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lunedì 29 luglio 2019

 

Il Brasile sta disboscando l’Amazzonia molto più in fretta di prima

Il presidente Jair Bolsonaro sta mantenendo una sua promessa elettorale: la deforestazione è più che raddoppiata rispetto alla scorsa estate

 

Fin dalla campagna elettorale che precedette la sua elezione a presidente del Brasile nel 2018, Jair Bolsonaro ha sostenuto che le regolamentazioni che tutelano lo sfruttamento della Foresta amazzonica brasiliana fossero un ostacolo alla crescita economica, e che una volta in carica le cose sarebbero cambiate. Sta succedendo: i dati diffusi nelle ultime settimane dalle agenzie brasiliane che si occupano di ambiente dicono che la deforestazione sta avvenendo a ritmi molto più sostenuti rispetto a un anno fa.

 

Grafico di Globo.

 

L’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe) ha pubblicato delle analisi basate sulle immagini satellitari secondo le quali nella prima metà di luglio sono stati distrutti oltre 1.000 chilometri quadrati di Amazzonia, il 68 per cento in più della superficie distrutta nell’intero mese di luglio del 2018. Nei sette mesi in cui Bolsonaro è stato presidente la Foresta amazzonica ha perso 3.444 chilometri quadrati di alberi, secondo l’agenzia nazionale che si occupa di deforestazione: il 39 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il fenomeno si è intensificato con l’arrivo della stagione più fresca e secca, da maggio in poi, quando è più facile tagliare gli alberi: a giugno la quantità di superficie disboscata è aumentata dell’88 per cento rispetto all’anno scorso, per un totale di 920 chilometri quadrati.

 

L’Amazzonia è la più grande foresta tropicale al mondo, con una superficie totale di circa 5,5 milioni di chilometri quadrati, oltre la metà dei quali in territorio brasiliano. È uno degli ecosistemi più ricchi al mondo, ed è fondamentale per un sacco di cose: dalla produzione di ossigeno e dalla rimozione di anidride carbonica nell’atmosfera al suo ruolo centrale nel rilascio di vapore acqueo, che determina poi la quantità di piogge e di conseguenza un sacco di altre cose, dalle correnti oceaniche alle temperature globali.

Negli ultimi vent’anni il Brasile si era impegnato con una certa determinazione a salvaguardare l’Amazzonia dalla deforestazione, e soprattutto negli ultimi anni ci era in parte riuscito, tanto che era citato come esempio virtuoso di salvaguardia ambientale. Gli sforzi erano però diventati sempre più onerosi, visto che la recessione che colpì il paese nel 2014 lo rese sempre più dipendente dall’allevamento e dalle grandi coltivazioni, due tra le principali cause della deforestazione.

 

Bolsonaro, un populista di estrema destra e molto liberista in economia, ha cambiato le cose assicurando che la sua priorità sarebbe stata lo sviluppo economico. Prima ancora che cambiando le leggi, lo ha fatto principalmente riducendo le sanzioni, gli avvertimenti e i sequestri operati dalle autorità brasiliane verso le società che partecipano alla deforestazione violando le regole vigenti. Il New York Times, analizzando una serie di documenti pubblici delle agenzie competenti, ha concluso che le azioni di questo tipo si sono ridotte del 20 per cento nei primi sei mesi del mandato di Bolsonaro, rispetto allo stesso periodo del 2018. I due fenomeni, l’aumento della deforestazione e la riduzione dell’intervento statale, sono distinti e paralleli, ma con ogni probabilità collegati.

Durante la campagna elettorale, Bolsonaro aveva addirittura promesso di eliminare il ministero dell’Agricoltura, per poi rinunciare per timore di un boicottaggio internazionale. Appena insediato, però, aveva ridotto il budget della principale agenzia ambientale del paese del 24 per cento, nell’ambito di un più ampio piano di tagli, e ci sono stati annunci di ulteriori provvedimenti, come limitare il potere dell’agenzia di distruggere l’attrezzatura sequestrata ai boscaioli e ai minatori abusivi.

 

Bolsonaro ha sostenuto che i dati diffusi dalle sue stesse agenzie «non rispecchiano la realtà» e ha parlato di «psicosi ambientalista»; rispondendo sul tema a un giornalista europeo, una decina di giorni fa, ha detto che «l’Amazzonia è nostra, non vostra». Il presidente brasiliano sta provando a far passare le preoccupazioni internazionali sul futuro della Foresta amazzonica come un complotto internazionale per bloccare lo sviluppo del paese, arrivando a sostenere che le potenze occidentali vogliano in realtà impedire al Brasile di sfruttare le risorse amazzoniche per farlo loro stesse in futuro: «Il Brasile è come una vergine circondata da pervertiti che la desiderano», ha detto.

 

Paesi come la Germania e la Norvegia contribuiscono a finanziare un fondo governativo (l’Amazon Fund) che ammonta a un totale di 1,3 miliardi di dollari, e che si occupa della conservazione dell’Amazzonia. Il fondo è stato attaccato dall’amministrazione di Bolsonaro, che ha messo in dubbio il modo in cui spende i suoi soldi, avviando un procedimento che lo ha bloccato e che potrebbe cambiarne il funzionamento. In una sua recente visita in Brasile, il ministro tedesco per la Cooperazione economica e lo sviluppo ha ricordato l’importanza della conservazione dell’Amazzonia, spiegando che «senza foreste tropicali non si possono risolvere i problemi climatici».

 

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