositivi di disciplinamento come braccialetti contapassi e timer rendono molto veloci i ritmi e stressante il lavoro, che diviene frammentato in mansioni brevi e ripetitive.
D’altro canto però le routine sono anche sociali, come le domeniche che cadono ogni settimana nello stesso giorno, le feste che cadono ogni anno nello stesso periodo, permettendoci di considerare ogni anno come un ciclo simile al precedente e al successivo. Le cadenze temporali, le routine cicliche, sono necessarie all’essere umano, che ha bisogni biologici, come dormire, mangiare, andare in bagno. A questo servono le pause pranzo, le pause strutturate sul posto di lavoro, il riposo settimanale domenicale e i giorni festivi durante l’anno. Questa ciclicità, questo contesto temporale, è stata creata dall’essere umano nei secoli, e conquistata anche grazie alle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici nel Novecento. È un sistema temporale storico, non naturale, creato dall’essere umano, e quindi per definizione modificabile. Ma cosa accadrebbe alla società se tutti lavorassimo su turni e in giorni e orari differenti gli uni dagli altri?
Anthony Giddens, sociologo, politologo e parlamentare laburista inglese, mosse i suoi studi a partire da una riflessione sul rapporto agency/structure – cioè la relazione tra la capacità (o il potere) di azione dell’attore sociale nella e sulla società, agency, che potremmo definire in italiano come “agentività”, e la struttura della società stessa, structure – definendo così la sua teoria della strutturazione. Secondo l’autore la vita sociale presuppone la ricorsività, poiché l’attore sociale razionalizza e ordina la realtà stabilendo pratiche e abitudini, per diminuire l’insicurezza. Tale fenomeno avviene inconsciamente, permettendo all’essere umano di non dover mettere e rimettere in discussione in ogni istante le proprie azioni e quelle altrui. Minimizzando i costi psicologici di una sua continua messa in discussione, la vita sociale può crearsi e ricrearsi senza problematizzazioni continue. Reiterando modelli standardizzati di comportamento si può facilmente interpretare la realtà e muoversi in essa con una buona fiducia nelle proprie capacità interpretative. In Central Problems in Social Theory: Action, Structure, and Contradiction in Social Analysis (testo purtroppo mai tradotto in italiano), nel capitolo Time-space relations (“relazioni spazio-temporali”), Giddens nota come da una nozione di tempo propria delle società tradizionali premoderne come “tempo ciclico”, siamo giunti a una nozione di tempo lineare e storico. Giddens sottolinea ciò che Marx aveva già desunto: la quantificazione del tempo come risorsa scarsa, da poter quindi monetizzare e inserire nel quadro dello scambio economico e dell’agire razionale orientato allo scopo, nell’economia del denaro è uno dei presupposti concettuali dello sviluppo del capitalismo.
Per spiegare il concetto di routinizzazione, dal termine routine, Giddens propone l’esempio del turn-taking nella conversazione faccia a faccia, che potremmo tradurre come il botta e risposta senza sovrapposizioni: gli attori sociali organizzano automaticamente la conversazione, strutturandola, attraverso il turno di parola. Grazie alla routine e all’abitudine, le persone non devono in ogni istante chiedersi razionalmente come agire, la conversazione procede quasi da sé, perché lo hanno imparato fin dall’infanzia. In questo senso la conversazione, e anche la relazione sociale, si struttura attraverso la routinizzazione. Giddens sottolinea come nel tempo, storicamente, siamo passati dal testo scritto, cioè la possibilità di leggere testi in epoche diverse e di poter così interagire attraverso il tempo, al testo digitale e alle moderne tecnologie di comunicazione immediata, istantanea e senza mediazioni spazio-temporali, dal telefono alle chat sul web. Sottolinea però anche come l’aspetto ciclico dell’organizzazione delle attività sociali sia fondamentale e permanente. Le società sono strutturate proprio dalle abitudini e dalle routine, che ci rendono gruppi sociali che si muovono nello spazio e nel tempo insieme, e dai fenomeni che ci differenziano nello spazio e nel tempo, come il capitalismo rispetto ai sistemi precapitalistici. Le attività sociali possono essere rappresentate come una danza coordinata degli attori sociali attraverso lo spazio-tempo.
