https://toba60.com/ Giugno 4, 2019
Degrado Civile. Obbiettivo delle Oligarchie al Potere di Antonella Randazzo
Come molti sanno, il gruppo egemone attuale non basa il suo potere soltanto sul controllo economico, politico e finanziario, ma anche sul creare una realtà gravemente involuta, che mette in crisi il necessario rispetto fra gli esseri umani e il senso civico.
Si tratta di creare un clima di “diseducazione civile”, in cui prevalga l’insulto sul dialogo, il pettegolezzo sull’informazione e l’insinuazione sulla verità. Uno dei casi più eclatanti di diseducazione civile è stato quello dell’enorme propaganda che si ebbe riguardo al tradimento sessuale di Bill Clinton, a cui i mass media statunitensi dettero così tanto risalto da creare appositi canali monotematici, come quello titolato “tutto su Monica giorno e notte”. Osserviamo che Clinton non fu messo mai alla gogna per i reali crimini commessi, ma per un fatto sessuale privato, che avrebbe dovuto interessare soltanto alla moglie. Potendo formulare l’accusa di spergiuro, Clinton è stato indotto a rispondere a domande molto personali, a cui, per evidenti motivi, egli non poteva rispondere con sincerità. Aveva tutto il diritto di sottrarsi a tali domande, poiché non riguardavano i suoi compiti da presidente, ma soltanto la sua vita privata, eppure fu sollevato un caso giudiziario clamoroso, e i media si dettero molto da fare per gonfiarlo oltre misura. Questo è un segno di diseducazione civile molto grave, che induce a credere che sia legittimo processare un personaggio politico non già per le vite umane che ha spezzato ma perché ha negato pubblicamente un tradimento sessuale. Il metodo dello scandalo sessuale è stato utilizzato parecchie volte dal gruppo dominante statunitense per mettere fuori gioco personaggi ritenuti “pericolosi” o per intimidire. Persino Martin Luther King fu spiato a lungo, fino a quando riuscirono a documentare un suo tradimento sessuale. Lo scandalo non scoppiò, evidentemente perché il personaggio era considerato talmente “pericoloso” da indurre a pianificare un ben altro trattamento. All’epoca, fu lo stesso direttore dell’Fbi, il famigerato Edgard Hoover a custodire un nastro che documentava il tradimento sessuale del leader nero. Il fatto fu reso noto soltanto venti anni dopo (la registrazione risaliva al 1964), all’interno di un’inchiesta che documentava tutte le “campagne” fatte contro Martin Luther King.
Da recente la vittima è stata l’ex governatore dello Stato di New York Eliot Spitzer, che è stato controllato a lungo e infine identificato come frequentatore di una squillo.
Dunque, occorrerebbe capire che sollevare questioni morali per creare uno scandalo e mettere fuori scena chi sta facendo qualcosa per smascherare i criminali, è comunque inaccettabile. Mettendo in piazza i fatti sessuali dei politici, si distoglie l’attenzione da cose ben più gravi, oppure si mette fuori gioco un avversario o un personaggio che cerca di sfuggire alle regole di regime. Anche i media italiani spesso danno notizie piccanti per distrarre i cittadini, dirottando l’attenzione su particolari non pericolosi per il sistema. Ad esempio, di tanto in tanto sentiamo notizie sulle performance sessuali di Berlusconi, e c’è stato anche il caso della lettera accorata della consorte. Queste notizie vengono enfatizzate dai più importanti quotidiani, come fossero informazioni, facendo capire che i media sono diventati spettacolo, intrattenimento, pettegolezzo di provincia, più che seria informazione. Il metodo dell’attacco personale è oggi promosso dal sistema in ogni campo. Ad esempio, quando numerosi cittadini statunitensi sollevarono la questione dell’illegittimità della loro tassa sul reddito (istituita dai banchieri nel 1913 e imposta senza alcuna legge perché anticostituzionale), le autorità iniziarono a calunniare e ad insultare le persone che chiedevano di vedere la legge che li obbligava a pagare la tassa. Non sapendo come giustificarsi, le autorità utilizzarono metodi diffamatori e involuti, che miravano a screditare e intimidire la persona, in modo tale che essa fosse indotta ad abbandonare la battaglia o ad abbassare la sua autostima. Coloro che sollevavano la questione si videro attaccare etichette come “tassifascisti” o “fanatici”, che dovevano servire a spostare l’attenzione sul “carattere” delle persone per sottrarla alla vera questione. Facendo diventare la questione “emotiva”, ossia basata su comportamenti assurdi, come colpire l’individuo, ci si