https://www.huffingtonpost.it/
25/05/2018
La "Scuola di gomme" sarà demolita. Così si distrugge una speranza
Vi sono volti e storie che ti rimangono impressi nella mente e nel cuore. E' questo, credo, la cosa più bella, preziosa che ti rimane dopo un bel po' di anni da inviato di guerra. Penso a questo oggi, alla notizia che in Terrasanta non c'è spazio per una scuola che è stata per tanto tempo il simbolo di una speranza, un investimento sul futuro per tanti bambini che in quella "scuola di gomme" hanno iniziato un percorso di istruzione che altrimenti non sarebbe mai iniziato. Un percorso interrotto con crudeltà, che non viene meno se ammantata di legalità, con cui la Corte suprema israeliana ha reso esecutiva la sentenza di abbattimento di quella scuola che ospitava bambini della comunità beduina israeliana.
Una scuola realizzata con l'impegno generoso di donne e uomini delle Ong italiane impegnate in Palestina e con il contributo della Farnesina e della nostra cooperazione internazionale. Prima di raccontare una storia che non ha avuto un "happy end", mettendone in luce la valenza politica, andrebbero pubblicate le foto dei bambini che la frequentavano.
Quella scuola l'ho visitata più volte, l'ultima lo scorso settembre, nel corso di una visita nei Territori e in Israele di Roberto Speranza e Arturo Scotto, dirigenti di Mdp, ora di Leu, che la Palestina hanno nel cuore. Era una giornata caldissima, un primo pomeriggio, e le aule della "scuola di gomma" servivano anche come protezione per bambini e insegnanti. A unirli, negli sguardi prim'ancora che nelle parole, era l'orgoglio per essere parte di quella straordinaria esperienza.
In quell'esperienza c'è tanto d'Italia. C'è il pionierismo dell'Ong Vento di Terra, da cui ha preso il via il progetto della "scuola di gomme" di Alhan al Akhmar per i piccoli beduini della comunità Jahalin, realizzato grazie al contributo della Cooperazione italiana, con l'aiuto della rete dei comuni di sud Milano, della Conferenza Episcopale italiana e di numerose altre associazioni.
A ben vedere, c'è qualcosa di profondo, e tragico, che unisce le sanguinose vicende di Gaza alla storia di Alhan al Akmar: Ciò che colpisce di più, a Betlemme come a Hebron, è la sofferenza dei più deboli e indifesi: i bambini. Privati di tutto. Anche della loro scuola. E' quello che accade nel deserto d'Israele, nella "Scuola di gomme" – realizzato con muri rafforzati da 2200 pneumatici – nella quale studiano e si divertono 174 bambini. Bambini israeliani, beduini. "I nostri bambini – racconta Abu Kharmis, rappresentante del villaggio beduino di Khan al Ahmar – vestiti vecchi, bottiglie, avanzi di cibo, scatole... non andavano a scuola, non potevano farlo, perché la scuola più vicina era a 3-4 chilometri di distanza. Alcuni sono morti uccisi dalle auto attraversando la strada. Abbiamo chiesto un bus per i nostri bambini. Ci è stato negato. Da Israele e dall'Autorità palestinese". Ma gli abitanti di Khan al Ahmar non si sono dati per vinti. "Abbiamo costruito questa scuola – racconta ancora Abu Kharmis – e l'abbiamo finita anche dopo che le autorità israeliani ci avevano ingiunto di non procedere. Sono venuti i soldati, ma noi abbiamo continuato. Per permettere ai bambini di studiare".
La "Scuola di gomme" è gestita da una Ong italiana, "Vento di Terra", grazie anche al finanziamento della Cooperazione italiana, della Cei e dell'Unione Europea. Pochi giorni dopo la nostra visita, la Corte suprema israeliana era chiamata ad emettere la sentenza definitiva che avrebbe potuto dare, come poi è avvenuto, il via libera alle ruspe: quel terreno serve per farci passare una strada che unisce due insediamenti ebraici realizzati nell'area. "Ci hanno proposto di abbattere la scuola e rimontarla vicino a una discarica di Gerusalemme – racconta Abu Kharmis – ma qui è la nostra vita, non facciamo del male a nessuno, perché devono farlo ai nostri bambini?".