La continuità della vita sociale si riproduce giorno per giorno e non coincide con la permanenza. La vita sociale infatti si riproduce modificandosi e non perpetuandosi uguale a se stessa. La vita umana è sociale, ed è intrinsecamente ricorsiva. Deve esserlo, altrimenti non vi sarebbe la società stessa. Secondo Giddens non può, categoricamente, esserci spazio nell’analisi sociale per il termine de-strutturazione: in caso avvenisse una destrutturazione, verrebbe messa in crisi la società stessa, ed è quindi impossibile, inimmaginabile, poiché l’uomo ha bisogno di relazioni sociali routinizzate.
Tuttavia oggi, con la flessibilizzazione del lavoro, con turni diversi per ogni lavoratore e lavoratrice, con orari e tempi frammentati, la destrutturazione è la nostra realtà. Ogni giorno, ad esempio, una coppia con partner che lavorano su turni subisce le conseguenze della destrutturazione sia nella quotidianità che nella progettualità di vita, nelle decisioni sul futuro. In una condizione così precaria, come si può immaginare e progettare un futuro? Se è difficile persino incontrarsi, passare del tempo insieme, come si può progettare ad esempio di avere dei figli? La routinizzazione viene dunque messa in discussione poiché il processo di immediatizzazione che viviamo nell’ambito dei tempi di lavoro si trasferisce a tutta la società. Dalle relazioni immediate di lavoro-consumo nei negozi, nei centri commerciali, nei supermercati, arriva a tutta la nostra vita relazionale. Secondo Giddens nei primi anni di vita degli individui si forma il “basic security system”, un sistema inconscio, un mezzo di organizzazione e riduzione della tensione e di controllo dell’ansia, per rendere non-problematica e data per scontata l’interazione stessa. Ma cosa accade se viene messo in discussione questo processo di routinizzazione non nei primi anni di vita o durante la fase precoce della socializzazione, ma nella vita adulta, nelle relazioni di lavoro e nelle interazioni sociali? La messa in discussione delle routine, che conseguenze può avere sulla vita sociale e sulla società stessa? Se il tempo ciclico viene atomizzato, cosa accade?
Questo è quello che stiamo vivendo, i tempi di lavoro e di vita cambiano e ci cambiano, lavorare e consumare 24 ore su 24 comporta delle conseguenze. Giddens pone l’accento anche sulla sperequazione e sulle disuguaglianze, anche se principalmente in termini spaziali piuttosto che temporali. Ma, alla luce delle considerazioni fatte in precedenza, è possibile affermare senza dubbio che come l’organizzazione sociale dello spazio urbano riflette le differenze di classe, così anche la possibilità di libero utilizzo del tempo è fortemente determinata dall’appartenenza sociale e dall’inquadramento nel mondo del lavoro e nel sistema economico.
Il capitalismo attuale non è solo determinato dal suo essere globale ma anche dal suo essere immediato, istantaneo temporalmente, e lo stesso processo di immediatizzazione è rilevabile in qualunque relazione umana. Gli scambi, non solo monetari ma emozionali, sociali o culturali, tra attori sociali o tra gruppi avvengono sempre più nell’immediatezza e senza profondità. Il tempo, la sua durata, determina anche la qualità della relazione interpersonale. Non essendo stabilmente ancorati a una linea temporale di lungo o medio termine abbiamo una sensazione di estraniamento, incertezza, insicurezza, precarietà, legata all’immediatezza. La flessibilità, tanto acclamata e poi scaricata sulle spalle del lavoro, provoca trasformazioni enormi nei tempi e ritmi di vita e nella qualità delle relazioni sociali. Per non parlare delle gravi problematiche di conciliazione per le donne in contesti ancora fortemente caratterizzati dal radicamento culturale di stereotipi di genere, per cui ci si aspetta che siano “angeli del focolare” anche lavorando su turni 24/7 in un supermercato.
La mancanza di limiti nel tempo di lavoro, l’assenza di regolamentazione che è il nocciolo del neoliberismo, genera mancanza di progettualità di vita e deruba del futuro. C’è dunque necessità di porre dei limiti, nel lavoro e nella contrattazione collettiva. Limite e regolamentazione non sono affatto sinonimo di diminuzione della libertà: delimitare il tempo di lavoro significa dare spazio al tempo di vita, al tempo per sé, per restituire qualità alle relazioni sociali. Orari e giorni di lavoro regolamentati significano libertà.
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