Video: #IPBES7: First Intergovernmental Global Assessment of Biodiversity http://www.greenreport.it/ 7 Maggio 2019
Stiamo uccidendo 1.000.000 di specie animali e vegetali, mettendo a rischio anche la nostra di Luca Aterini
Sir Robert Watson (Ipbes): «Stiamo erodendo le fondamenta stesse delle nostre economie, dei mezzi di sussistenza, della sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita in tutto il mondo» Il Gruppo intergovernativo per la biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes) ha lavorato per tre anni sotto il cappello dell’Onu per realizzare un rapporto – presentato ieri a Parigi – che rappresenta un allarme senza precedenti per la vita sul nostro pianeta: 1 milione di specie animali e vegetali (ovvero circa 1/8 di tutte quelle che popolano il pianeta) sono oggi più che mai minacciate dall’estinzione, e molte rischiano di sparire nel giro di qualche decennio. Stiamo attraversando la sesta estinzione di massa, e per la prima volta il responsabile di questa crisi ecologica globale è l’uomo.
Si tratta di una prospettiva agghiacciante, documentata come mai prima d’ora. Il rapporto è stato elaborato negli ultimi tre anni da 145 esperti provenienti da 50 paesi, con contributi di altri 310 autori, e oltre ad una revisione sistematica di circa 15.000 fonti scientifiche e governative si basa anche (per la prima volta in assoluto su questa scala) sulle conoscenze indigene e locali. Perché il problema non è l’uomo in sé, ma la voracità del sistema economico introdotto e difeso dalla società occidentale: dal report emerge infatti che tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino sono stati significativamente alterati dalle azioni umane ma, in media, queste tendenze sono state meno gravi o non si sono verificate in aree gestite da popolazioni indigene e comunità locali.
Il concretissimo rischio è però che presto la natura presenti a tutti il conto. «Le prove schiaccianti della valutazione globale dell’Ipbes, provenienti da un’ampia gamma di diversi campi della conoscenza, presentano un quadro inquietante – spiega il presidente del Gruppo, Sir Robert Watson – La salute degli ecosistemi da cui noi e tutte le altre specie dipendiamo si sta deteriorando più rapidamente che mai. Stiamo erodendo le fondamenta stesse delle nostre economie, dei mezzi di sussistenza, della sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita in tutto il mondo».
«Siamo all’ennesima, autorevolissima, sottolineatura scientifica su ciò che il Wwf sostiene da anni, e cioè – rincara il direttore scientifico del Panda italiano, Gianfranco Bologna – che con l’erosione della biodiversità e dei servizi ecosistemici che la stessa vita sulla Terra ci garantisce, dal ciclo dell’ossigeno e del carbonio a quello dell’acqua, dalla produzione alimentare alle risorse forestali, stiamo mettendo a rischio il nostro stesso futuro». L’unica buona notizia è che nonostante tutto non è ancora troppo tardi per invertire la rotta. «Ma solo se iniziamo ora ad ogni livello, da quello locale a quello globale», precisa Watson. Attraverso un “cambiamento trasformativo”, ovvero «una fondamentale riorganizzazione del sistema attraverso fattori tecnologici, economici e sociali, inclusi i paradigmi, gli obiettivi e i valori», che coinvolga le istituzioni quanto i singoli cittadini. A partire dalle abitudini alimentari: più di un terzo della superficie terrestre mondiale e quasi il 75% delle risorse di acqua dolce sono ora destinate alla produzione agricola o zootecnica, mentre nel 2015 il 33% degli stock ittici marini è stato pescato a livelli insostenibili; ma questi trend ci si stanno ormai ritorcendo contro. Il degrado della terra ha infatti ridotto la produttività del 23% della superficie terrestre globale, e 577 miliardi di dollari in colture annuali globali sono a rischio a causa della perdita di impollinatori e 100-300 milioni di persone sono a maggior rischio di inondazioni e uragani a causa della perdita di habitat e protezione costiera.
«Negli ultimi 70 anni abbiamo distrutto i tre quarti dell’agrobiodiversità che i contadini avevano selezionato nei 10.000 anni precedenti – argomenta Carlo Petrini, presidente di Slow Food – Fonti autorevoli già da tempo ci stanno mettendo in guardia perché stiamo attraversando la sesta estinzione di massa e per la prima volta il responsabile di questa crisi ecologica globale è l’uomo. Lo scenario descritto è molto grave: la perdita di specie, razze e habitat naturali è pesantissima. Non abbiamo più tempo ma abbiamo uno strumento efficace con cui possiamo cambiare la situazione: il nostro cibo quotidiano. Cambiando le nostre scelte alimentari possiamo fare molto per salvare il suolo, le acque, l’intero pianeta». Una prospettiva abbracciata anche da Greenpeace, per la quale occorre dimezzare produzione e consumo di carne e prodotti lattiero-caseari entro il 2050: una scelta che dovrebbe diventare priorità a livello politico, dal momento che non c’è più tempo da perdere. |