voleva sottrarre dall’affrontare la questione razionalmente. Questi stessi metodi vengono utilizzati contro tutti coloro che sollevano questioni pericolose per il regime. Ad esempio, l’attore Charlie Sheen, nel 2006, in televisione disse che la versione ufficiale sull’11 settembre era assurda e andava rivista attraverso una commissione realmente indipendente. L’attore era preparato sul fatto che sarebbero state adottate tecniche per infamarlo, piuttosto che rispondere razionalmente ai dubbi sollevati, e disse: “amo il mio paese e i miei figli così tanto da fare questo”. Da lì a poco i media iniziarono a riportare notizie che lo mettevano in cattiva luce, e sembrava quasi che ogni fatto negativo fosse dovuto a lui. Egli fu etichettato come “clown” e accusato di essere arrogante. Per timore delle persecuzioni molti personaggi noti (attori, politici o giornalisti) non sollevano dubbi persino su questioni importanti come le guerre e il terrorismo. L’uso delle parole come etichette è molto efficace per impedire ulteriori approfondimenti o per denigrare una persona o un gruppo. Ad esempio i prefissi “anti” o “contro” creano un senso di negatività e dunque vengono utilizzati spesso per indicare persone o gruppi che cercano di far emergere i crimini del sistema. Troviamo la parola “antiamericano”, “controinformazione”, “antiglobalizzazione”. Le etichette servono anche a dare l’impressione di aver capito tutto e di non aver bisogno di approfondire. Le parole usate come etichette hanno un potere propagandistico enorme, e possono infamare senza dire nulla della vittima. Osservano gli studiosi Anthony R. Pratkanis e Elliot Aronson: “Le parole e le etichette che usiamo giungono a definire e a creare il nostro mondo sociale. Questa definizione della realtà dirige i nostri pensieri, i nostri sentimenti e la nostra immaginazione, e in tal modo influenza il nostro comportamento”.(1) Secondo molti esperti, una tecnica di persuasione efficace è quella di far circolare e far ripetere dai media falsità sull’avversario. Talvolta si tratta di accuse fatte con la “tecnica proiettiva”, cioè si accusa l’altro di cose che in realtà riguardano il proprio candidato. Ad esempio, durante l’ultima campagna di Bush junior, gli operatori cercavano di far apparire John Kerry come poco propenso a combattere per il proprio paese, mentre di fatto era Bush ad aver evitato persino il servizio militare. Chi ha maggiore potere mediatico ha più potere di infamare o mettere in cattiva luce chi ne ha meno o non ne ha. Questo spiega perché i gruppi minoritari o dissidenti, come le associazioni per i diritti umani o i no-global appaiono negativamente a chi non ha approfondito le questioni trattate da queste persone, mentre le “forze dell’ordine” o le autorità che si sono macchiate di delitti come la repressione e la partecipazione a guerre in paesi esteri appaiono come autorevoli. Un altro metodo per infamare le persone è quello di attribuire loro caratteristiche del sistema stesso, come la “censura”, la disinformazione, la faziosità o l’avidità. I gatekeepers del sistema talvolta creano confusione fra “moderazione” e “censura” facendo apparire la prima uguale alla seconda. Ma la differenza fra i due concetti è molto netta: mentre la moderazione serve a tenere “pulito” il sito dalla spazzatura degli insulti o di post non pertinenti, la censura ha lo scopo di tenere nascosti alcuni argomenti scottanti che il sistema ha interesse a non trattare. Ad esempio, sui siti di Grillo e di Travaglio vengono censurati argomenti come il Signoraggio o i crimini dello Stato d’Israele, che non saranno mai esclusi dai blog indipendenti, pur moderati. In altre parole, la censura si riconosce perché colpisce i contenuti non graditi al gruppo di potere. La moderazione serve a proteggere il sito ( o blog) mentre la censura serve a proteggere il sistema. Confondere i due concetti è tipico del gatekeeper, pagato per farlo e per mettere tutti nello stesso calderone, al fine di nascondere la pesante censura attuata dal gruppo di potere. Nel sistema attuale chi pensa con la sua testa viene accusato proiettivamente di essere “ideologizzato”, o di “fare politica”, di essere “fazioso” o di essere pagato da qualcuno. Spiega la scrittrice Viviane Forrester: “Non esiste attività più sovversiva. Più temuta… più diffamata (del solo fatto) di pensare… Da qui la lotta insidiosa, sempre più efficace, condotta oggi, come mai prima, contro il pensiero. Contro la capacità di pensare”.