Fonte https://www.redpepper.org.uk/ http://popoffquotidiano.it/ 14 gennaio 2018
Ahed Tamimi e la paranoia di Israele di Richard Seymour Traduzione di Marina Zenobio
Una sedicenne a giudizio davanti al tribunale militare per aver preso a schiaffi un soldato super armato. Israele vittima di un’attivista adolescente?
Come tutto il mondo sa, Ahed Tamimi è una adolescente che ha preso a sberle un soldato di Israele. Di conseguenza è stata portata in giudizio davanti ad un tribunale militare. Al 99,7% sarà condannata (una percentuale totalitaria si potrebbe dire). 15 le accuse di cui dovrà rispondere, tra cui l’aggravante di aggressione contro un soldato, la minaccia a un soldato, l’aver impedito ai soldati di portare a termine il loro compito, l’incitamento e il disturbo della quiete pubblica, il lancio di pietre. Lasciatemelo ripetere: una ragazza di 16 anni è stata portata in giudizio davanti a un tribunale militare israeliano per aver preso a schiaffi un soldato delle forze di occupazione. Lo so che Tamimi non è certo una ragazza ingenua, è una attivista anti-occupazione con esperienza. A questo si riferiscono gli odiosi video propagandistici israeliani dove la definiscono “Shirley Temper” e disprezzano le sue proteste definendola una “agitatrice”. Tuttavia, una ragazza di 16 anni è stata portata in giudizio davanti ad un tribunale militare per aver preso a schiaffi un soldato super armato. Una protesta con una carica simbolica che davvero infastidisce gli occupanti. Una protesta, armata solo di forza morale (che non è quindi completamente disarmata), che Israele avrebbe potuto facilmente decidere di ignorare. Tuttavia la sberla, sentita in tutto il mondo, ha finito per essere un tema di conversazione penoso e scioccante, che gira tra espressioni rituali di orgoglio per l’eroismo militare e lamentele d’orrore per il danno all’orgoglio nazionale. Miri Rege, del Likud [partito al potere in Israele, ndt] e già generale di brigata delle Forze di Difesa israeliane, ha commentato: “Quando ho visto l’accaduto mi sono sentita umiliata, distrutta”. Ben Ehrenrech ha riferito che diversi giornalisti israeliani hanno usando “parole come ‘castrato’ e ‘impotente’ per descrivere come si sono sentiti quando hanno visto il soldato col suo casco, il suo giubbotto antiproiettile, la sua arma, e la ragazza in camicetta rosa e la giacca a vento blu che lo umiliava. Nonostante la sua forza, potenza e arroganza, lo ha umiliato”. Dall’altra riva del dibattito, il vigore e il potere fallico di Israele è stato di fatto dimostrato dall’eroismo tranquillo e silente delle truppe. Avi Buskila, che presiede l’organizzazione Peace Now fondata da Amos Oz, afferma che “i soldati hanno agito eroicamente, proprio come ci si aspettasse che facessero”. Che siano membri del Likud o pacifisti, la premessa concordata è che questi furbetti di palestinesi sono scesi in strada per provocare, molestare e umiliare i loro nobili e valorosi ragazzi. Il rispettabile giornalista Ben Caspit, che scrive per la stampa progressista e orientato verso la pace, ha scritto sul quotidiano Maariv come potrebbe essere vendicata tale umiliazione: “Non c’è stomaco che non si rivolti guardando questo video… Io, per esempio, se mi fossi incontrato in una situazione simile, mi sarei fatto arrestate fino al processo… Per quanto riguarda la ragazza, dovremmo fargliela pagare in un altro contesto, nell’oscurità, senza testimoni né telecamere”. Come sottolinea Jonathan Ofir, coloro che esigono la riparazione dell’orgoglio di Israele tramite rappresaglie violente dimenticano che, di fatto, lo schiaffo di Tamimi è stata una rappresaglia. Questa non è una sfumatura riguardo la violenza lenta e strutturale dell’occupazione: letteralmente, dice Ofir, il soldato ha colpito per primo. Se fosse vero, ciò è stato ignorato dalla maggior parte della stampa in inglese (anche se, tra parantesi, devo dire che il tono delle informazioni sulla Palestina è cambiato notevolmente in questi ultimi anni). Che Newsweek pubblichi articoli come questo questo, con video che descrivono la vera origine di Israele e della Nakba [l’esodo del 1948, ndt] palestinese, è sorprendente. Impensabile fino a pochi anni fa. Secondo Lisa Goldman questo tipo di discussione nasce dal fatto che la copertura mediatica è trasmessa in modo schiacciante, anche tra i media di ala liberale. Alla riproduzione acritica e fallace della propaganda militare, la tesi argomenta che le truppe israeliane erano lì solo per impedire ai problematici e malintenzionati nativi di lanciare pietre. I e le Tamimi stavano protestando per essere stati privati da anni della terra e dell’accesso all’acqua da parte di una vicina colonia, racconta Goldman, e per tutti quegli anni non era stato lanciato un sasso. Certamente tutta questa discussione è razzista. Anche gli utili e necessari interventi di Ofir e Goldman, per esempio, sono destinati a fare i conti con una premessa ingannevole e grossolana. Il fatto che dovremmo partecipare al tipo di narrativa, che inizia lanciando fango sugli oppressi e sui colonizzati, mostra quanto sono stati disumanizzati i palestinesi. Cosa? Il colonizzatore può avere i suoi arsenali ma il colonizzato non può neanche lanciare una pietra? In ogni caso è totalmente grottesco. Che uno Stato fortemente militarizzato e con molti appoggi, che soggioga sistematicamente la sua opposizione, che reagisce in modo così fragile a una protesta in gran misura simbolica, è pazzesco. Gil Gertel sostiene che, alla base di questo senso di umiliazione c’è che Tamimi ha sovvertito la mitologia sionista: chi è davvero Davide e chi Golia? Posso vedere la forza di questa spiegazione, anche se si potrebbe aggiungere che, nella pratica, lo stato di Israele è stato quello che ha sovvertito questa mitologia. Qui c’è un senso di colpa palpabile. A me, comunque, non evoca altro di così potente come le precarie gerarchie delle stati razzisti alla Jim Crow, la loro natura estremamente delicata, la loro sensibilità a qualsiasi affronto all’autorità e alla proprietà, la loro tendenza ad esplodere violentemente nel momento in cui una persona di colore “manchi di rispetto” all’uomo bianco, e il loro costante, controsovversivo allerta sui sobillatori. Come se l’intero sistema fosse così fragile che una prodezza troppo tollerata nel tempo possa farlo crollare. Forse hanno ragione ad essere così paranoici. Tali piccoli atti di resistenza sono stati i sassolini che, insieme, anno fatto la valanga che ha fatto crollare le leggi di Jim Crow sulla segretazione (anche se non, ovviamente, la supremazia bianca, che si è dimostrata molto più resiliente). Ma per giustificare il trascinamento di una adolescente attraverso il sistema giudiziario e lo spettacolo mediatico internazionale devono dipingere se stessi come relativamente impotenti; i coraggiosi parvenu che affrontano la minaccia della violenza palestinese. Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà. Tamimi è una eroina, come dicono i suoi simpatizzanti sui media. E con ragione suo padre è orgoglioso di sua figlia. Ma è anche, per sottolinearlo ancora una volta, una ragazza di 16 anni, che è stata portata in giudizio davanti ad un tribunale militare e deve affrontare il carcere. E se guardate ai media, quasi tutta la nazione di Israele crede di essere vittima di Tamimi.
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