Fonte: Ereticamente
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15/01/2019
Sartre e la postverità
di Roberto Pecchioli
La menzogna, specie quella storica e giornalistica, da qualche anno ha un nuovo nome, post verità. Strano destino del tempo nostro, definito non per se stesso, ma in relazione a qualcos’altro: post modernità, post verità, in attesa di post umanità. Veniamo “dopo”, siamo solo posteri, imitatori estenuati, gli ultimi di ieri, ritardatari della storia come i manieristi dell’arte, cui la sorte riservò lo scomodo ruolo di successori del Rinascimento e di Caravaggio. La post verità, tuttavia, resta il travestimento di chi mente sapendo di mentire.
Certo giornalismo riesce a raggiungere vette di spudoratezza e falsificazione che destano meraviglia. Il quotidiano locale della Liguria, schieratissimo a sinistra, ha pubblicato una locandina esilarante, autentico compendio di post verità. “Genova in piazza contro il decreto sicurezza”, per annunciare l’adunata di un manipolo di soliti noti contro Salvini. Poiché odiare fa bene ai sinistri, lo scrittore Sandro Veronesi, autore di Caos calmo, ha educatamente dato dell’animale al capo leghista. La palma per la migliore prestazione intellettuale di post verità spetta alla copertina del settimanale più radicale e progressista che c’è. “Fasci protetti”, a significare che l’uomo nero non solo è tra noi, ma gode di amicizie e complicità indicibili, svelate con grande sprezzo del pericolo (e del ridicolo) dai coraggiosi paladini della democrazia.
La tecnica di confondere vittime e aggressori è antica, ma funziona ancora. L’elenco è lungo, l’ingegno dei mentitori professionali a fini di progresso si esercita soprattutto sul tema dell’immigrazione, a comprova che la lingua dei loro padroni batte dove il dente duole. Non paghi delle immagini lacrimevoli di bambini profughi che qualche volta si rivelano montature, l’articolista di un giornalone assai impegnato nella causa pro immigrazione si chiedeva, a proposito dei passeggeri della nave Sea Watch fermata a Malta: e se tra loro ci fosse un altro Einstein?
Abbiamo abbandonato la chiesa durante l’omelia di un parroco che accusava i fedeli contrari all’accoglienza indiscriminata di essere cattivi cristiani. Il sacerdote, proprietario della (post) verità, si è sostituito a Dio nel giudizio. Non diversamente si comportavano certi pacifisti tacciando di guerrafondaio chi non esponeva il drappo arcobaleno, complice malvagio di ogni massacro. Simile è l’attitudine di chi accusa di antisemitismo chi dissente dalla politica israeliana e diventa perciò complice morale dell’Olocausto, il demonio massimo.
Fascista o comunista, a seconda delle idiosincrasie dell’accusatore, è chiunque non sia d’accordo con il neoliberismo, complottista chi evoca il potere della finanza, omofobo il difensore della famiglia naturale, maschilista il malcapitato che obietta contro il concetto di violenza di genere e così via. E’ la post verità, alleata naturale del linguaggio politicamente corretto. Vietato ricordare la nazionalità di molti stupratori, assassini e spacciatori, è nemico delle donne chi è contrario all’aborto, si è oscurantisti e avversari della scienza se non si applaude la procreazione assistita, è additato come un povero scemo chi si azzarda a ricordare che i sessi sono due e i bambini hanno bisogno di un padre e una madre.
Il predominio sulle parole garantisce il potere e ipoteca il futuro. I progressisti lo sanno molto bene, hanno avuto maestri straordinari nell’inversione della verità. Uno di loro fu Jean Paul Sartre, l’intellettuale parigino monumento vivente dell’intellighenzia di sinistra, alla sua epoca apertamente comunista. I suoi scritti, accolti come oracoli in vita, rivelano la polvere del tempo, ma hanno purtroppo raggiunto il loro scopo nichilista e distruttivo. Sartre scrisse anche per il teatro, una sola delle sue piéces è una commedia, ma ci piace ricordarla come perfetto esempio di post verità, una dura satira contro il giornalismo corrotto; basta sostituire la destra, oggetto dell’attacco del compagno al caviale, con la sinistra.