(2) Un altro modo per screditare contenuti pericolosi per il sistema o per tentare di svalutare ciò che viene detto in maniera del tutto indipendente e sganciata dal potere, è quello di lasciare commenti su video pubblicati su YouTube o su siti che ospitano tali contenuti. Di solito questi commenti si riconoscono perché puntano a destabilizzare con mezzi emotivi, senza porre una seria critica. Un altro modo per controllare e impedire il libero pensiero è quello di porre fazioni, allo scopo di stimolare una scelta che condizionerà dogmaticamente il pensiero o il comportamento. Ci viene detto dai media di regime che non esistono più ideologie, ma al contempo veniamo spinti a patteggiare o a schierarci per l’uno e per l’altro. In tal modo molti sono indotti a fare scelte irrazionali, ad esempio, se è di destra non aderisce alle iniziative promosse dalla sinistra, e viceversa. Lo scopo è quello di seminare irrazionali divisioni, anche su importanti aspetti che sarebbero vantaggiosi per tutti. E’ sufficiente dire che un’iniziativa o una battaglia è “di destra” per allontanare quelli che si professano “di sinistra”, e viceversa, senza riflettere autonomamente su ciò che si sta proponendo per decidere razionalmente anziché condizionati dagli schieramenti. Gatekeepers Ormai molto spazio nei telegiornali viene dedicato proprio alle interviste ai politici, e pochissimo alle vere questioni che sarebbero da trattare. Le questioni vengono poste in termini “La sinistra dice questo e la destra ribatte quest’altro” come se nella realtà non potesse esistere un percorso favorevole a tutti e si dovesse stornare l’attenzione sui contrasti piuttosto che sui percorsi che potrebbero migliorare il paese. Ad esempio, ormai molti si sono accorti del potere concesso dalle banche di determinare sviluppo o involuzione economica, e che una questione importante per la crescita economica è l’approvvigionamento di energia. Dunque, i veri politici dovrebbero discutere il modo per rivoluzionare il settore finanziario e cercare nuove fonti di energia rinnovabile e a basso costo. Se gli attuali politici non lo fanno è perché essi sono a servizio dei banchieri e dei grandi gruppi petroliferi ed economici, che perderebbero potere se si dovessero mettere in discussione gli attuali parametri finanziari ed energetici. Di conseguenza, vengono utilizzate tecniche incivili per confondere i cittadini, e per far credere che la politica è un settore “sporco”, in cui non ci sono altro che beghe, intrallazzi, calunnie, cattiverie e polemiche. A questo proposito si parla di “ideologia della notizia” ad intendere “una caratteristica talmente pervasiva della comunicazione da travolgere anche la distinzione tra stampa popolare e stampa di qualità”.(3) Grazie a queste caratteristiche il giornalismo attuale è un “guardiano del potere”, ovvero sostiene il potere nel non far trapelare verità scomode e utilizza tecniche per impedire una vera presa di coscienza dei cittadini sulla realtà finanziaria, politica, economica e mediatica. Si cerca persino di addolcire tutto questo facendo diventare l’informazione uno spettacolo attraente, emozionante oppure raccapricciante, ma comunque sempre emotivamente “forte”, e quanto possibile spettacolare. Gli obbiettivi principali sono la disinformazione, la distrazione e il condizionamento necessario ad integrarsi nel sistema. Spiega il giornalista Ignacio Ramonet: (Il telegiornale) “è strutturato per distrarre, non per informare… la successione di notizie brevi e frammentate ha un duplice effetto di sovrinformazione e di disinformazione: troppe notizie e troppo brevi… pensare di informarsi senza sforzo è un’illusione vicina al mito della pubblicità più che all’impegno civico”.(5) Oltre ad infamare, per mantenere il sistema occorre “vendere” paura, e dunque esistono anche i venditori di paura, ovvero coloro che vedono il futuro catastrofico, denso di problemi, e non propongono nulla per uscire da tale situazione, come se la catastrofe fosse inevitabile e non vi fossero precisi responsabili. Attraverso la paura si produce affezione al sistema, facendo credere che le attuali autorità vogliano proteggere la popolazione. Altri metodi di involuzione civile sono quelli che fanno leva sul senso di colpa. Si fa credere che i disastri politici, ecologici o finanziari siano responsabilità di tutti, mentre invece sono stati creati dal gruppo di potere, e la sola responsabilità dei popoli è quella di ignorare ciò e credere di non poter abbattere il potere iniquo attuale.
