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22 Agosto 2019

 

Gli Stati Uniti appoggiano la xenofobia e la violenza della folla a Hong Kong

di Dan Cohen

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

Il presidente Donald Trump ha scritto su Twitter il 13 agosto di “non riuscire a immaginare perché” gli Stati Uniti siano stati incolpati delle caotiche proteste che hanno attanagliato Hong Kong

 

Lo stupore di Trump può essere comprensibile, considerando la narrazione attentamente gestita dal governo USA e dal suo apparato mediatico non ufficiale, che hanno presentato le proteste come un’organica espressione “pro democrazia” di giovani di base. Tuttavia uno sguardo sotto la superficie di questo copione ipersemplificato a favor di televisione rivela che la rete ferocemente anticinese dietro le dimostrazioni è stata coltivata con l’aiuto di milioni di dollari provenienti dal governo statunitense e anche da un magnate locale dei media collegato a Washington.

Da marzo, rumorose proteste hanno attanagliato Hong Kong. In luglio e in agosto tali dimostrazioni si sono trasformate in preoccupanti manifestazioni di xenofobia e di violenza di folla.

Le proteste sono iniziate apparentemente in opposizione alla proposta di un emendamento alla legge sull’estradizione tra Hong Kong, Taiwan, la Cina continentale e Macau, che avrebbe consentito ad autorità taiwanesi di processare un uomo di Hong Kong per aver assassinato la sua fidanzata incinta e aver scaricato il suo corpo nei cespugli durante una vacanza a Taiwan.

Reti molto organizzate di dimostranti anticinesi si sono rapidamente mobilitare contro la legge, costringendo l’amministratrice di Hong Kong, Carrie Lam, a ritirare la proposta di legge.

Ma le proteste sono proseguite anche dopo che la legge sull’estradizione era stata tolta dal tavolo, e tali dimostrazioni sono degenerate in scene inquietanti. In giorni recenti, centinaia di dimostranti mascherati hanno occupato l’aeroporto di Hong Kong costringendo alla cancellazione di molti voli in arrivo e contemporaneamente molestando viaggiatori e aggredendo duramente giornalisti e poliziotti.

Gli obiettivi dichiarati dei dimostranti restano vaghi. Joshua Wong, una delle figure più note del movimento, ha promosso una richiesta al governo cinese di “ritirare l’affermazione che le proteste erano rivolte” e ha riaffermato la richiesta di unanimità per il suffragio universale.

Wong è un ventiduenne occhialuto che è stato pubblicizzato dai media occidentali come un “attivista per la libertà”, promosso al mondo di lingua inglese attraverso il suo documentario Netflix e premiato con il sostegno del governo statunitense.

Ma dietro portavoce telegenici come Wong ci sono elementi più estremi, come il Partito Nazionale di Hong Kong, i cui membri sono apparsi a proteste agitando la bandiera a stelle e strisce e cantando a squarciagola versioni cacofoniche dello Star-Spangled Banner. La dirigenza di questo partito ufficialmente al bando ha contribuito a rendere popolare la richiesta di una completa indipendenza di Hong Kong, un obiettivo radicale che è musica per le orecchie degli integralisti di Washington.

Il risentimento xenofobo ha definito la sensibilità dei dimostranti, che promettono di “riprendere Hong Kong” dai cinesi continentali che dipingono come orde di locuste. I dimostranti hanno anche adottato uno dei simboli più diffusamente riconosciuti della destra alternativa, esibendo immagini di Pepe la Rana nei loro scritti di protesta. Anche se non è chiaro se i residenti di Hong Kong considerano Pepe allo stesso modo dei nazionalisti bianchi statunitensi, membri dell’estrema destra statunitense hanno sposato il movimento di protesta come proprio e si sono persino uniti ai suoi ranghi.

Tra gli influenzatori più centrali delle dimostrazioni c’è un magnate locale di nome Jimmy Lai. Autodefinitosi “capo dei media di opposizione”, Lai è diffusamente descritto come il Rupert Murdoch dell’Asia. Per le masse dei dimostranti Lai è una figura trascendentale. Strepitano per foto con lui e applaudono all’impazzata l’oligarca quando passa per il loro accampamenti.

