Originale: Foreign Policy in Focus http://znetitaly.altervista.org/ 21 giugno 2019
E’ ora di un salario minimo globale di Michael Galant traduzione di Giuseppe Volpe
The Time Has Come for a Global Minimum Wage
In questo giugno l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) festeggia il suo centesimo anniversario. Dopo una guerra mondiale devastante la sua missione era trasformativa: realizzare dovunque la giustizia sociale e i diritti dei lavoratori.
Ma oggi, cent’anni dopo, condizioni di lavoro sfruttatrici restano la norma, più persone vivono in povertà e l’un per cento più ricco sta per possedere in un decennio due terzi di tutta la ricchezza globale. Anche se nessuna singola politica potrebbe risolvere interamente questi problemi, una in particolare sarebbe un decisivo passo in avanti. Al suo congresso del centenario l’ILO dovrebbe sollecitare un salario minimo globale. Un recente sondaggio globale della Confederazione Sindacale Internazionale ha rilevato che uno schiacciante 84 per cento di tutti gli intervistati ha giudicato il proprio salario minimo nazionale insufficiente per una vita decente. Un salario minimo globale – non uniforme in tutti i paesi ma basato su una formula comune per un reddito base – toglierebbe dalla povertà milioni di persone assicurando a tutti i lavoratori le risorse necessarie per un decente tenore di vita. Ma il potenziale reale di un salario minimo globale sta nella sua capacità di correggere la dinamica che da decenni sta erodendo il potere e il benessere dei lavoratori dovunque: la corsa globale verso il fondo. Dagli anni ’80 un modello “neoliberista” di globalizzazione ha messo gli investitori e le imprese in grado di attraversare a volontà i confini alla ricerca dei contesti più favorevoli al profitto. Poiché il capitale è mobile, mentre i lavoratori non lo sono, le nazioni sono costrette a competere per attirare investimenti tagliando discipline del lavoro, protezioni dell’ambiente e salari. Se i lavoratori di un paese conquistano miglioramenti, le imprese mobili semplicemente si trasferiscono in un altro paese dove i salari sono inferiori. Un salario minimo globale determinerebbe un limite alla spirale al ribasso. Le imprese potrebbero continuare ad andarsene per altri motivi, ma non avrebbero più la possibilità di trasferirsi in un paese con salari meno che tollerabili. Questo rafforzerebbe enormemente la posizione del lavoro in tutto il mondo, consentendo ai lavoratori di singoli paesi di battersi per aumenti salariali con minore rischio di fuga dei capitali. Se la formula del salario minimo globale fosse collegata a salari medi, potrebbe persino scatenare una scalata verso l’alto, poiché i salari minimi di altri paesi darebbero ulteriore leva ai lavoratori per premere per miglioramenti nel proprio. Assieme a discipline globali più rigorose sui paradisi fiscali e a una politica commerciale alternativa per proteggere i lavoratori e l’ambiente, un salario minimo globale potrebbe contribuire a bloccare del tutto la corsa verso il basso. Una tale politica beneficerebbe lavoratori dovunque, non solo quelli nei paesi a basso reddito. Per gran parte del ventesimo secolo, forti sindacati e la classe imprenditoriale aveva poca altra scelta che restare negli Stati Uniti, il che significava posti di lavoro costanti di classe media nella manifattura, con salari ragionevoli. Con la soppressione dei diritti sindacali e l’ascesa della globalizzazione neoliberista negli anni ’80, le imprese sono divenute improvvisamente libere di andarsene in paesi dove i salari erano inferiori. Questa svolta nel potere industriale è uno dei principali motori dietro il declino della manifattura statunitense. Anche se un salario minimo globale non può rovesciare interamente la tendenza, contribuirebbe ad arginarla. Significativamente, lo farebbe senza appellarsi al nazionalismo. Demagoghi di destra da Donald Trump negli Stati Uniti a Marine Le Pen in Francia a Jair Bolsonaro in Brasile capitalizzano i fallimenti del sistema neoliberista globale rendendo capri espiatori i lavoratori di altri paesi. Persino molti inizialmente progressisti sono caduti nella trappola nazionalista. Una campagna per un salario minimo globale, per contro, rivelerebbe la realtà: che i lavoratori condividono più interessi oltre i confini con altri lavoratori di quanti ne condividano con il capitale nel proprio determinato paese. Un tale movimento contribuirebbe a fare da catalizzatore alla solidarietà globale e a costruire il potere della classe lavoratrice necessario per conseguire numerosi altri obiettivi globali, tra cui una politica commerciale alternativa e un nuovo Bretton Woods. Non c’è dubbio che la realizzazione di un salario minimo globale incontri numerosi ostacoli. Stabilire come funzionerebbe concretamente – dal calcolo del salario effettivo alla definizione di un meccanismo di controllo – è cruciale. Alcuni hanno proposto una semplice formula basata su una percentuale del salario medio nazionale. Altri suggeriscono una misura più complessa che tenga conto del costo della vita e del tenore di vita nazionale. L’attuazione potrebbe prendere a modello la legge commerciale internazionale, con un organismo come l’Organizzazione Mondiale del Commercio che agisca da sede di accordi multilaterali su obiettivi e un arbitro di dispute tra stati. Tali questioni tecniche presentano sfide, ma non sono insormontabili. Più difficile è costruire la necessaria volontà politica. Ma ci sono precedenti per cambiamenti istituzionali globali di questa portata. Dalla creazione dell’ILO dopo la Prima guerra mondiale a quella delle Nazioni Unite dopo la Seconda, momenti di crisi alimentano opportunità politiche. Con l’ordine neoliberista mondiale in bilico sul precipizio, il nazionalismo di destra in ascesa e la catastrofe climatica che alimenta ed è alimentata da entrambi, questo è decisamente uno di tali momenti. Accademici rispettati, da Thomas Palley a Jason Hickel al Premio Nobel Muhammad Yunus, sono già forti promotori di un salario minimo globale. Al livello della base la International Convention for a Global Minimum Wage, l’Asia Floor Wage Alliance e Justice Is Global stanno già facendo diventare popolare la politica. Partiti di sinistra nella UE hanno proposto una versione continentale. E campagne esistenti, quali quelli per un Global Green New Deal e un New Social Contract, potrebbero opportunamente incorporare nel loro programma un salario minimo globale. Il movimento per un salario minimo globale è già iniziato. Nel centesimo anniversario dalla sua creazione l’ILO ha un’occasione unica per diventare leader di questo movimento nascente. Chiedendo un salario minimo globale l’ILO, nell’entrare in un altro secolo, farebbe un passo cruciale in avanti nella sua missione di giustizia sociale globale.
Michael Galant è membro in economia e commercio dei Young Professionals in Foreign Policy 2019 e recente dottorato in un master del programma di Politica Pubblica dell’Harvard Kennedy School of Government. E’ interessato alla costruzione di una solidarietà sociale per alternative di sinistra ai modelli neoliberisti della globalizzazione e dello “sviluppo” e si può raggiungere su Twitter a @michael_galant. Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-time-has-come-for-a-global-minimum-wage/
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