La diseducazione civile e le diverse tecniche di spettacolarizzazione della sofferenza mirano a generare cinismo e indifferenza. Molti studiosi hanno accertato che in casi di sovraesposizione informativa o in cui le informazioni date stimolano l’accettazione di fatti criminali assai gravi, le persone, per salvaguardare l’equilibrio psichico, iniziano ad alimentare l’indifferenza e talvolta anche il cinismo. Osserva la scrittrice Viviane Forrester: Oppure si erge la sofferenza a spettacolo. I vissuti emotivi delle persone diventano spettacolo, la donna che deve abortire perché non ha un lavoro, l’uomo sulla sedia a rotelle, il malato terminale, la donna che subisce violenza, ecc. diventano personaggi televisivi, facendo così raggiungere due importanti obiettivi a chi controlla la Tv: risparmiare il denaro che i professionisti della televisione chiederebbero e attrarre emotivamente il pubblico. Inoltre, portare in Tv il disoccupato o il precario serve a far dimenticare che le istituzioni esistono per proteggere i diritti dei cittadini, e non dovrebbe essere necessario andare in Tv per suscitare compassione allo scopo di essere aiutati. Tuttavia, le questioni vengono trattate in modo non corretto: ad esempio viene formulata la domanda “I cibi che compriamo sono genuini?” ponendo la questione in modo “aperto”. In altre parole, non si fa capire che almeno l’80% degli alimenti venduti nei supermercati contiene sostanze potenzialmente nocive, e si lascia nel dubbio per evitare che le persone capiscano come stanno veramente le cose. In queste trasmissioni non appare mai nessun responsabile dei problemi, e sembra che anche la realtà più paradossale debba essere considerata ambivalente e, tutto sommato, da accettare. Questo accade perché i nostri media non sono a servizio dei cittadini, ma hanno la funzione di proteggere il sistema e di tutelare gli interessi delle grandi corporation e delle banche.
Negli ultimi anni, sull’onda dell’informazione-spettacolo, si è tentato di svilire lo stesso giornalismo, organizzando momenti di litigio e beghe di vario genere, in cui i personaggi appaiono in preda all’ira o presi dal più vanaglorioso egocentrismo.
Racconta il giornalista e scrittore Paolo Murialdi: “(Negli anni Novanta) In un giornalismo già contrassegnato dal nervosismo, gli scontri… assumono un linguaggio e toni esasperati. Un campionario di vocianti che sbraitano dai teleschermi o sulle pagine dei giornali, come fanno Vittorio Sgarbi e Giuliano Ferrara, non si era ancora visto nel giornalismo italiano… In sostanza, sta crescendo la politicizzazione partigiana del giornalismo stampato e televisivo che è diventato più nevrotico, con eccessi di sensazionalismo e di fracasso”.(8) Questo tipo di giornalismo, purtroppo, si è affermato perché è conveniente al sistema dare spazio a chi non è interessato ad informare correttamente, ma a mettersi in mostra, ad apparire di frequente nei media di massa, per acquisire credibilità sulla base della familiarità. Occorre anche ricordare che esistono sempre meno giornalisti che vanno sul “campo” o che commentano in modo autonomo le notizie. Oggi le notizie vengono fornite dalle agenzie di stampa accreditate, e spesso i giornalisti non verificano le fonti e non le mettono in discussione anche quando appaiono dissonanti o illogiche. I giornalisti di regime, sono interessati, oltre che al guadagno, anche all’apparire i migliori, i “vincitori” delle beghe mediatiche che essi stessi innescano. Le beghe sono alimentate dalla creazione di un “centro-destra” e di un “centro-sinistra”, che permettono sempre nuove occasioni di scontro, facendo in modo che i reali interessi degli italiani cadano nel dimenticatoio. Questi giornalisti diventano agitatori faziosi, arroganti e aggressivi, come se per informare si dovesse lottare gli uni contro gli altri e non basarsi sulle conoscenze e sui fatti. Si applica la legge del più forte anche ai media, e chi ostenta vanagloria, egocentrismo, cinismo, disinteresse assoluto verso i criteri dell’informazione corretta, diventa personaggio mediatico, promosso e divulgato come un prodotto