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11 10 2018
Per descrivere la mattanza dei giornalisti il NY times cita “Pulp Fiction”
di Maria Cristina Negro
I fatti di cronaca che nelle ultime ore hanno reso leali giornalisti vittime sacrificali di quella stessa informazione che quotidianamente sono chiamati a difendere, ci consegnano una realtà che supera la crudeltà del pur fantasioso capolavoro di Quentin Tarantino.
La sparizione avvenuta otto giorni fa del reporter saudita Jamal Khashoggi è destinata a creare scompiglio tra le diplomazie e i governi di Turchia e Arabia Saudita rischiando di compromettere le già complesse relazioni tra i due Stati.
Il giornalista saudita Jamal Khashoggi, collaboratore del Washington Post, èespatriato lo scorso anno in America temendo un possibile arresto, da parte delle autorità del suo Paese, in quanto voce critica del principe ereditario saudita Salman.
Tutto comincia poco dopo le 13,00 di martedì 2 ottobre quando il reporter dissidente fa ingresso nel suo Consolato ad Istanbul per richiedere i documenti di divorzio necessari per convolare a seconde nozze con la compagna turca Hatice Cengiz che attende fuori dall’edificio. Jamal ha chiesto alla compagna di rivolgersi alla autorità turche nel caso in cui non fosse tornato. Dopo una estenuante attesa è partita la denuncia della vicenda che sta tenendo con il fiato sospeso le diplomazie di tutto il mondo.
Per riassumere la ricostruzione della vicenda, il New York Times ha tirato in ballo il celebre film “Pulp fiction”in quanto la realtà che sta emergendo ne ricalca il copione.
Secondo la fonte investigativa turca citata dal NYTimes infatti, Jamal sarebbe stato ucciso all’interno del Consolato ed il suo corpo fatto a pezzi con una motosega elettrica.
Sul minivan di colore scuro che, due ore dopo l’arrivo del giornalista viene ripreso mentre si allontana dall’edificio, potrebbe essere stato caricato il corpo smembrato di Jamal. Il veicolo che appare nei nastri di videosorveglianza, percorrerà un paio di chilometri fino a parcheggiare nel garage della residenza del console. Ricomparirà soltanto nella notte sulla pista dell’aeroporto di Ataturk ripreso dalle telecamere mentre si dirige verso un jet privato, uno dei due veicoli di una compagnia saudita che proprio in quella mattina aveva sbarcato 15 emissari giunti da Riad.
Il quotidiano turco Sabah sulla base del materiale a sua disposizione, apostrofa la congregazione di funzionari come “la squadra della morte” e pubblica foto e nomi di alcuni membri del commando di alti funzionari che sarebbero agenti dell’unità di élite che ha in carico la protezione del principe ereditario Mohammad Bin Salman.
Per i sauditi la ricostruzione fatta trapelare dagli inquirenti turchi sarebbe frutto di fantasia ma, la coincidenza che quel 2 ottobre il personale del Consolato fosse stato messo inaspettatamente in riposo forzato è quantomeno singolare.
L’intelligence americana era a conoscenza del pericolo incombente sul giornalista per aver intercettato poco tempo prima un piano per il suo rapimento tra agenti sauditi.
Nelle ultime ore gli esperti degli uffici ONU per i diritti umani hanno invocato l’apertura di un’inchiesta internazionale mentre gli Stati Uniti e l’UE lanciano continui appelli affinchè si faccia luce su una vicenda che getta pesanti ombre sulla scalata al potere del principe ereditario saudita.
Donald Trump si è detto preoccupato per la sorte del reporter e si è impegnato a parlarne con Riad che nel frattempo ha dato l’atteso via libera alla richiesta turca di ispezionare i locali del Consolato.
Questa penosa vicenda si colloca a poche ore dall’epilogo del tragico episodio che ha causato la morte della giornalista bulgara Viktoria Marinova, ammazzata il 7 ottobre mentre faceva jogging in un parco.
Per l’omicidio della professionista è stato arrestato Severin Krasimirov, un 21enne bulgaro di etnia rom, reo confesso, il cui obiettivo era quello di stuprare e poi assassinare una vittima a caso. Nulla quindi a che vedere con le indagini in merito a sospetti “giri” di fondi dell’Unione Europea su cui la solerte giornalista stava indagando.
“In questa fase non consideriamo che l’omicidio sia legato all’attività professionale della vittima” ha dichiarato il Procuratore Generale Sotir Tsatsarov.
Ma per una giornalista vittima del disegno random di uno squilibrato tanti sono i professionisti la cui sorte è strettamente condizionata dall’obiettivo di denunciare le storture legate a delicate inchieste.
L’ultimo rapporto Unesco presentato a Parigi, risalente al 2016 parla di 827 giornalisti uccisi negli ultimi 10 anni mentre svolgevano il proprio lavoro. 213 solo nel biennio 2014-2015. Il rapporto, pubblicato ogni due anni, rappresenta la risposta dell’Unesco alla richiesta dei 39 Stati membri del Consiglio intergovernativo del programma internazionale per lo sviluppo della comunicazione.
A queste cifre occorre aggiungere le innumerevoli ulteriori violenze subite dagli operatori dell’informazione, quali detenzioni arbitrarie, rapimenti, torture, intimidazioni.
Nel rapporto di “Reporters sans frontières” del 2017, sessantacinque sono i giornalisti assassinati nel mondo. Trentanove di loro sono stati intenzionalmente presi di mira e assassinati perché le loro indagini disturbavano interessi di lobbies economiche o di gruppi politici oppure scoperchiavano interessi e connivenze con le mafie. Ventisei giornalisti sono state vittime collaterali di bombardamenti, attentati o di missioni militari. Emerge da questi dati come il 60% dei giornalisti sia stato ucciso con il solo scopo di zittire le loro penne.
Il dato, rispetto al 2016, sembra essere in leggero calo con il 18% in meno nel 2017.
Il World Press Freedom Day, la 25ma Giornata Mondiale della Libertà di stampa indetta dall’ONU per ricordare i giornalisti uccisi e minacciati a causa del loro lavoro è stato recentemente celebrato in tutto il mondo, il 3 maggio scorso a Roma ed il principale ad Accra in Ghana.
Tanti sono i giornalisti che anche in Italia subiscono quotidianamente minacce ed intimidazioni: secondo i dati dell’Osservatorio Ossigeno per l’informazione, che monitora quotidianamente le intimidazioni ai cronisti italiani, 76 erano i casi segnalati dall’inizio dell’anno fino al giorno della celebrazione di Roma.
In occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa del 2018, il segretario generale delle Nazioni Unite ha invitato i governi “a rafforzare la libertà di stampa e a proteggere i giornalisti: promuovere una stampa libera significa lottare per il nostro diritto alla verita”.
E come non ricordare le parole del Presidente Mattarella nel messaggio inviato al presidente dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, Alessandro Galimberti “dai giornalisti grande contributo alla causa della democrazia, per questo occorre sostenere il loro lavoro perché difendono dall’aggressione la nostra vita sociale e la nostra libertà personale e familiare, attraverso l’informazione libera e corretta. Occorre proteggere le loro voci che rifiutano ogni sopraffazione. La libertà di informazione, come attesta la nostra Costituzione, è fondamento di democrazia”.
Alla luce dei recenti fatti di cronaca aggiungerei che democrazia sarà quando scrupolosi ed integerrimi professionisti non dovranno più barattare la loro vita con il dovere all’informazione.