https://www.wired.it/ 20 jul, 2019
Buzz Aldrin, l'altro uomo sulla Luna: "L'allunaggio una bufala? I russi ci avrebbero smascherato subito" di Andrea Gentile
La seconda persona a mettere piede sul nostro satellite racconta una vita di alti e bassi e spiega come, 50 anni dopo, non sia ancora guarito da quell’ossessione
Un uomo in un’ingombrante tuta bianca, sullo sfondo un terreno grigiastro pieno di buche e crateri. L’enorme casco che indossa mostra ciò che gli sta di fronte: la sua ombra, un’altra impacciata figura vestita di bianco e una strana struttura metallica. È il 21 luglio 1969, 50 anni fa, e questa scena racconta una delle foto più memorabili della storia. La persona ritratta nello scatto è Buzz Aldrin, mentre il riflesso sul casco è Neil Armstrong. La missione Apollo 11 ha toccato la Luna da poche ore e i due astronauti hanno appena fatto un salto sul polveroso terreno del satellite della Terra. Anche se le parole di Armstrong – “Questo è un piccolo passo per un uomo ma un grande salto per l’umanità” – ci risuonano nella mente quando pensiamo al primo allunaggio, è quella potente fotografia a essere scolpita per sempre nel nostro immaginario. In quel momento, Buzz Aldrin ha cambiato per sempre la percezione che abbiamo di noi stessi. È la prova che un essere umano ha lasciato il pianeta Terra e ha calpestato il suolo di un altro corpo celeste.
Edwin Eugene Aldrin Jr aveva 39 anni, allora, già alcuni primati spaziali alle spalle e un soprannome che non si dimentica facilmente: tutta colpa di una delle sorelle che, non riuscendo a pronunciare brother (fratello), lo storpiava in buzzer.
Divenne in fretta il celebre Buzz, nome che ha adottato ufficialmente nel 1988 e che sette anni dopo è stato addirittura prestato allo space ranger di Toy Story, Buzz Lightyear.
Video: BUZZ ALDRIN, L'UOMO DELLA LUNA
Dopo la laurea in Ingegneria, si arruola come pilota dell’aeronautica e combatte nella guerra di Corea. A decidere il suo destino è però una specializzazione in Scienze astronautiche, insieme alla selezione, nel 1963, nel terzo gruppo di astronauti della Nasa. Con qualche anno di addestramento sulle spalle, Buzz Aldrin partecipa alla missione Gemini 12 e stabilisce un record di durata delle passeggiate spaziali: un totale di cinque ore e mezza nello Spazio, dimostrando come, grazie all’addestramento sottomarino eseguito sulla Terra, fosse possibile svolgere senza problemi i lavori al di fuori dell’abitacolo. Durante una di queste passeggiate spaziali, Buzz si scatta una foto da solo, così entrando negli annali come prima persona a farsi un selfie nello Spazio.
Ma è stata la missione Apollo 11 a renderlo uno degli uomini più famosi del mondo e della storia. Quel luglio 1969, dopo tre scomodi giorni di viaggio, l’equipaggio composto da Neil Armstrong, Buzz Aldrin e il loro collega Michael Collins entra nell’orbita della Luna, a una distanza di oltre 340mila chilometri dal nostro pianeta. Lì il modulo lunare Eagle, con i primi due a bordo, si sgancia da quello di comando, il Columbia, in cui Collins resta a sorvegliare l’andamento della missione. In poco più di un’ora, i due astronauti affrontano la burrascosa discesa verso la superficie del satellite: così il 20 luglio 1969 alle 20:18 Utc (cioè il Fuso orario di riferimento da cui sono calcolati tutti gli altri fusi orari del mondo) la navetta Eagle tocca il suolo e, dopo sei ore, Aldrin e Armstrong, saltando il riposo programmato, scendono sulla superficie lunare. Ed entrano nella storia, compiendo la prima passeggiata nella bianca polvere del satellite e scattando quelle celebri foto.