funzionale al sistema, e dunque “giusto”. Al contrario, chi non ha mire egocentriche, e tiene fede ai vecchi valori dell’informazione, risulta non adattato alla nuova corrente e dunque destinato a raggiungere un pubblico esiguo, o a cambiare mestiere. In un contesto in cui la politica e il giornalismo vengono personalizzati, i media stimolano gli elementi emotivi, affinché i personaggi proposti vengano accolti sulla base della loro immagine mediatica, e non su fatti o competenze reali. In altre parole, se un politico non mantiene le sue promesse o viene messo sotto indagine, o un giornalista di regime non dice tutta la verità o evita argomenti scottanti, all’interno del clima emotivo questi individui non perderanno il loro ruolo, e a loro favore potranno esserci nuove suggestioni o altre “promozioni” mediatiche. Oggi anche i ruoli tendono ad essere confusi, e un giornalista può diventare, direttamente o indirettamente, un promotore politico. Osservano Paolo Murialdi e Nicola Tranfaglia: “(La professione giornalistica in Italia) ha subito pesantemente – e anche accettato, grazie alla sua contiguità con la politica – una pratica lottizzatrice, o di appartenenza, da parte dei partiti, soprattutto di governo, che ha sostituito alla qualità dei candidati la loro fedeltà ai referenti politici con risultati disastrosi”.(9)
E’ diventato normale che un giornalista abbia una tessera di partito, in quanto servitore di una determinata fazione politica. Coloro che si rifiutano di aderire ad una precisa area politica non hanno più posto nel panorama mediatico ufficiale. Anche Travaglio, che è conosciuto come colui che denuncia le magagne politiche, durante l’ultima campagna politica, si è affrettato a precisare che avrebbe votato per “l’Italia dei Valori”, gruppo che poi sarebbe stato inglobato nel Partito Democratico. Certo, un giornalista può anche avere le sue opinioni politiche, ma, quale personaggio mediatico, egli non dovrebbe diventare un’esca per influenzare politicamente i suoi “fans”. Se lo diventa è legittimo pensare che egli non sia così “neutrale” come vorrebbe far credere. Il sistema attuale ha interesse a che le persone non riconoscano ciò che è a loro favore e ciò che non lo è. Il problema più grave è che le persone si abituano al clima di esternazioni politiche, rissa, di prevaricazione e di cinismo che sta dilagando nel mondo mediatico e politico, e prendono per buono tutto quello che accade, svalutandone la gravità e il danno prodotto. In tal modo viene accettato il giornalista che informa a metà o che mistifica, e il politico che in campagna elettorale crea suggestioni e promette tutto a tutti, senza sentirsi in dovere di spiegare concretamente cosa farà e come. Negli anni Novanta c’era ancora qualcuno che attraverso i media ufficiali denunciava tale degrado. Ad esempio, scriveva sul “Corriere della sera” del 29 novembre 1994, Franco Fortini: “chi finge di non vedere il ben coltivato degrado della qualità informativa… nella stampa e sul video, è complice di quelli che lo sanno, gemono e vi si lasciano dirigere… Come lo fu nel 1922 e nel 1925. Non fascismo. Ma oscura voglia, e disperata, di dimissione e servitù; che è cosa diversa. Sono vecchio abbastanza per ricordare come tanti padri scendevano a patti, allora, in attesa che fossero tutti i padri a ingannare tutti i figli. Cerchiamo almeno di diminuire la quota degli ingannati. Ripuliamo la sintassi e le meningi”. Oggi purtroppo tale degrado non è raccontato quasi mai dai canali ufficiali, se non in modo generico e retorico, senza mai andare a vedere quanto sia grave tale situazione per la democrazia, e quali siano le origini. Nei canali ufficiali di solito vengono assunti i giornalisti meno critici, e più disposti ad obbedire al “capo”, che fingono di denunciare la disinformazione ma di fatto la propugnano. In alcuni casi i giornalisti fanno a gara per proteggere il sistema, anche a costo di perdere ogni dignità professionale e di mettersi gli uni contro gli altri. Ad esempio, un gruppo di giornalisti che lavora per giornali come “Il Foglio”, “Il Giornale” e “La Repubblica” si è