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mercoledì 20 novembre 2019

 

Silvia Romano, a un anno dal sequestro

di Bruna Sironi

da Nairobi

 

Secondo ricostruzioni basate sui documenti delle autorità keniane, la cooperante potrebbe essere stata rapita su commissione o essere stata consegnata immediatamente dopo ad una banda legata ai terroristi somali al-Shabaab. La ragazza sarebbe viva e gli inquirenti non hanno perso la speranza di riportarla a casa.

 

Esattamente un anno fa, appena dopo il tramonto, Silvia Romano è stata rapita da un gruppo di uomini armati. Ora sappiamo con ragionevole certezza che è viva e si trova con ogni probabilità nelle mani del gruppo terroristico somalo al-Shabaab.

Sappiamo anche che gli stranieri rapiti dal gruppo sono sempre tornati a casa, ma dopo attese molto lunghe. E dunque bisogna prepararsi ad aspettarla senza mai perdere la speranza. È possibile che, in questo mondo così interconnesso, qualche informazione sulla nostra vicinanza riesca a raggiungerla, e potrebbe darle la forza necessaria per essere pronta a riprendere la sua vita dopo la lunga parentesi iniziata in modo così drammatico il 20 novembre dell’anno scorso.

Quando è stata rapita, Silvia si trovava da qualche settimana nel villaggio di Chakama, nella contea di Kilifi, non lontano da Malindi, nota località turistica sulla costa del Kenya. Lavorava per Africa Milele, una piccola onlus di Fano, il cui obiettivo è sostenere i diritti dei bambini delle fasce sociali più deboli ad avere condizioni di vita dignitose, assistenza sanitaria ed educazione.

La zona di intervento è stata identificata da Africa Milele perché tra le più povere ed isolate della regione costiera del Kenya, dove l’intervento di un’associazione straniera e input economici anche modesti investiti a beneficio dei bambini della comunità, potevano fare la differenza. L’area è considerata sicura, per quel che possono essere sicure le zone rurali ed isolate di un paese africano vasto e complesso, dove il controllo del territorio da parte del governo non può essere paragonato a quello dei nostri paesi che dispongono di ben altre risorse economiche e tecnologiche.

Certo, la zona di Chakama non era compresa tra quelle a rischio, in una regione dove instabilità o terrorismo non possono mai essere esclusi, ma riguardano generalmente la zona costiera. Forse però non si era tenuto sufficiente conto che una ragazza bianca lontana dal carosello turistico poteva attirare l’attenzione ed essere facile preda di malintenzionati in cerca di soldi per i propri loschi affari.

Secondo le ricostruzioni delle autorità keniane che hanno condotto le indagini sul sequestro di Silvia, recentemente condivise con i servizi italiani incaricati del caso - i carabinieri dei Ros e gli uomini dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) - nella zona agirebbero bande di bracconieri e trafficanti di avorio in contatto con i terroristi di al-Shabaab che spesso se ne servono per preparare le proprie operazioni. La zona è vicina alla foresta Boni, una vastissima terra di nessuno che si estende fino al confine somalo, in cui trovano rifugio bande della più diversa origine.

Indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi, parlano di un rapimento maturato in questo contesto di relazioni criminose. La convinzione sarebbe dovuta agli uomini identificati come esecutori del sequestro, Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibrahim Adam Omar. I primi due sono attualmente in carcere e sotto processo. Il terzo, ritenuto il più pericoloso dei tre, ha fatto perdere le proprie tracce. Era a piede libero dopo aver pagato una cauzione che, secondo la valutazione socio economiche sulla famiglia di provenienza, non avrebbe potuto permettersi. Potrebbe essere lui, secondo gli investigatori, l’uomo di contatto tra i gruppi in cui sarebbe maturato il rapimento di Silvia.

Secondo ricostruzioni basate sui documenti delle autorità keniane, Silvia potrebbe essere stata rapita addirittura su commissione, o essere stata consegnata immediatamente dopo ad una banda legata ai terroristi somali che avrebbero potuto meglio organizzare la sua prigionia e la richiesta del riscatto. La ricostruzione è ovviamente ancora tutta ipotetica ma le informazioni trapelate nei giorni scorsi la fanno ritenere possibile, se non probabile.

Ora possiamo continuare a sperare di riabbracciare Silvia. Ci dà finalmente un po’ di speranza il fatto che, dopo tanti mesi di silenzio e di illazioni in gran parte fantasiose, sia finalmente possibile sapere qualcosa di più sulle indagini che hanno portato alla ricostruzione di come potrebbero essere andate le cose la sera del 20 novembre di un anno fa e di quello che potrebbe essere successo nei giorni e nei mesi successivi.

 

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