Lai ha creato le sue credenziali riversando milioni di dollari nella protesta di Occupy Central del 2014, che è nota popolarmente come Movimento degli Ombrelli. Da allora ha usato la sua grande fortuna per finanziare locali burattinai anticinesi somministrando contemporaneamente un genere virulento di sinofobia attraverso il suo impero mediatico.

Anche se i media occidentali hanno dipinto i dimostranti di Hong Kong come la voce di un intero popolo che anela alla libertà, l’isola è profondamente divisa. In questo agosto un gruppo di manifestanti si è mobilitato fuori dalla casa di Jimmy Lai denunciandolo come “lacchè” di Washington e accusandolo di tradimento nazionale per aver scatenato il caos nell’isola.

Giorni prima Lai era a Washington a coordinarsi con i membri oltranzisti della squadra della sicurezza nazionale di Trump, tra cui John Bolton. I suoi legami con Washington sono profondi, e così quelli dei capi del fronte della protesta.

Milioni di dollari sono affluiti da canali statunitensi di cambiamento di regime, come il Fondo Nazionale per la Democrazia (NED), a organizzazioni politiche e della società civile che costituiscono la spina dorsale della mobilitazione anticinese. E Lai li ha integrati con la propria fortuna istruendo contemporaneamente i dimostranti sulle tattiche attraverso i suoi vari organi mediatici.

Con Donald Trump alla Casa Bianca, Lai è convinto che il suo momento può essere all’orizzonte. Trump “capisce i cinesi come nessun altro presidente li ha capiti”, ha dichiarato il magnate al The Wall Street Journal. “Penso che sia molto in gamba nel trattare con delinquenti”.

 

Nato da ricchi genitori continentali

Nato sul continente nel 1948 da genitori ricchi, la cui fortuna fu espropriata dal Partito Comunista durante la rivoluzione l’anno seguente, Jimmy Lai cominciò a lavorare a nove anni, trasportando bagagli per viaggiatori delle ferrovie durante gli anni duri della Grande Carestia Cinese.

Ispirato dal sapore di un pezzo di cioccolata regalatogli da un ricco, decise di trasferirsi clandestinamente a Hong Kong per scoprire un futuro di ricchezza e lussi. Là, Lai si fece strada nei ranghi dell’industria dell’abbigliamento, crescendo innamorato delle teorie iperliberiste degli economisti Friedrich Hayek e Milton Friedman, quest’ultimo divenuto suo intimo amico.

Friedman è famoso per aver sviluppato la teoria neoliberista della terapia shock che gli Stati Uniti hanno imposto in numerosi paesi, con la conseguenza della morte in eccesso di milioni di persone. Per parte sua, Hayek è il padrino della scuola economica austriaca che costituisce il fondamento dei movimenti politici iperliberisti di tutto l’occidente.

Lai ha costruito il suo impero economico su Giordano, un marchio di abbigliamento che è divenuto uno dei più riconoscibili dell’Asia. Nel 1989 ha gettato il suo peso sulle proteste di Piazza Tienanmen, vendendo magliette nelle strade di Pechino che chiedevano a Deng Xiaoping di “dimettersi”.

Le azioni di Lai hanno provocato il governo cinese a mettere al bando la sua società dall’operare nel continente. Un anno dopo egli ha fondato la rivista Next Weekly, avviando un processo che avrebbe rivoluzionato il paesaggio mediatico di Hong Kong con una miscela di sudicio giornalismo in stile scandalistico, pettegolezzi sulle celebrità e una pesante dose di manipolazione anticinese.

Il veemente barone anticomunista è divenuto presto il padrino mediatico di Hong Kong, con un enorme patrimonio di 660 milioni di dollari nel 2009.

Oggi Lai è il fondatore e azionista di maggioranza di Next Digital, la più vasta società mediatica quotata a Hong Kong, che egli utilizza per promuovere agitazioni per la fine di quella che chiama la “dittatura” cinese.