Si tratta di Nekrasov, commedia in due atti scritta in piena guerra fredda, nel 1955. Venne dopo l’adattamento dell’opera di Alexandre Dumas padre sulla vita del grande attore inglese Edmund Kean, genio e sregolatezza, e prima dei Sequestrati di Altona, testo antinazista e sottilmente antitedesco da cui fu tratto un film di Vittorio De Sica. Nekrasov è un perfetto esempio di uso della drammaturgia per fini politici contingenti, in cui il tema e le conclusioni possono essere facilmente capovolte. Resta la post verità.
La trama è eloquente. Un giornale di destra, Le Soir à Paris, diretto da Jules Palotin, burattino del losco editore Mouton vicino al governo reazionario, è in crisi di vendite e di idee. Il suo compito è di inventare, diffondere e far digerire al pubblico le idee anticomuniste che interessano il potere. Milioni di cittadini vivono nell’imbroglio della verità contraffatta di quel giornale, strumento di un potere ingannatore. Palotin, un autentico boss senza scrupoli, si serve del giornalista Sibilot per le sue più oscure campagne di disinformazione. Si avvicinano le elezioni e Sibilot è a un bivio: o troverà qulacosa per rianimare le battaglie del giornale o sarà licenziato.
Il destino si manifesta nella persona di un truffatore ricercato dalla polizia, De Valera, un personaggio molto sartreano. L’idea di De Valera salverà entrambi; si farà passare per Nekrasov, ministro dell’Interno sovietico fuggito dalla cortina di ferro e scomparso misteriosamente. Lo scoop è sensazionale, tutti vogliono ascoltare Nekrasov, nobili, giornalisti, funzionari dei servizi segreti. L’abile impostore mette in scena un ordito di mezze verità che lo trasforma in eroe. Manipolatore a sua volta manipolato, dimostra che a nessuno importa la verità, ma solo il tornaconto che ciascuno ne può trarre. Sartre pretese di svolgere operazioni in chiave marxista una critica feroce alla stampa e ai condizionamenti che subiva e praticava per convenienze economiche o politiche.
Ne sapeva qualcosa Raymond Aron, il filosofo e sociologo suo contemporaneo che scrisse l’anno successivo all’uscita di Nekrasov un ritratto demolitore della sinistra intellettuale europea, L’oppio degli intellettuali, in cui la accusava di abbracciare le tesi sovietiche e comuniste, pur conoscendone perfettamente la falsità. La maggioranza preferì sbagliare con Sartre che stare dalla parte della verità con Aron. Restò famosa la visita di Sartre a Cuba nel 1960, insieme con la sua musa e compagna di vita Simone De Beauvoir, autrice de Il secondo sesso, per anni Bibbia del femminismo radicale, con la fotografia-icona di Che Guevara che accende un sigaro al filosofo engagé parigino.
All’epoca, Sartre era una specie di faro che illuminava la cultura. In Nekrasov descriveva un mondo in cui egli si muoveva come un pesce nell’acqua, ma che non possedeva i titoli morali per giudicare, imputando agli avversari condotte e menzogne di cui egli stesso era promotore, protagonista e complice. Nekrasov pretese di essere una critica feroce al quarto potere e al posizionamento ideologico frutto di interessi. Chi non aderiva al comunismo poteva essere solo in malafede o traviato dalle forze oscure della reazione.
Il giudizio più tagliente fu quello di Arthur Koestler, secondo cui Sartre non era che un geniale sofista. Fu invece un plumbeo nichilista, come dimostrò la sua intera opera, a cominciare dall’oscuro L’essere e il nulla (1943), ma soprattutto il pessimo maestro di una generazione le cui bugie e i cui clamorosi abbagli spargono ancora veleni sul presente. Fu altresì il più tipico comunista da quartieri alti, convinto intellettualisticamente di aver trovato il buon selvaggio di Rousseau nel buon rivoluzionario della Sierra Maestra cubana e della lunga marcia cinese. Fu Tom Wolfe, nel Falò delle vanità, a fare giustizia del disgustoso tipo umano da quartieri alti schierato a sinistra di cui Jean Paul Sartre era il simbolo.
Poiché un uomo è la sua biografia, non va dimenticata la dipendenza da droghe come la mescalina, con gravi allucinazioni che preoccuparono lo psicanalista marxista Jacques Lacan che lo ebbe in cura, nonché il torbido rapporto con la Beauvoir e le donne che lei stessa gli procurava.