Da allora, nonostante una vita difficile segnata da depressione e alcolismo nel periodo successivo alla sua più grande impresa, Buzz Aldrin è stato una figura di riferimento per la politica spaziale negli Stati Uniti e nel mondo. Ha continuato a viaggiare intorno al globo per immersioni, spedizioni (anche in Antartide, interrotta per lievi problemi di salute) ed eventi pubblici in cui raccontare la sua esperienza (come il nostro Wired Next Fest a Milano, nel 2017). Ma non solo. L’ex astronauta, oggi 89enne, ha infatti creato la fondazione ShareSpace per promuovere i viaggi spaziali e ha tracciato una particolare traiettoria che potrebbe portarci su Marte in modo più efficiente, sprecando meno carburante rispetto alle attuali previsioni. A 50 anni da quella storica camminata sul suolo lunare, Buzz è ancora un avido esploratore, con un obiettivo chiaro: rendere lo spazio accessibile a tutti. 20 luglio 1969: quel giorno, i primi passi di un essere umano sulla Luna hanno cambiato tutto. Cosa ha rappresentato per l’umanità? Com’è cambiata, da allora, la percezione di noi stessi? “È stato un risultato magnifico per l’umanità. Dopo il progresso dalla ruota ai treni e dalle macchine agli aeroplani, fino ai razzi, mettere per la prima volta piede su un altro corpo celeste ha significato realizzare qualcosa che, fino ad allora, veniva considerato impossibile e che, invece, abbiamo ottenuto”. Nel 1969 è cambiato anche lei. Si era reso conto che, da quel momento in poi, la vita di Buzz Aldrin sarebbe stata stravolta per sempre? “Sapevo già, quando fui scelto per quella prima spedizione sulla Luna, che sarebbe stata diversa. Allora dissi a mia moglie che mi sarei accontentato di partecipare a un volo successivo per poter fare più esperimenti scientifici sul suolo lunare: sapevo che quel primo allunaggio avrebbe avuto il solo scopo di dimostrare che eravamo in grado di portare un essere umano sul satellite della Terra. Una volta annunciato che saremmo stati la prima missione ad arrivarci, abbiamo dovuto incontrare molti giornalisti e fare un’infinità di interviste: non era il motivo per cui ero diventato astronauta ma certo non potevo rinunciare all’occasione di andare sulla Luna”. Se potesse ripetere quell’esperienza un’altra volta, farebbe qualcosa di diverso? “Ci sono diverse cose che avrei voluto dire e fare. Ero stato il primo ad addestrarsi con il jetpack che George Clooney utilizza nel film Gravity ma, all’ultimo momento, la Nasa ha bocciato l’esperimento. Comunque non ho rimpianti, in linea di massima: ho vissuto una vita decisamente piena. Ho avuto i miei alti e bassi, ancora combatto con alcune difficoltà, però attorno a me ho una buona squadra, che mi aiuta ad andare avanti”.
Lei è stato la seconda persona a camminare sulla superficie lunare. In seguito è stato molto difficile trovare un obiettivo più grande di quello che aveva già raggiunto, un fine che, in un certo senso, guidasse tutto il resto della sua vita? “Innanzitutto: Neil e io siamo atterrati nello stesso momento sul satellite eppure sarò sempre ricordato come ‘il secondo uomo sulla Luna‘. Ma non puoi camminarci, se prima non ci atterri… e quella è stata la parte veramente difficile. Sono stato il primo astronauta a tornare nelle forze armate dopo la Nasa, ma non sapevano cosa farsene di un tipo che aveva camminato sul suolo lunare. Per la verità, neanch’io sapevo bene cosa fare con me stesso. Ho sofferto di depressione e anche la mia famiglia ne ha risentito”.
Dal 1972, nessun essere umano ha più toccato il suolo lunare: la considera una sconfitta personale? Perché ignoriamo da così tanto tempo il nostro satellite? “Tutti noi, tutti gli astronauti e le persone della Nasa, pensavamo che a questo punto saremmo già arrivati su Marte. Ma i budget sono stati tagliati, per cui non siamo andati oltre l’orbita terrestre. Lo Space Shuttle avrebbe dovuto volare 40 volte in un anno, ma al massimo lo ha fatto per 9. Non è stata la tecnologia a deludere le aspettative: le ragioni più importanti sono state, più che altro, i soldi e l’apatia pubblica”.