La sua attività ammiraglia è il popolare giornale scandalistico Apple Daily, che impiega come marchio di fabbrica una miscela di materiale volgare con una pesante dose di propaganda xenofoba nativista.

Nel 2012 Apple Daily ha pubblicato una pubblicità a pagina intera che presentava i cittadini cinesi continentali come un’invasione di locuste che drenavano le risorse di Hong Kong. La pubblicità chiedeva la fine dell’”illimitata invasione di Hong Kong di donne incinte della terraferma”. (Si trattava di un rozzo riferimento alle cittadine cinesi incinte che si erano riversate nell’isola per assicurarsi che i loro figli potessero ottenere la residenza a Hong Kong e assomigliava al risentimento della destra statunitense contro i “bambini ancora”).

 

Annuncio sull’Apple Daily di Lai: “Basta! Fermiamo l’invasione illimitata di gravide dalla terraferma!”

 

La trasformazione dell’economia di Hong Kong ha offerto un terreno fertile per il genere di demagogia di Lai. Quando la base manifatturiera del paese si è trasferita nella Cina continentale dopo gli anni d’oro ’80 e ’90, l’economia è stata rapidamente finanziarizzata, arricchendo oligarchi come Lai. Lasciata con un debito crescente e affiochite prospettive di carriera, la gioventù di Hong Kong è divenuta facile preda della politica demagogica del nativismo.

Molti manifestanti sono stati visti agitare bandiere britanniche in settimane recenti, esprimendo una voglia di un passato immaginario sotto il controllo coloniale che loro non hanno mai personalmente sperimentato.

A luglio dimostranti hanno vandalizzato l’Ufficio di Collegamento di Hong Kong, scrivendo con lo spray la parola “Shina” sulla sua facciata. Questo termine è un’ingiuria xenofoba usata a Hong Kong e Taiwan per riferirsi alla Cina continentale. Il fenomeno anticinese è stato visibile anche durante le proteste del 2014 del Movimento degli Ombrelli, con manifesti affissi in tutta la città che dicevano: “Hong Kong  ai suoi cittadini”.

In questo mese i dimostranti hanno rivolto la loro furia contro la Federazione dei Sindacati di Hong Kong, con “rivoltosi” che ne imbrattato l’ufficio con la vernice spray. L’attacco ha rappresentato il risentimento per il ruolo del gruppo di sinistra in una violenta rivolta del 1967 contro le autorità coloniali britanniche, che sono oggi considerate eroi da molti dei dimostranti anticinesi.

Oltre a Lai, larga parte del credito per la mobilitazione della xenofobia latente va al leader del Partito Indigeno di Hong Kong, di destra, Edward Leung. Sotto la direzione del ventottenne Leung, il suo partito filo-indipendentista ha brandito bandiere coloniali britanniche e ha pubblicamente molestato turisti cinesi della terraferma. Nel 2016 è stato rivelato un incontro di Leung con funzionari diplomatici statunitensi in un ristorante locale.

Anche se è attualmente in carcere per aver guidato nel 2016 una rivolta in cui la polizia è stata bombardata di mattoni e di pezzi di marciapiede – e dove ha ammesso di aver aggredito un agente – la politica di destra di Leung e il suo slogan, “Riprendiamoci Hong Kong”, hanno contribuito a definire le proteste in corso.

Un parlamentare locale e leader delle proteste ha descritto Leung al The New York Times come “il Che Guevara della rivoluzione di Hong Kong”, riferendosi senza ironia al rivoluzionario comunista latino-americano ucciso in un’operazione appoggiata dalla CIA. Secondo il Times Leung è “la cosa più prossima a un faro guida che abbia il movimento di protesta tumultuoso e privo di capi di Hong Kong”.

La sensibilità xenofoba dei dimostranti ha offerto un terreno fertile di reclutamento al Partito Nazionale di Hong Kong (HKNP). Fondato dall’attivista filo-indipendentista Andy Chan, il partito ufficialmente al bando combina risentimento anticinese con appelli all’intervento degli Stati Uniti. Sono emerse immagini e video di membri dello HKNP che agitavano bandiere degli Stati Uniti e del Regno Unito, cantando l’inno nazionale statunitense e portando bandiere che esibivano immagini di Pepe la Rana, il simbolo più riconoscibile della destra alternativa statunitense.

