L’autrice di “No Logo” parla di soluzioni alla crisi climatica, di Greta Thunberg, dei primi scioperi contro la natalità e di cosa ne pensa. Naomi Klein: “Si dovranno fare i conti con questo consumo infinito di usa e getta.”
Come mai pubblica questo libro in questo momento? Sento ancora che il modo in cui stiamo parlando del cambiamento climatico sia troppo settorializzato, troppo insensibile rispetto alle altre crisi che stiamo affrontando. Il filo che attraversa tutto il libro è il legame che esiste tra questo modo di affrontare il cambiamento e le varie forme di nazionalismo, il ritorno della white supremacy e il fatto che tante persone sono costrette a lasciare la propria terra, e che la guerra è stata rimossa per distrarre la nostra attenzione. Queste sono tutte crisi che si intersecano tra di loro e si interconnettono come dovranno essere le soluzioni che dovremo trovare.
Il libro raccoglie le sue pubblicazioni dell’ultimo decennio, ha cambiato idea su qualcosa? Quando mi guardo dietro, non credo di aver messo abbastanza enfasi sulle tante sfide che il cambiamento climatico ha aperto nella sinistra. Sarebbe stato più ovvio se la crisi climatica avesse aperto delle sfide in una visione del mondo dominata dalle destre ed dal culto di un serio centrismo che non vuole mai fare qualcosa di grande, in un sistema che cerca sempre di dividere e approfittare delle differenze. Ma questa è stata una sfida alla visione del mondo della sinistra che sembra essere stata interessata solo a redistribuire i resti dell’estrattivismo [il processo di estrazione delle risorse naturali dalla terra] e non di fare i conti con i limiti di un consumo infinito.
Cosa ha impedito alla sinistra di farlo? In un contesto nordamericano, è il grosso tabù di tutti nel dover ammettere che ci saranno dei limiti. Basta guardare il modo in cui la Fox News sta spiegando che cos’è il Green New Deal: “stanno cercando di togliervi gli hamburger!” Arriva proprio al cuore del sogno americano – ogni generazione deve avere qualcosa in più della precedente, c’è sempre una nuova frontiera verso cui espandersi,questa è la base su cui poggia l’idea di una nazione coloniale come la nostra. Quando arriva qualcuno e dice, adesso ci sono dei limiti, abbiamo delle decisioni difficili da prendere, dobbiamo cercare di capire come gestire quello che resterà, dobbiamo dividercelo equamente – è un attacco psichico. E così la risposta (della sinistra) è stata evitata, ha detto no, no, no, noi vi porteremo via niente della vostra roba, tranquilli quello che avete ci sarà sempre: le nostre città saranno più vivibili, ci sarà meno aria inquinata, passeremo meno tempo bloccati nel traffico, ci saranno tanti modi per vivere più felici e più ricchi. Ma noi dobbiamo fare i conti sia con il consumo infinito sia con gli usa e getta.
Si sente ottimista quando pensa al New DealVerde? Provo un’enorme eccitazione e un senso di sollievo per il fatto che stiamo finalmente parlando di soluzioni che si mettono sul livello della crisi che stiamo affrontando. Per il fatto che non parliamo solo di una piccola tassa sul carbone o di come mettere in commercio una pallottola d’argento (per uccidere un lupo mannaro). Finalmente stiamo parlando di trasformare l’economia. Di trasformare questo sistema che sta buttando in mezzo a una strada un sacco di persone, motivo per cui stiamo attraversando questo periodo di profonda destabilizzazione politica – che ci sta regalando i Trump, la Brexit e tutti i tanti altri leader forti – quindi perché non dovremmo pensare a come si può cambiare tutto dal basso verso l’alto, in modo da affrontare tutte queste crisi contemporaneamente? Ci sono molte probabilità che non ci riusciremo, ma ogni frazione di grado di calore che potremo arrestare, per noi sarà una vittoria, come lo sarà ogni politica che potremo mettere in atto per rendere più umane le nostre società e tutto quello che faremo per contrastare l’inevitabile shock climatico e le tempeste … tutto servirà a non farci scivolare verso la barbarie. Ma quello che mi terrorizza davvero è cosa stiamo facendo lungo i confini in Europa, in Nord America e in Australia – non penso che sia una coincidenza il fatto che gli stati costituiti dai coloni e quei paesi che furono il motore di quello stesso colonialismo siano tutti in prima linea. Stiamo assistendo all’inizio di una era di barbarie climatica. L’abbiamo visto a Christchurch e l’abbiamo visto a El Paso, dove la violenza suprematista bianca si sposa con un fanatico razzismo anti-immigrazione.