Da che pulpito viene la predica sulla disinformazione, la post verità e il cinismo del potere mediatico! Negli anni Trenta, il giovane Sartre fu un ammiratore della fenomenologia, la scuola filosofica nata a Berlino attorno alla figura di Edmund Husserl. Nella sua lettura, che si trasformò presto in esistenzialismo ateo, varie suggestioni si univano in una libertà programmaticamente priva di limiti, combinata con una parvenza di autenticità (l’istintività del Buon Selvaggio) e con l’edonismo considerato esperienza umanistica. Tutto ciò si riversò nel maggio francese del ‘68 e divenne cultura di massa. Peccato che si basasse su falsità e su un manicheismo arrogante travestito da superiorità antropologica. Quello è il lascito devastante della stagione intellettuale di cui è frutto Nekrasov. Le casacche ideologiche imposte da Sartre si sono invertite, il prodotto non è cambiato.
Le Soir à Paris e Palotin sono i simboli del giornalista collettivo schierato per convenienza; ieri fingeva di credere all’impostore De Valera, oggi attacca i nuovi devianti, Salvini, i difensori della famiglia, gli antiabortisti, i sostenitori delle identità. Il maccartismo culturale è identico, uguale la cattiva fede. Oggi è ridicolizzato chi contrasta il potere della finanza egemone sino a negare l’evidenza: per costoro, la Banca d’Italia è un ente pubblico, il mercato è sovrano e l’Unione Europea il paradiso, e sono gli stessi che sostenevano il comunismo e lo statalismo. Usano le notizie come clave, chiamano bufere mediatiche le campagne di discredito orchestrate da loro stessi.
Gli avversari di turno sono sempre degli sciocchi a cui possono credere altri sprovveduti. La democrazia è un totem indiscusso finché riescono a manipolarla a favore degli interessi che servono. In caso contrario, i cittadini diventano plebe, popolaccio da rieducare. Il metodo è sempre quello: spacciare per vero ciò che conviene. I titoli della cosiddetta grande stampa e i contenuti delle tribune televisive sono imbarazzanti, un concentrato di maldicenze, insulti e mediocrità. Si è tentati di sintonizzarsi sulle televendite.
Nekrasov/De Valera, impostore di mestiere, conosce tutte le sfumature della sua professione, usa ogni trucco psicologico riuscendo a ingannare le persone più diverse. Soprattutto sa che la maggioranza ascolta ciò che è indotta ad ascoltare e trascura il resto. E’ evidente la simpatia di Sartre per il suo personaggio, che considera marxisticamente uno sfruttato della società borghese, così come il disprezzo per il servile Sibilot e il cinico Palotin. Noi la pensiamo diversamente: l’imbroglione, il mentitore non è una vittima, né è migliore di chi lo utilizza. Recitano ruoli distinti nella stessa rappresentazione il cui obiettivo è il potere e il pubblico pagante è il truffato. In Italia la commedia di Sartre è poco rappresentata. Curioso che il primo ad ospitarla, nel 2008, sia stato il piccolo, delizioso Teatro dei Rassicurati di Montecarlo, in Lucchesia. Un nome, un presagio…
In fondo, la post verità, cioè la cosciente manipolazione del prossimo, è sempre esistita. La differenza rispetto al passato è il successo di pessimi maestri come Sartre, Freud, Marcuse, i francofortesi, i “decostruttori” alla Derrida e tanti altri, che ha destituito di senso il principio etico e negato in radice l’esistenza della verità. Ridotta a opinione soggettiva, nessuna idea, nessun fatto è verità. Tutt’al più è rappresentazione, interpretazione, attimo fuggente. Resta la malafede, il cinismo amorale di chi orienta l’opinione sapendo di servire interessi, pronunciare menzogne, diffamare l’avversario.
Nekrasov, in fondo, con buona pace di Sartre che non lo fa mai apparire in scena, era l’ex ministro degli interni di una feroce dittatura, un repressore senza scrupoli. Non poteva scegliere la libertà, come si diceva allora, ma solo mentire diversamente. Quanto assomiglia, come De Valera, Silibot, Palotin ai protagonisti di oggi, i servi che non raccontano più balle, ma diffondono post verità sotto le bandiere del relativismo spacciato per civiltà. Come il gatto di Schrodinger della fisica, contemporaneamente vivo e morto, mentono e dicono il vero, capovolgendo i significati e manipolando le parole. Duemilacinquecento anni fa, i sofisti greci si facevano pagare per sostenere una causa o il suo contrario. Indifferentemente, al miglior offerente. La post verità è vecchia e sempre nuova, Nekrasov- De Valera è il suo eroe negativo senza tempo.