Abu Kharmis non si fa illusione sulla sentenza ma, abbracciando una bambina dai grandi occhi scuri, dice salutandoci: "Noi resisteremo a questa ingiustizia. E un nostro diritto". Ma diritto e giustizia sono beni sempre più introvabili in Terrasanta. Oggi è arrivato il sigillo ufficiale. Oggi, quando a Corte suprema israeliana ha dato il via libera alla demolizione del villaggio beduino di Khan al-Ahmar in Cisgiordania, nonostante la campagna di pressione dei governi europei per evitarlo. Vari governi europei hanno espresso preoccupazione e chiesto a Israele di non procedere alla demolizione del centro abitato da 180 persone, che si trova a nordest di Gerusalemme vicino a varie colonie israeliane. "Questa sentenza toglie la minima protezione accordata sinora da questo tribunale alla comunità dei beduini", ha affermato in una nota Shlomo Lecker, avvocato degli abitanti del villaggio, definendo il verdetto "una approvazione di crimini contro l'umanità". Il tribunale nella sua decisione ha affermato di non aver trovato "motivi validi per intervenire nella decisione del ministro della Difesa, che aveva ordinato la demolizione delle strutture illegali a Khan al-Ahmar". I giudici hanno ritenuto che il villaggio sia stato creato senza permesso di costruzione, autorizzazioni praticamente impossibili da ottenere dai palestinesi nei settori controllati da Israele nella Cisgiordania occupata.
Secondo Haaretz, le operazioni di demolizione potranno avere inizio in qualsiasi momento dal mese prossimo. Il giornale sostiene che la sentenza desta preoccupazione fra altre comunità beduine della Cisgiordania - come quella di Susya - che temono di essere pure costrette a trasferirsi nelle località indicate loro dalle autorità israeliane. L'Ong italiana aveva anche lanciato una petizione su Change.org per chiedere di non abbattere la struttura. La scuola, spiegava Vento di Terra nel testo, "è divenuta un simbolo del diritto all'istruzione e di difesa dei diritti delle comunità beduine palestinesi residenti nell'Area C della Palestina occupata militarmente da Israele. Si tratta di una struttura senza fondamenta realizzata con pneumatici usati, progettata dallo studio Arcò di Milano, per fare fronte alla proibizione delle Autorità Israeliane di realizzare costruzioni in muratura nell'area C e alle specifiche esigenze locali".
Nell'area, sottolineava infine la Ong italiana, "non sono state realizzate strutture a favore della popolazione palestinese, mentre continua a crescere e ad ampliarsi la colonia di Maale Adumin, la cui costruzione ha significato il trasferimento e l'evacuazione della popolazione beduina che viveva su quel terreno. La demolizione della scuola di Khan Al Ahmar creerebbe un pericoloso precedente e un danno notevolissimo alla comunità locale, ponendo le basi per una sua rapida deportazione. Si tratterebbe della seconda demolizione di una struttura realizzata dalla Cooperazione italiana in due anni, dopo lo spianamento del luglio 2014 del Centro per l'infanzia di Um al Nasser, nella Striscia di Gaza, anch'esso realizzato dalla Ong Vento di Terra. Azione perpetrata dall'Esercito israeliano durante l'occupazione dell'area, in piena violazione della Quarta Convenzione di Ginevra".
La decisione della Corte suprema israeliana è stata condannata anche dalla presidenza palestinese, secondo cui "la politica di pulizia etnica è la forma peggiore di discriminazione razziale, che è divenuta la caratteristica predominante delle pratiche e delle decisioni del governo israeliano". Accuse e controaccuse vanno messe nel conto. Ma, fuori da ogni strumentalizzazione di parte, vi sono alcune verità che non possono essere taciute. Non vi era una, dicasi una, ragione di sicurezza che può motivare la distruzione di quel villaggio e di quella scuola.
La "Scuola di gomme" non era un luogo di formazione di futuri jihadisti, ma luogo di crescita, non solo culturale, per tanti bambini. Era un simbolo di speranza, la "Scuola di gomme", ed è proprio questa speranza che si è voluta abbattere assieme a quelle aule, a quel villaggio. Non avrà le prime pagine, questa storia, perché le prime pagine si riservano ai massacri, come se per dimostrare di esistere si debba morire, a centinaia. Ma per ciò che ha simboleggiato, la "Scuola di gomme", con i suoi bambini, i suoi insegnati, meriterebbe molto di più di un titolo di prima. Meriterebbe un sussulto di indignazione, un'azione di protesta, un intervento della Farnesina visto il coinvolgimento, benemerito, dell'Italia. Ma di questi tempi, davvero brutti, è forse chiedere troppo. |
http://nena-news.it/
25 mag 2018
Corte suprema israeliana:
“Luce verde alla demolizione
di Khan al-Ahmar”
di Roberto Prinzi
Ignorando le richieste di Ue e di 10 senatori statunitensi, il massimo tribunale israeliano dà l’ok al trasferimento dei 180 palestinesi del villaggio vicino a Gerusalemme e, in un altro caso, respinge una petizione contro le uccisioni israeliane nella Striscia di Gaza
Roma, 25 maggio 2018, Nena News –
Ignorando le richieste dell’Unione Europea e di 10 senatori democratici statunitensi, ieri la Corte suprema israeliana ha dato l’ok alla demolizione del villaggio palestinese di Khan al-Ahmar, nel governatorato di Gerusalemme.