Anche se il partito è privo di una vasta base di sostegno popolare, è forse la voce più esplicita nei ranghi della protesta e in conseguenza ha attirato un’attenzione internazionale sproporzionata. Chan ha chiesto a Trump di intensificare la guerra commerciale e ha accusato la Cina di attuare una “pulizia nazionale” contro Hong Kong. “Siamo stati un tempo colonizzati dai britannici e oggi lo siamo dai cinesi”, ha dichiarato.

Esibizioni di sciovinismo filostatunitense nelle strade di Hong Kong sono state un invito a nozze per l’estrema destra internazionale.

Il fondatore di Patriot Prayer, Joey Gibson, è recentemente comparso a una protesta contro le estradizioni a Hong Kong, trasmettendo in diretta l’evento alle sue migliaia di sostenitori. Un mese prima, Gibson era stato visto malmenare attivisti antifascisti al fianco di fascisti brandenti bastoni. A Hong Kong l’organizzatore della destra alternativa è rimasto ammirato dalle folle.

“Qui amano la nostra bandiera più di quanto si faccia negli Stati Uniti!” ha esclamato Gibson mentre passava il corteo dei manifestanti che gli mostravano il pollice in alto mentre agitava la bandiera a stelle e strisce.

 

Propaganda xenofoba

Tale propaganda xenofoba è coerente con la teoria dello scontro di civiltà che Jimmy Lay ha propagandato attraverso il suo impero mediatico.

“Si deve capire che la gente di Hong Kong – una popolazione minuscola di sette milioni o lo 0,5 per cento di quella cinese – è molto diversa dal resto dei cinesi in Cina, perché noi cresciamo in valori occidentali, il che è stato l’eredità del passato coloniale britannico, che ci ha dato l’istinto di ribellarci una volta che questa legge sull’estradizione stava minacciando la nostra libertà”, ha dichiarato Lai a Maria Bartiromo di Fox News. “Anche gli Stati Uniti devono guardare al mondo a vent’anni da oggi, che si voglia che i valori dittatoriali cinesi dominino questo mondo oppure si voglia che continuino i valori di cui voi fate tesoro”.

Nel corso di un dibattito presso lo studio di esperti neoconservatore con sede a Washington, la Fondazione per la Difesa delle Democrazie, Lai ha detto al lobbista filoisraeliano Jonathan Schanzer: “Dobbiamo sapere che gli Stati Uniti sono al nostro fianco. Sostenendoci, gli Stati Uniti stanno anche seminando in accordo con la volontà della loro autorità morale, perché noi siamo l’unico luogo in Cina, una minuscola isola in Cina, che condivide i vostri valori, che sta combattendo la stessa vostra guerra con la Cina”.

Anche se Lai non fa alcun tentativo di celare la propria agenda politica, il suo finanziamento di figure centrali di Occupy Central nel 2014, o delle proteste del Movimento degli Ombrelli, non è sempre stato pubblico.

Email trapelate hanno rivelato che Lai ha versato più di 1,2 milioni di dollari a partiti politici anticinesi, tra cui 637.000 dollari al Partito Democratico e 382.000 dollari al Partito Civico. Lai ha anche dato 115.000 dollari alla Fondazione per l’Educazione Civica di Hong Kong e alla Rete di Sviluppo Democratico di Hong Kong, entrambe co-fondate dal reverendo Chu Yiu-ming. Lai ha anche speso 446.000 dollari per il referendum non ufficiale di Occupy Central del 2014.

Il consigliere [in italiano nel testo] statunitense di Lai è un ex analista dello spionaggio della marina che è stato interno presso la CIA e ha fatto leva sui suoi collegamenti con lo spionaggio per costruire l’impero economico del suo boss. Di nome Mark Simon, la spia veterana ha organizzato per l’ex candidata alla vicepresidenza Repubblicana Sarah Palin un incontro con un gruppo nell’accampamento anticinese durante una visita del 2009 a Hong Kong. Cinque anni dopo Lai ha versato 75.000 dollari all’autore neoconservatore della guerra dell’Iraq e Vicesegretario USA alla Difesa Paul Wolfowitz perché organizzasse un incontro con figure militari di vertice in Myanmar.

