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Microplastiche, dalla superficie al fondale l’acqua è piena di frammenti di plastica di Simone Petralia
Secondo i ricercatori del Monterey Bay Aquarium Research Institute, le microplastiche sono presenti in concentrazioni elevate a tutte le profondità.
Nei fiumi e nei laghi, lungo le coste e nelle profondità oceaniche, persino nell’acqua che esce dai rubinetti delle nostre case. Le microplastiche sono ovunque. Queste particelle, invisibili a occhio nudo, hanno raggiunto livelli di concentrazione tali da mettere in allarme la comunità scientifica. Non è eccessivo affermare che oggi le microplastiche costituiscano una potenziale minaccia alla salute di tutti gli organismi viventi, marini e terrestri. Un nuovo studio, condotto dai ricercatori del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI), è l’ennesima conferma della gravità e dell’estensione del fenomeno.
La ricerca condotta nella baia di Monterey La baia di Monterey – lungo le coste della California centrale, a Sud di San Francisco – non è amata solo dai surfisti di tutto il mondo, ma anche da naturalisti e biologi marini. Le sue acque ospitano numerose specie di pesci e molluschi oltre a tartarughe, foche, orche e delfini. La baia si trova inoltre lungo la rotta migratoria di megattere e balene grigie ed è un sito di riproduzione di lontre ed elefanti marini. Eppure, anche in quest’area di rara bellezza, la natura non è più incontaminata. Lo studio condotto dagli oceanografi del Monterey Bay Aquarium Research Institute, pubblicato su Scientific Reports – testata online open-access, parte del network di Nature – dimostra in modo inequivocabile come l’inquinamento da microplastiche abbia raggiunto livelli preoccupanti non solo in superficie, ma a tutte le profondità. Grazie a campionamenti ripetuti nelle stesse posizioni e a diversi livelli, da cinque metri al di sotto del livello del mare fino a circa un chilometro di profondità, è stato possibile dimostrare che le microplastiche, ingerite da piccoli animali oceanici, sono introdotte nella catena alimentare e distribuite lungo l’intera colonna d’acqua. Per condurre la ricerca sono stati utilizzati speciali robot subacquei, equipaggiati con dispositivi di campionamento progettati specificamente per questo progetto e in grado di filtrare le particelle di plastica presenti nell’acqua. Alcuni campioni sono stati raccolti a poche centinaia di metri dalla costa, altri a circa 25 chilometri dalla terraferma, nelle acque del canyon sottomarino Monterey.
I risultati dello studio Uno dei risultati più significativi riguarda la presenza massiccia di plastica non solo in superficie, ma anche negli abissi oceanici. Ci si aspettava una concentrazione maggiore di microplastiche a pochi metri di profondità, mentre i dati dimostrano come la quantità di particelle entro i primi cinque metri sia pressoché identica a quella presente nelle acque più profonde. Inoltre, la concentrazione nelle cosiddette acque medie (fra i 200 e i 600 metri di profondità) è circa quattro volte maggiore rispetto alle altre zone. Oltre a effettuare i campionamenti, i ricercatori hanno esaminato la presenza delle microscopiche particelle plastiche in esemplari di due specie marine: i granchi rossi pelagici (Pleuroncodes planipes), che si nutrono di fitoplancton, e i larvacei giganti (Bathochordaeus charon), animali il cui corpo è dotato di piccoli filtri attraverso cui passa acqua mescolata a particelle alimentari. È in questo modo che la microplastica dispersa in mare entra nella catena alimentare e viene diffusa lungo la colonna d’acqua fino a grandi profondità. “Le nostre scoperte ci portano a credere” ha dichiarato in un comunicato l’oceanografa Anela Choy, autrice principale della ricerca, “che le profondità oceaniche, l’habitat più vasto della Terra, siano il più grande deposito mondiale di microscopici detriti di plastica”. La baia di Monterey è sede di attività di pesca commerciale, ma i ricercatori hanno trovato pochissime microplastiche presenti nelle attrezzature comunemente utilizzate per pescare. La maggior parte delle microplastiche rinvenute è composta di polietilene tereftalato (PET), poliammide e policarbonato, elementi presenti in bottigliette, sacchetti, contenitori per alimenti e altri prodotti di consumo. Quasi tutte le microparticelle analizzate, inoltre, presentano chiare tracce di una prolungata esposizione alle intemperie, a dimostrazione di una presenza nell’ambiente di mesi o addirittura anni. “La maggior parte delle particelle non proviene da attrezzi da pesca locali”, ha spiegato Kyle Van Houtan, uno dei coautori dello studio, “ma è stata trasportata nella baia dalle correnti oceaniche”.
Plastica ovunque Le ricerche condotte negli ultimi anni – quella del Monterey Bay Aquarium Research Institute è solo l’ultima in ordine di tempo – dimostrano in modo inequivocabile la presenza sempre più massiccia di microplastiche sul pianeta, pressoché ovunque. In molti hanno sentito parlare del cosiddetto “Pacific Trash Vortex”, l’enorme isola di spazzatura galleggiante situata nel Pacifico settentrionale, composta prevalentemente di plastica, ma grandi quantità di microplastiche sono state rinvenute anche in aree montane e in terreni agricoli a notevole distanza dalle coste, trasportate dai venti. Queste minuscole particelle, sulla cui superficie si accumulano spesso sostanze chimiche e batteri nocivi, oltre a essere assunte da esseri umani e animali attraverso il cibo e l’acqua possono, secondo studi recenti, rimanere sospese nell’aria ed essere assorbite anche durante la respirazione. Fibre di plastica sono state trovate nel tessuto polmonare umano e, per quanto il loro impatto sul nostro organismo sia ancora in gran parte sconosciuto, molti scienziati ritengono che la loro presenza all’interno del nostro corpo possa contribuire allo sviluppo di forme tumorali. Ogni anno gli esseri umani disperdono in mare circa 10 milioni di tonnellate di plastica. Forse non esiste un modo per rimediare ai danni già provocati, ma una cosa si può fare: ridurre drasticamente la produzione di questo materiale. “Potrebbe essere praticamente impossibile rimuovere la microplastica esistente dalle profondità marine”, ha dichiarato Van Houtan, “ma riducendone la produzione possiamo almeno contribuire a prevenirne l’accumulo negli oceani”.
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