La Cina e l’Europa stanno parlando di una base umana sulla Luna. Gli Usa sembrano interessati visto che, secondo quanto ha detto Jack Burns, membro del transition team del presidente Trump per la Nasa, il nostro satellite starebbe tornando a essere un obiettivo strategico per la conquista dello Spazio [nel frattempo i piani della Nasa sono diventati più chiari, ndr]. “Sì, la Luna è un punto d’appoggio importante per arrivare su Marte. Abbiamo bisogno di costruirvi una base internazionale, per estrarre ghiaccio e imparare a vivere su un altro pianeta. C’è molto da fare e penso che gli Stati Uniti debbano guidare la comunità internazionale con la loro esperienza sulla Luna, in modo che la Nasa possa concentrarsi su ciò che le riesce meglio: le missioni verso lo Spazio profondo”. Marte e gli asteroidi? Ci andremo presto? “Nel 2009 ho sottoposto alla commissione Augustine [lo speciale team di esperti scelto da Barack Obama per rivedere i programmi spaziali umani della Nasa, ndr] il piano di una missione con equipaggio su un asteroide, per controllare il funzionamento delle navette e testarle in vista di missioni spaziali di lunga durata: non siamo mai andati oltre la Luna, quindi è importante sperimentare ciò che accade oltre l’orbita del satellite. Poi, però, hanno approvato una missione per redirezionare un asteroide, che non ho mai pensato fosse una buona idea. Meglio mandare un equipaggio e farlo tornare indietro: potremmo imparare tanto prima di spedire degli uomini verso Marte. Che è molto, molto più lontano, al punto che non esiste una traiettoria di ritorno, come quella che avevamo per la Luna. Quando cominci il viaggio, non c’è modo di tornare subito indietro”. Cosa pensa del piano spaziale del presidente Donald Trump per gli Usa? “Credo che si stia ancora delineando e sto provando in ogni modo a contribuire, visto che ho avuto più di trent’anni per rifletterci. Penso comunque che il Cycling Pathways, il mio progetto per portare l’uomo su Marte entro il 2035, sia il modo giusto per realizzare un insediamento umano sul Pianeta rosso”.
Il turismo spaziale è in arrivo e molte aziende investono nel mandare semplici viaggiatori nello Spazio. Quando pensa che diventerà normale? “Nel 1996 ho dato vita a una fondazione per promuoverlo, perché rappresenta l’unico modo di garantire alle persone una possibilità di andare nello spazio. Le cose sono andate più lentamente di quanto ci aspettassimo, ma ora che altri come Virgin Galactic e Blue Origin se ne stanno occupando, sono certo che accadrà presto. Credo che siano in molti a volerci andare ma che, semplicemente, non ne abbiano i mezzi”. Nella difficile situazione internazionale in cui viviamo, lo Spazio potrebbe diventare il campo di una prova di forza, come accadde durante la Guerra Fredda? “Per me, al contrario, rappresenta in assoluto la migliore opportunità di collaborazione a disposizione della comunità internazionale. Quale modo migliore potrebbe esistere per mostrare che gli esseri umani possono aiutarsi, se non oltre l’atmosfera? Non credo che un paese possa andare su Marte da solo ma che serva uno sforzo internazionale, guidato dagli Usa”. Qualcuno ancora non crede che l’umanità sia arrivata sulla Luna, anche se ne abbiamo prove diffuse. Cosa risponde a questi scettici? “I russi, a quei tempi, avrebbero fatto qualunque cosa pur di smascherare un finto allunaggio… Basta guardare Google Moon e le foto scattate dagli orbiter lunari: ancora si vedono i siti di allunaggio delle missioni Apollo. E, addirittura il percorso che Neil seguì fino al limitare del cratere, prima di rientrare nella navicella. Prove più valide di queste, non ne esistono”. Questa intervista è stata pubblicata originariamente su Wired 81, dell’estate 2017. Alcuni dati sono stati aggiornati.
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