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04.04.2019

 

Il dopo-Bouteflika al bivio tra golpe e modello tunisino

Paolo Vites intervista Michela Mercuri

 

L’Algeria si trova davanti a una svolta storica dopo decenni. La speranza è che non degeneri in una guerra di potere. Intanto il popolo dei giovani è senza rappresentanza

 

In Algeria è finita l’era di Abdelaziz Bouteflika, esponente di quel partito, il Fronte di liberazione nazionale, che ha guidato ininterrottamente il paese negli ultimi vent’anni con la corruzione e lo sfruttamento economico. Ma cosa questo significhi, come ci ha spiegato Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei Paesi Mediterranei nell’Università di Macerata, è tutto da capire. “Al momento la guida del paese è in mano ai militari, si spera che rispettino la legge che prevede elezioni nei prossimi 90 giorni, ma anche in caso di voto la frammentazione dell’opposizione è tale che non possiamo dire quale sarà la svolta”. Michela Mercuri ha appena pubblicato, insieme a Giuseppe Acconcia, Migrazioni nel Mediterraneo (Angeli 2019).

 

Si parla di “golpe soft” in Algeria. Chi detiene il potere in questo momento di transizione?

In questo momento sicuramente il volto del potere è rappresentato dai militari. Esiste un’alleanza strategica tra i vertici militari che non sono stati epurati da Bouteflika e il partito al potere nonché esponenti dell’economia. I militari avranno il compito di gestire la transizione. Dal punto di vista formale il presidente del Consiglio è Noureddine Bedoui che ha governato anche lui per anni, ma chi ha reso possibili le dimissioni di Bouteflika è stato l’esercito.

Come verrà gestita questa transizione?

E’ auspicabile, in vista di una possibile presidenza collegiale, un’alleanza tra il Fronte di liberazione nazionale, i sindacati e membri dell’opposizione. Difficile dire, vista la loro frammentazione, se ci saranno anche forze del fronte islamista.

In cosa consiste oggi l’opposizione politica? I giovani che sono scesi nelle strade si riconoscono in qualche forza politica?

Il quadro è frammentato anche qui, i giovani e chi è sceso in piazza, parliamo di milioni di persone non solo nella capitale ma in tutto il paese, mancano di una rappresentanza. Il web ha convogliato i giovani in piazza ma il web non genera leader. Oggi non c’è alcuna forza politica capace di rappresentare questo movimento popolare e questo potrebbe emarginare i veri attori del cambiamento, i giovani, che potrebbero rimanere senza una voce elettorale, come è accaduto in Egitto nel 2011.

Se le elezioni non daranno vita a un governo in grado di rispondere alle esigenze di questo movimento, c’è il rischio che si degeneri in violenze di piazza?

E’ difficile fare previsioni, credo che i giovani algerini siano molto motivati. Attendono i risultati delle elezioni. Se ci fosse un partito di coalizione capace di includere questi movimenti di protesta ci potrebbe essere una sorta di modello tunisino, una grande coalizione in grado di accontentare tutte le anime. Altrimenti si potrebbe correre il rischio di cadere in una dittatura militare. Dipenderà anche dalla presenza o meno di attori stranieri, come successo in Libia, intenzionati a influenzare le rivolte e le loro dinamiche. Questo sarebbe estremamente grave.

L’Italia ha forti interessi economici in Algeria, la presenza dell’Eni è molto importante. Allo stesso tempo c’è la presenza francese in quanto ex potenza coloniale: c’è il rischio che accada quanto sta succedendo in Libia, tra Francia e Italia?

Lo scenario è diverso. Per ovvi motivi la Francia ha importanti interessi energetici rodati, ma teniamo conto che l’Eni è presente in Algeria dal 1981. Oggi Eni e Total collaborano insieme con l’azienda di Stato. In Libia la Francia ha cercato di defenestrarci, in Algeria non c’è questa competizione e non credo si aprirà nel momento in cui l’Eni e la Total continueranno a lavorare insieme. Sempre che la Francia non voglia eliminarci…

L’Algeria per qualche ragione non è stata contagiata dal virus dell’Isis, come mai?

Il sistema di controllo delle frontiere è sempre stato ineccepibile, dal punto di vista militare il paese è stato blindato. Le forze dell’intelligence combattono attivamente contro gli jihadisti che cercano di entrare. Recentemente l’Interpol ha diramato una lista di 1500 jihadisti che dalla Libia vogliono entrare in Algeria. Certamente una destabilizzazione del paese, oltre a favorire i jihadisti che sono in Libia, potrebbe favorire un nuovo hub del terrorismo. È un problema reale.

L’Algeria sembra essere fuori anche dal problema migranti, è così?

In realtà una rotta algerina dei migranti esiste, nel 2016 ne sono arrivati in Sardegna 600 e 1800 nel 2017. Anche qui una destabilizzazione dell’Algeria porterebbe all’aumento delle rotte dei migranti con le conseguenze che possiamo immaginare.

 

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