Nella sua sentenza di ieri, la Corte suprema ha detto di non aver trovato “alcun motivo per intervenire contro la decisione del ministro della difesa di implementare ordini di demolizione contro le strutture illegali a Khan al-Ahmar”. Il massimo tribunale israeliano, nel ribadire che il villaggio è costruito senza i necessari permessi – impossibili però d’avere per i palestinesi nelle aree controllate da Israele nella Cisgiordania occupata –, ha poi stabilito che i suoi 180 abitanti, appartenenti alla tribù beduina dei Jahalin, saranno ricollocati da un’altra parte. Non è chiaro però quando ciò avverrà. Secondo precedenti piani israeliani, i residenti dovrebbero essere trasferiti in un posto vicino ad una discarica ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme est. Qualunque sia il luogo di destinazione dei Jahalin, una cosa appare chiara: più che “ricollocazione”, è in atto un vero e proprio trasferimento forzato di popolazione.
Inevitabile la rabbia palestinese: “Questa politica di pulizia etnica deve essere ritenuta come la peggiore forma di discriminazione razziale ed è diventata la caratteristica principale delle pratiche e delle decisioni del governo israeliano” scrive in una nota ufficiale l’Autorità Palestinese. “Questo è un tentativo razzista per sradicare dalla loro terra i legittimi cittadini palestinesi e rimpiazzarli con i coloni” recita ancora il comunicato.
L’anno scorso in difesa di Khan al-Ahmar erano scesi in campo 10 senatori democratici (tra questi anche Bernie Sanders). “Da tempo sponsorizziamo una soluzione a due stati come giusta risoluzione del conflitto israelo-palestinese – scrissero i parlamentari in una lettera indirizzata al premier israeliano Netanyahu – Tuttavia, gli sforzi del suo governo di evacuare intere comunità palestinesi e di espandere le colonie in Cisgiordania non solo mettono in pericolo la soluzione a due stati, ma crediamo mettano a rischio lo stesso futuro d’Israele come stato ebraico democratico”.
Sulla questione è intervenuta anche l’Unione Europea (Ue): “La pratica di misure quali trasferimenti forzati, spoliazioni, demolizioni, confische di case e beni (inclusi quelli finanziati dall’Unione europea) e gli ostacoli posti alla consegna di assistenza umanitaria sono contrari agli obblighi israeliani imposti dal diritto internazionale” ha scritto lo scorso anno Lars Faaborg-Andersen in qualità di ambasciatore dell’Ue in Israele.
Tel Aviv demolisce regolarmente case e scuole in Cisgiordania affermando che sono costruite “illegalmente”. Tuttavia, sottolinea la ong Human Rights Watch, “Israele impedisce di costruire ai palestinesi nel 60% della Cisgiordania dove ha il pieno controllo favorendo però le costruzioni dei coloni”. Nel 2016 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha passato una risoluzione che ha condannato “tutte le misure che mirano ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo status dei Territori palestinesi occupati nel 1967, compresa Gerusalemme est”.
Ieri poi, sempre la Corte Suprema israeliana ha rigettato all’unanimità una petizione presentata da due organizzazioni locali per i diritti umani che accusava Tel Aviv di aver violato il diritto internazionale con la sua risposta sanguinosa alle proteste dei palestinesi di Gaza. Una decisione che è stata accolta a dir poco con favore dal ministro della difesa Lieberman: “La Corte suprema di Giustizia ha rigettato le petizioni delle fastidiose organizzazioni sioniste di sinistra contro l’atteggiamento forte e inflessibile dell’Idf [esercito israeliano, ndr] di fronte al nemico a Gaza”. “È tempo – ha poi aggiunto – che voi capiate che mentre state tentando di rafforzare il nostro nemico, l’Idf vi sta proteggendo”.
Lo scorso 17 maggio Adalah e al-Mezan avevano chiesto all’esercito israeliano di porre fine al dispiegamento dei cecchini al confine con la Striscia e all’uso di pallottole vere contro i manifestanti. Nel testo inviato al massimo tribunale israeliano, le due ong parlavano di uso “eccessivo di forza” da parte d’Israele, sottolineando come sia “illegale” la sua politica di sparare ai dimostranti. Dal 30 marzo, giorno in cui sono iniziate le proteste nella Striscia, sono stati uccisi 119 gazawi. Oltre 2.770 i feriti. Di fronte alla mattanza di civili, Israele si giustifica: le azioni sono necessarie per difendere i confini e prevenire “infiltrazioni di massa”. Argomentazione confutata dalle ong dei diritti umani: molte vittime sono state uccise lontano dalla recinzione di sicurezza costruita da Israele in territorio palestinese. Nena News
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