Lo scorso luglio, mentre le proteste a Hong Kong prendevano vigore, Lai è partito per Washington, D.C., per incontri con il Vicepresidente Mike Pence, il Segretario di Stato Mike Pompeo, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton e i senatori Repubblicani Ted Cruz, Cory Gardner e Rick Scott. Il corrispondente di Bloomberg New Nicholas Wadhams ha osservato, a proposito della vita di Lai: “Molto insolito per un visitatore [non governativo] ottenere quel genere di accesso”.

Anche a uno dei più stretti alleati di Lai, Martin Lee, è stato concessa un’udienza con Pompeo, e ha tenuto banco con dirigenti statunitensi, tra cui la deputata Nancy Pelosi e l’ex vicepresidente Joseph Biden.

Tra le figure di maggior spicco dei partiti politici filostatunitensi di Hong Kong, Lee ha iniziato a collaborare con Lai durante le proteste di Piazza Tienanmen nel 1989. Un destinatario del “Premio per la Democrazia” nel 1997, finanziato dal Fondo Nazionale per la Democrazia statunitense, Lee è presidente fondatore del Partito Democratico di Hong Kong, oggi considerato parte della vecchia guardia dello schieramento filostatunitense.

Anche se Martin Lee è stato a lungo molto visibile sulla scena filoccidentale di Hong Kong, una generazione più giovane di attivisti è emersa durante le proteste di Occupy Central nel 2014 con un nuovo genere di politica localizzata.

 

Joshua Wong incontra il senatore Marco Rubio a Washington l’8 maggio 2017

 

Joshua Wong aveva appena diciassette anni quando il Movimento degli Ombrelli prese forma nel 2014. Dopo essere emerso dai ranghi della protesta come una delle voci più carismatiche è stato costantemente fatto crescere come il diciassettenne ragazzo immagine del campo filoccidentale. Wong ha ricevuto prodighi elogi sulle riviste Time, Fortune e Foreign Policy come un “attivista per la libertà” ed è divenuto il soggetto di documentario Netflix premiato intitolato “Joshua: Teenager vs. Superpower” [Joshua: adolescente contro superpotenza)].

Non sorprendentemente, questi articoli agiografici hanno trascurato i legami di Wong con l’apparato statunitense del cambio di regime.  Ad esempio, l’Istituto Democratico Nazionale (NDI) del Fondo Nazionale per la Democrazia mantiene uno stretto rapporto con Demosisto, il partito politico fondato da Wong nel 2016 con il compagno ex studente del Movimento degli Ombrelli Nathan Law.

In agosto è emersa una foto spontanea di Wong e Law in un incontro con Julie Eadeh, la consigliera politica presso il Consolato Generale USA di Hong Kong, sollevando domande circa il contenuto dell’incontro e provocando uno scontro diplomatico tra Washington e Pechino.

L’Ufficio del Commissario del Ministero degli Affari Esteri di Hong Kong ha sottoposto una protesta formale al consolato generale statunitense, chiedendo agli USA “di operare immediatamente una chiara rottura con le forze anticinesi che creano problemi a Hong Kong, di smettere di trasmettere i segnali sbagliati a criminali violenti, di astenersi dall’interferire con gli affari di Hong Kong e di evitare di proseguire lungo il percorso sbagliato”.

Il giornale filocinese di Hong Kong Ta Kung Pao ha pubblicato dettagli personale a proposito della Eadeh, compresi i nomi dei suoi figli e il suo indirizzo. La portavoce del Dipartimento di Stato, Morgan Ortagus, ha attaccato accusando il governo cinese di essere dietro tale rivelazione, ma non offrendo alcuna prova. “Non penso che rivelare informazioni private di una diplomatica statunitense, sue fotografie, nomi dei suoi figli… non penso che sia una protesta formale; questo è quello che farebbe un regime teppista”, ha detto in una riunione al Dipartimento di Stato.