attivato per difendere uno dei tanti politici in odore di mafia, contro il loro collega Marco Travaglio. Quest’ultimo, durante la trasmissione “Che tempo che fa” aveva detto che Schifani “era amico di mafiosi“, sollevando un vespaio. Dato che ormai nessun giornalista solleva tali questioni, sembrava quasi “normale” scagliarsi contro Travaglio senza approfondire se quello che stava dicendo fosse vero. L’asserzione era veritiera. Renato Schifani, oggi diventato Presidente del Senato, in passato si sarebbe occupato del piano urbanistico del comune di Villabate (fino alla seconda metà degli anni ’90), progetto che lo vide attivo nell’appoggiare Nino Mandalà. Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all’epoca presidente del consiglio comunale di Villabate sostiene, suffragato da alcune intercettazioni, che “Le 4 varianti al piano regolatore… furono tutte concordate con Schifani”. In parole semplici, Mandalà si era accordato con Schifani e La Loggia per attuare un determinato piano urbanistico che avrebbe penalizzato gli interessi della famiglia mafiosa avversaria.
Schifani ha sempre avuto soci mafiosi: Nel 1979 iniziò a far parte di una società di brokeraggio assicurativo insieme a personaggi (Nino Mandalà e Benny D’Agostino) che nel 1990 saranno incriminati per associazione mafiosa o concorso esterno in associazione mafiosa. Successivamente, fondò una società insieme ad Antonino Garofalo, che sarà rinviato a giudizio nel 1997 per usura ed estorsione. Schifani, oltre ad associarsi “casualmente” con mafiosi, ha mostrato anche di stare dalla loro parte e di non prendere molto sul serio l’esigenza di allontanarli dalla politica. Ad esempio, auspicava che Totò Cuffaro restasse al suo posto anche se condannato per mafia. Inoltre, ha cercato di proteggere gli interessi dei mafiosi presentando nel 2005 il progetto di legge numero 600, allo scopo di modificare la legge sulle confische e sui sequestri. Schifani è tanto generoso con i mafiosi quanto poco lo è con coloro che sinceramente combattono la mafia. Ad esempio, non perde occasione per tentare di screditare persone come Maria Falcone e Rita Borsellino, accusandole di fare “uso politico del loro cognome”. Insomma, in linea con la sua affiliazione partitica, e fedele alle sue ambizioni, Schifani è interessato a non contrariare gli “amici”, e per questo la sua carriera politica si è fatta alquanto brillante. Gli unici a non capire il passato non pulitissimo di Schifani sembrano essere i giornalisti che si sono accaniti contro Travaglio, mostrando uno zelo perlomeno sospetto nell’intento di far capire che esser stato amico di mafiosi non vorrebbe dire nulla, accusando lo stesso Travaglio di aver avuto amicizie del genere. A questo scopo è stato creato una specie di gossip su Travaglio. Da bravi servi del potere, pur di difendere un personaggio di regime diventato “importante” miravano a far apparire Travaglio come colui che intratterrebbe rapporti con mafiosi, sminuendo il significato dei rapporti con i mafiosi dell’attuale Presidente del Senato. E’ saltato fuori che Travaglio aveva trascorso una vacanza nella villa di Pippo Ciuro, condannato successivamente per favoreggiamento alla mafia (precisamente del clan mafioso di Michele Aiello). Egli avrebbe trascorso le vacanze come ospite nel suo residence, e per questo è stato accusato dal giornalista de “La Repubblica” Giuseppe D’Avanzo di avere amicizie non tanto pulite. Per difendersi, Travaglio tirò fuori gli assegni con i quali avrebbe pagato la vacanza, sostenendo di non essere stato ospite del mafioso. A questo punto il giornalista Filippo Facci disse che Travaglio aveva mostrato soltanto le ricevute emesse nel 2002 e non quelle della vacanza fatta nel 2003. Di conseguenza, Travaglio si affrettò a precisare che avrebbe mostrato anche le ricevute del 2003. Molti si sono resi conto che Travaglio non è così obiettivo come vorrebbe fra credere (a questo proposito si veda: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/07/castronerie-varie.html), ma questo non vuol dire che bisogna colpirlo pur di difendere un politico in odore di mafia.