Questa è una delle sezioni più agghiaccianti del suo libro: Credo che questo nesso non l’abbiano visto in molti. Questo schema è ben chiaro già da parecchio tempo. Il suprematismo bianco è riemerso non solo perché alle persone piace pensare che tanta gente potrà essere ammazzata, ma perché questo serve a proteggere certe azioni barbare ma altamente redditizie. L’era del razzismo scientifico cominciò con il commercio degli schiavi che venivano da oltreoceano e fu razionale, pur con tutta la sua brutalità. Se noi rispondiamo ai cambi climatici rialzando le frontiere, poi è chiaro che troveremo delle teorie pronte a giustificare questo comportamento, pronte a creare delle gerarchie nell’umanità e pronte a riportarci indietro. Si sono visti i primi segnali negli ultimi anni, ma è sempre più difficile non vederli perché ora ci sono i cecchini pronti sui tetti che li tengono di mira.
Una critica che viene mossa al movimento per l’ambiente è che sia dominato dai bianchi. Cosa ne pensa? Quando esiste un movimento estremamente importante che rappresenta la parte più privilegiata della società, l’approccio verso i cambiamenti è molto più cauto, perché si tratta di persone che hanno molto da perdere e che hanno paura dei cambiamenti, mentre sono le persone che hanno molto da guadagnare che vogliono lottare pur di riuscire a cambiare le cose. Questo è il gran vantaggio di aver un approccio ai cambiamenti climatici che li lega a quelli che potremmo definire argomenti terra-terra: Come riusciremo a trovare lavori pagati meglio, belle case e condizioni di vita decenti? Nel corso degli anni ha parlato spesso con gli ambientalisti e mi è sembrato di capire che credano veramente che collegando le lotte per il clima con le lotte contro la povertà e con le lotte per una giustizia razziale tutto più difficile. Dobbiamo uscirne dal teorema “la mia crisi è più crisi della tua crisi: prima salviamo il pianeta e poi combattiamo la povertà, poi il razzismo e poi la violenza contro le donne”. Così non può funzionare. E’ questo che fa allontanare le persone che sarebbero pronte a lottare duro per il cambiamento. Questo dibattito è molto sentito negli USA perché a capo del climate justice movement ci sono donne di colori che sono state elette al Congresso e che stanno sostenendo il New Deal Verde. Alexandria Ocasio-Cortez, Ilhan Omar, Ayanna Pressley and Rashida Tlaib provengono da comunità che per anni hanno subito gli effetti del neoliberismo e sono determinate a portare avanti – veramente – gli interessi di quelle comunità. Non hanno paura dei cambiamenti radicali, perché le loro comunità ne hanno disperatamente bisogno. Ogni singola decisione che possiamo prendere non servirà a niente, se non potrà essere utile al genere di cambiamento di cui abbiamo veramente bisogno.
Ho letto nel suo libro: “La dura verità è che la risposta alla domanda – Cosa posso fare come individuo, per fermare il cambiamento climatico? – è: NULLA. Ancora è di quella stessa idea?” Per quanto riguarda il carbonio, ogni singola decisione che possiamo prendere è che non andrà a sommarsi a nulla che potrà essere utile al genere di cambiamento di cui abbiamo veramente bisogno. E credo che le persone parlino con piacere dei propri consumi personali e che parlino affatto di un cambiamento del sistema, sia un effetto del neoliberismo, che li ha addestrato a vedersi in primis come consumatori. Per me queste sono le conseguenze del voler farci tornare alla mente il New Deal o il Piano Marshall – cose che ci riportano alla mente un momento in cui eravamo pronti a pensare a cambiamenti su vasta scala – Oggi siamo stati addestrati a pensare molto in piccolo. È incredibilmente sintomatico che Greta Thunberg abbia trasformato la sua vita in un’emergenza vitale.
Sì, Greta è partita per il vertice ONU sul clima ed è arrivata a New York su uno yacht a zero emissioni di carbonio … Esattamente. Ma non si tratta di quanto sta facendo Greta come individuo, ma di quanto Greta stia trasmettendo con le sue scelte come attivista, scelte che io rispetto assolutamente. Penso che ciò sia magnifico. Sta usando il suo potere per ricordare a tutti che questa è una emergenza e per cercare di ispirare i politici a trattare questo problema come una emergenza. Non penso che nessuno possa evitare di controllare le proprie decisioni e i propri comportamenti, ma penso che tutti possiamo enfatizzare molto di più le nostre scelte. Io ho fatto una scelta – che seguo da quando scrissi No Logo – e cominciai a chiedermi “cosa devo comprare, dove posso comprare, come mi vesto in modo etico?” Domande. La mia risposta continua a essere che io non voglio dare consigli, su uno stile di vita, a nessuno, che io non sono un guru dello shopping per nessuno e che io faccio le mie scelte senza illudermi che le mie decisioni possano fare la differenza.