Ma la foto ha sottolineato lo stretto rapporto tra il movimento filoccidentale di Hong Kong e il governo statunitense. Dalle proteste di Occupy Central nel 2014 che hanno fatto balzare in evidenza Wong, lui e i suoi pari sono stati assiduamente coltivati da istituzioni d’élite di Washington per agire come volti e voci del fiorente movimento anticinese di Hong Kong.

Nel settembre del 2015 Wong, Martin Lee e il professore di diritto dell’Università di Hong Kong Benny Tai Lee sono stati onorati da Freedom House, un’organizzazione di potere morbido di destra che è pesantemente finanziato del Fondo Nazionale per la Democrazia e da altri rami del governo statunitense.

Pochi giorni dopo l’elezione di Trump a presidente, nel novembre del 2016, Wong era di nuovo a Washington a chiedere ulteriore sostegno statunitense. “Essendo un uomo d’affari, spero che Donald Trump possa comprendere le dinamiche di Hong Kong e sapere che mantenere i vantaggi del settore economico  di Hong Kong è necessario per sostenere appieno i diritti umani a Hong Kong per mantenere l’indipendenza della magistratura e il primato della legge”, ha detto.

La visita di Wong ha offerto l’occasione ai due membri più aggressivamente neoconservatori del Senato, Marco Rubio e Tom Cotton, per proporre la “Legge sui Diritti Umani e la Democrazia a Hong Kong”, che avrebbe “identificato i responsabili del sequestro, sorveglianza, detenzione e confessioni forzate, e i responsabili avranno i loro beni negli USA, ove esistenti… congelati e negato il loro ingresso nel paese”.

Wong è stato poi portato in un viaggio di istituzioni statunitensi d’élite, tra cui lo studio di esperti di destra Heritage Foundation e le redazioni del The New York Times e del Financial Times. Ha poi tenuto banco con Rubio, Cotton, Pelosi e il senatore Ben Sasse.

Nel settembre del 2017 Rubio, Ben Cardin, Tom Cotton, Sherrod Brown e Cory Gardner hanno firmato una lettera a Wong, Law e il loro compagno attivista anticinese Alex Chow, elogiandoli per i loro “sforzi di costruzione di una Hong Kong genuinamente autonoma”. Il gruppo trasversale di senatori ha proclamato che “gli Stati Uniti non possono stare a guardare inerti”.

Un anno dopo Rubio e i suoi colleghi hanno proposto il trio di Wong, Law e Chow per il Premio Nobel 2018 per la Pace.

Il sostegno di Washington ai portavoce designati del “Movimento ‘Riprendiamoci Hong Kong’” è stato integrato con somme non note di denaro a gruppi della società civile, mediatici e politici da parte di strutture statunitensi di cambio di regime quali il Fondo Nazionale per la Democrazia (NED) e sussidiarie come l’Istituto Democratico Nazionale (NDI).

Come ha scritto il giornalista Alex Rubinstein, l’Osservatorio dei Diritti Umani di Hong Kong, un membro chiave della coalizione che ha organizzato contro la leggi sull’estradizione oggi defunta, ha ricevuto più di due milioni di dollari di fondi NED dal 1995. E altri gruppi della coalizione hanno raccolto centinaia di migliaia di dollari dal NED e dal NDI nel solo anno scorso.

Mentre i parlamentari statunitensi proponevano leader delle proteste di Hong Kong a premi per la pace e pompavano di denaro le loro organizzazioni per “promuovere la democrazia”, le dimostrazioni hanno cominciato a scendere in una spirale fuori controllo.

 

Le proteste diventano più aggressive

Dopo che la legge sull’estradizione è stata stracciato, le proteste sono passate a una fase più aggressiva, lanciando “attacchi mordi e fuggi” contro obiettivi governativi, erigendo blocchi stradali, assediando stazioni della polizia e in generale sposando modalità estreme messe in mostra durante operazioni di cambio di regime appoggiate dagli USA dall’Ucraina al Venezuela e al Nicaragua.