Il punto è: i giornalisti servi del potere volevano mettere sullo stesso piano Travaglio e Schifani, cercando di nascondere che Schifani ha poteri e grandi responsabilità politiche, mentre Travaglio è soltanto un giornalista. Inoltre, esistono prove dei legami fra Schifani e alcuni mafiosi, mentre non ne esistono riguardo a Travaglio e i presunti “amici” segnalati dai suoi colleghi. Tutti sanno che i politici attuali non sono lì a difendere gli interessi del popolo, che hanno la funzione di proteggere il sistema, e dunque anche la mafia che ne fa parte. Di conseguenza, Schifani, avendo intessuto rapporti con mafiosi, fa quello che prima di lui hanno fatto Andreotti, Ciancimino e moltissimi altri. Nel sistema attuale è un “dovere” dei politici che stanno più in alto quello di proteggere la mafia, e dunque di entrarvi in contatto. Politica e mafia vanno a braccetto, e lo testimoniano i numerosi casi di “amicizia” fra i politici del passato e quelli attuali, e i personaggi che prima o poi vengono inquisiti per mafia. Sarebbe dovere di tutti i giornalisti non nascondere questa tragica realtà, ma molti di quelli che fanno “carriera” e che presenziano ai programmi televisivi lo fanno. Nel contesto attuale persino la manipolazione dell’informazione può essere spacciata come “normale”. Lo scrittore Bruno Ballardini osserva che addirittura nei settori specifici possono essere utilizzati termini come “disinformazione costruttiva” per indicare i metodi di manipolazione delle informazioni. Un manuale statunitense che tratta tali metodi prende il titolo: “Come manipolare i mass media: metodi di guerriglia per far passare le vostre informazioni alla TV, alla Radio, nei giornali”,(10) facendo credere che l’informazione richieda, più che abilità giornalistiche, capacità aggressive e manipolatorie. Come osserva lo studioso Luciano Canfora, c’è il pericolo di “una vasta, capillare ed efficace diseducazione di massa, resa possibile nelle società cosiddette avanzate o complesse dalla potenza, oggi illimitata, degli strumenti di comunicazione e manipolazione delle menti”.(11) Per determinare un contesto di civiltà atto a creare una vera democrazia bisognerebbe fare tutto il contrario di ciò che fa il sistema attuale. Ossia bisognerebbe riportare l’ambito politico alla serietà che dovrebbe avere, evitando spettacoli, esibizioni e attacchi personali. Bisognerebbe discutere i veri problemi delle persone: il lavoro, la crescita economica, la sovranità finanziaria, ecc. Bisognerebbe porre le giuste priorità, e attribuire responsabilità a coloro che ricoprono cariche istituzionali. Bisognerebbe valutare attentamente e obiettivamente le notizie che ci vengono date, senza appioppare etichette o limitarsi a stabilire chi è “anti” e chi è “pro”. Andrebbero valutati i contenuti senza stabilire fazioni. In una società realmente democratica non c’è bisogno di creare un clima di diffidenza, divisioni e beghe.
Creare un clima gravemente involuto si rende necessario nei sistemi in cui non c’è libertà e gli individui vengono mentalmente modellati secondo schemi provenienti dall’alto. Per difendersi da tutta questa spazzatura mediatica e politica occorre cercare di capire le varie strategie di diseducazione che ogni giorno subiamo. Non c’è nessuna vera civiltà che possa basarsi su una politica-spettacolo o su un’informazione manipolata e congegnata per rendere passivi e sottomessi al potere. Un modo per difendersi è comprendere appieno quello che sta accadendo, senza sentirsi al di sopra di tutto questo, e abituarsi a fare cose “sane”, come leggere buoni libri, utilizzare fonti informative indipendenti, avere una vita sociale ricca e praticare attività costruttive. L’involuzione civile è la morte di un futuro umano degno di essere vissuto. Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale di questo articolo, inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Antonella Randazzo. Per la riproduzione integrale o di parti dell'articolo occorre richiedere l'autorizzazione scrivendo all'indirizzo e-mail giadamd@libero.it
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