Qualcuno sta scegliendo di fare uno sciopero delle nascite. Che cosa ne pensa? Sono felice che queste discussioni stiano diventando di pubblico dominio anziché continuare ad aver paura di parlarne. È un argomento molto privato, intimo, per chiunque, certamente lo è stato per me. Uno dei motivi per cui ho aspettato tanto prima di provare a rimanere incinta – e che continuerò sempre a ripetere al mio compagno – è: che cosa vogliamo fare? Vogliamo mettere al mondo una specie di supereroe che dovrà combattere contro i suoi amici per avere accesso a un po’ di cibo e a un sorso d’acqua? Poi sono entrata nel Movimento per la giustizia climatica e ho cominciato a guardare più lontano fino a immaginare che anch’io avrei avuto un bambino. Ma non direi mai a nessuno qual è la risposta giusta per certe domande tanto intime. Come femminista che conosce tutte le brutture della sterilizzazione forzata e che conosce i modi in cui il corpo delle donne diventa il campo di battaglia, quando i politici decidono di provare a controllare lo sviluppo della popolazione, io credo che l’idea che possano esserci delle regole che stabiliscano se avere o non avere figli sia un fatto catastroficamente astorico. Dobbiamo lottare tutti insieme contro i dolori e contro le paure provocate dal clima, dobbiamo cercare di trovare una soluzione, ma dobbiamo essenzialmente ricordare che dobbiamo costruire un mondo in cui i nostri bambini potranno crescere e vivere a zero emissioni di carbonio.
Quest’estate ha consigliato di leggere il romanzo di Richard Powers “The Overstory”. Perché? È stato incredibilmente importante per me e sono felice che così tante persone mi abbiano scritto. Powers scrive degli alberi: dice che gli alberi vivono in comunità e che comunicano tra di loro, che si organizzano e che reagiscono insieme e che noi abbiamo sbagliato tutto nel modo in cui li abbiamo concettualizzati. E’ lo stesso discorso che facciamo quando pensiamo se dobbiamo risolvere un problema in se stesso oppure se dobbiamo risolvere il problema dell’organismo in tutto il suo complesso. È così raro, nella buona narrativa, che vengano riconosciuti i meriti dell’attivismo, che venga trattato con vero rispetto, anche quando non riesce nel suo intento, che venga riconosciuto l’eroismo delle persone che ci mettono la faccia e rischiano in proprio. Credo che Powers lo abbia fatto in un modo davvero straordinario.
Qual è la sua opinione su quanto sta facendo Extinction Rebellion? Una cosa che finora ha fatto molto bene è farci vedere che non esiste solo il modello classico delle campagne di informazione, dove si scrive una frase che mette paura e si chiede alla gente di mettere un click su un qualcosa per reagire tutti insieme, per sentirci insieme e per fare quello che ci hanno appena suggerito di fare. Perché quello che sento è che esiste un sacco di gente che dice, ok, forse quelle persone negli anni Trenta o Quaranta potevano organizzarsi quartiere per quartiere o sul posto di lavoro, ma noi oggi non possiamo. Il fatto è che crediamo di essere stati così declassati come specie che oggi non siamo più capaci di fare le stesse cose. L’unica cosa che può cambiare questo modo di pensare è guardare in faccia le comunità, fare esperienze fuori dagli schermi che già conosciamo, andare tutti per le strade e nella natura, e vincendo qualche volta per rendersi conto del proprio potere.
Lei parla di resistenza nel libro. Che cosa ne pensa? Si sente fiduciosa? Per quel che riguarda la speranza ho dei sentimenti complicati. Non passa giorno in cui non vivo un momento di puro panico, di puro terrore, di completa convinzione che ormai siamo condannati, e poi cerco di pensare ad altro. Questa nuova generazione così determinata, così forte mi ha fatto rinascere. Mi stimola molto questa voglia di buttarsi in politica, perché la mia generazione, quando noi avevamo venti o trent’anni, ha perso tante opportunità. Quello che mi dà tanta speranza, in questo momento, è che finalmente c’è una visione di che cosa si vuole, anche se ancora solo a grandi linee. E’ la prima volta che succede in vita mia. E ho anche deciso di avere figli. Ho un bambino di sette anni che è ossessionato e innamorato del mondo della natura. Quando penso a lui, dopo che abbiamo passato un’estate intera a parlare del ruolo che svolgono i salmoni nell’ecosistema delle foreste, dopo essere nato nella Columbia Britannica, di come sia importante per la salute degli alberi e della terra, degli orsi e delle orche e di tutto il magnifico ecosistema. Beh io penso a come dovrei sentirmi se dovessi dire a mio figlio che non ci sono più salmoni, credo che questo mi ucciderebbe. Ecco è questo che mi ha motivato veramente, è questo che mi fa star male.
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