Le tecniche hanno chiaramente riflesso l’addestramento ricevuto da molti attivisti da strutture occidentali di potere morbido. Hanno anche mostrato il marchio dell’attività mediatica di Jimmy Lai.

Oltre alle vaste somme di denaro spese da Lai a favore di partiti politici direttamente coinvolti nelle proteste, il suo gruppo mediatico ha creato un video animato “che mostra come resistere alla polizia nel caso sia usata la forza per disperdere le persone in proteste di massa”.

Mentre riversava denaro nel campo politico filostatunitense di Hong Kong nel 2013, Lai si è recato a Taiwan per una tavola rotonda segreta di consultazione con Shih Ming-teh, una figura chiave del movimento sociale di Taiwan che ha costretto l’allora presidente Chen Shui-bian a dimettersi nel 2008. Shih avrebbe istruito Lai su tattiche nonviolente per piegare il governo, sottolineando l’importanza della disponibilità a finire in carcere.

Secondo il giornalista Peter Lee “Shih avrebbe consigliato a Lai di mettere studenti, ragazze giovani e madri con figli in testa alle proteste di strada al fine di attirare il sostegno della comunità e della stampa internazionali e di sostenere il movimento con attività continue per mantenerlo dinamico e fresco”. Lai avrebbe spento il suo registratore durante molteplici parti della lezione di Shih.

Un dimostrante ha spiegato al The New York Times come il movimento abbia tentato di sposare una strategia chiamata “Teoria della Violenza Marginale”. Utilizzando una “forza contenuta” per provocare i servizi di sicurezza ad attaccare i dimostranti, questi ultimi miravano ad allontanare la simpatia internazionale dallo stato.

Ma con l’intensificarsi del movimento di protesta, la sua base sta abbandonando i freni tattici e sta attaccando i propria bersagli con furia totale. Sono state lanciate bottiglie Molotov in incroci per bloccare il traffico;  sono stati attaccati veicoli e i loro autisti per aver tentato di forzare i blocchi stradali; avversari sono stati picchiati con manganelli; un uomo ferito è stato aggredito con una bandiera statunitense; una giornalista è stata minacciata per costringerla a cancellare le sue foto; un giornalista svenuto è stato sequestrato e picchiato; un viaggiatore della terraferma è stato fatto svenire a forza di botte ed è stato impedito a paramedici di raggiungere la vittima; e sono state scagliate bottiglie Molotov contro agenti di polizia.

L’atmosfera pesante è stata una botta di vita per l’impero mediatico di Lai, che aveva subito pesanti perdite dopo l’ultima tornata di proteste nazionali nel 2014. Dopo le marce di massa contro la legge sull’estradizione il 9 giugno, promosse aggressivamente dall’Apple Daily di Lai, la sua Next Digital ha raddoppiato di valore secondo Eji Insight.

Nel frattempo i capi della protesta non mostrano segni di arretramento. Nathan Law, il giovane attivista celebrato a Washington e fotografato in un incontro con funzionari statunitensi a Hong Kong, ha utilizzato Twitter per sollecitare i suoi pari a non mollare. “Dobbiamo persistere e conservare la fede indipendentemente da quanto devastata sembri essere la realtà”, ha scritto.

Law scriveva da New Haven, Connecticut, dove è stato iscritto con una borsa di studio completa all’Università di Yale. Mentre il giovane attivista si crogiolava nell’adulazione dei suoi patroni statunitensi a migliaia di miglia dal caos che lui aveva contribuito a scatenare, un movimento che si definiva una “resistenza priva di leader” persisteva in patria.


Dan Cohen è un giornalista e coproduttore del premiato documentario “Killing Gaza”. Ha prodotto servizi video distribuiti diffusamente e stampa dispacci da Israele-Palestina, America Latina, dal confine USA-Messico e da Washington D.C.. Seguitelo su Twitter a @DanCohen3000.


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

 

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Fonte: https://consortiumnews.com/2019/08/19/us-backs-xenophobia-mob-violence-in-hong-kong/

Originale:  The Grayzone

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