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26 feb, 2019

 

Perché non si parla più di Silvia Romano, rapita in Kenya tre mesi fa

di Simone Cosimi

 

Va bene la strategia del silenzio ma di domande appese cominciano a essercene troppe: c’è un riscatto, come procedono le indagini, qual è la strategia sulla volontaria 23enne?

 

Certo il clima non aiuta. Per carità, accade da anni: come dimenticare lo sciacallaggio social-mediatico su Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite ad Aleppo nel 2014 e liberate alla fine del gennaio del 2015? Ma gli ultimi mesi, se possibile, hanno peggiorato la situazione. Cooperare, aiutare, lavorare (giustamente retribuiti) nel terzo settore, nel volontariato, nelle onlus e nelle ong, che sia a bordo di un’imbarcazione nel Mediterraneo o in qualche sperduto villaggio africano o sudamericano dalla stragrande maggioranza degli italiani dev’essere considerata una bizzarria, una stranezza, il vizio di chi se la va a cercare, un capriccio per giovani annoiati. Questo contesto, si diceva, non deve aver aiutato nel caso del rapimento, in Kenya, di Silvia Romano.

Di lei, ha appena fatto il punto l’Agi, non si sa più nulla dal 20 novembre 2018. Oltre 90 giorni dal sequestro e tutto tace. Sia sul lato kenyota che su quello italiano. Giustamente, sotto certi punti di vista. Ma più passano le settimane più il sequestro della volontaria della onlus marchigiana Africa Milele a Chakama, distretto di Kilifi, 80 km Malindi, rischia di sprofondare nell’oscurità. La polizia locale credeva in un sequestro lampo eppure non sembra essere arrivata la collaborazione sperata dai clan famigliari della zona in cui si ritiene che la donna sia nascosta, nella valle del fiume Tana, un’area di 40mila chilometri quadrati, immensa e per giunta messa troppo tardi nel mirino.

 

Non è un caso che il capo della polizia locale abbia lasciato il comando delle operazioni.

 

Né ci sono aggiornamenti ormai da oltre un mese: le ultime notizie risalgono infatti al 21 gennaio, quando appunto le forze dell’ordine di Nairobi si sono dette convinte che l’italiana sia ancora da qualche parte nella boscaglia del Tana river. Dei tre ricercati su cui sono state piazzate delle taglie importanti, uno sarebbe addirittura morto mesi fa, ben prima del sequestro. E questo, se possibile, lancia un’oscura luce sulle reali mosse della polizia e sugli elementi concreti che ha in mano. A quanto pare è supportata da uomini del Ros e dei servizi segreti. Anche se, come spiegava tempo fa Africa Express, la collaborazione non dev’essere stata delle migliori.

 

Di domande appese cominciano dunque a essercene troppe. Non si sa per esempio se sia stato o meno chiesto un riscatto e se vi sia una trattativa in corso oppure se ogni canale sia effettivamente serrato. In tal caso pare che la vicenda, di cui si parlava con un certo ottimismo già alla fine di novembre, si sarebbe incagliata proprio per lo stop al pagamento di una richiesta arrivata poco dopo il fatto da parte del governo, insieme alle prove che la 23enne fosse viva. Non si sa inoltre quali siano gli effetti delle indagini degli agenti kenyoti e se effettivamente siano ancora in corso, visto che poche settimane fa erano arrivati i primi distinguo sulle difficoltà di indagare in un territorio morfologicamente complesso come quello. Quasi mettendo le mani avanti in un miserevole “non riusciamo a fare di più”.

 

La domanda è chiara. Se non si paga, perché il governo italiano sembrerebbe non voler pagare, e se non si indaga sul territorio, perché non ci sarebbero indicazioni chiare sul nascondiglio, qual è il destino di Silvia Romano? Che senso ha la strategia del silenzio se non copre un lavoro sotto traccia mirato alla liberazione più rapida possibile? Il silenzio è appunto una strategia ma può anche condurre all’oblio e abituare al vuoto. Per un Paese che non riesce a farsi giustizia in Nord Africa sul caso di Giulio Regeni, e un governo indebolito dagli inchini al dittatore Al Sisi, anche il rapimento di Silvia Romano può trasformarsi in un ginepraio. Stiamo attenti a non ricascarci.

Infine, che genere di strategia c’è su di lei e sugli altri italiani scomparsi in Africa nei mesi scorsi? Nessuna notizia di Luigi Maccalli, rapito in Niger il 17 settembre scorso, né di Luca Tacchetto e dell’amica canadese Edith Blais, scomparsi in Burkina Faso il 16 dicembre, caso ancora più labirintico.

 

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