The New York Times
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16/5/2018
Uno spettacolo grottesco a Gerusalemme
di Michelle Goldberg
Traduzione di F.H.L.
Lunedi, Ivanka Trump, Jared Kushner e altri protagonisti della destra si sono riuniti in Israele per celebrare il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, un gesto ampiamente visto come uno schiaffo in faccia ai palestinesi che immaginano Gerusalemme Est come la loro futura capitale.
L’evento è stato grottesco. È stato il compimento dell’alleanza cinica tra gli ebrei della linea dura e gli evangelici sionisti che credono che il ritorno degli ebrei in Israele introdurrà l’apocalisse ed il ritorno di Cristo, dopo di che gli ebrei che non si convertiranno bruceranno per sempre.
Religioni come “mormonismo, islamismo, ebraismo, induismo” conducono le persone “ad un’eternità di separazione da Dio nell’inferno”, ha affermato una volta Robert Jeffress, un pastore di una grande chiesa di Dallas. È stato scelto per fare la preghiera di apertura alla cerimonia dell’ambasciata. John Hagee, uno dei più eminenti predicatori americani della storia, una volta disse che Hitler fu mandato da Dio per guidare gli ebrei nella loro patria ancestrale. Lui ha dato la benedizione di chiusura.
Questo spettacolo, orientato verso la base cristiana americana di Donald Trump, ha coinciso con un massacro a circa 40 miglia di distanza. Dal 30 marzo, ci sono state proteste di massa vicino alla barriera che separa Gaza da Israele. Gli abitanti della Striscia, di fronte all’escalation della crisi umanitaria, dovuta in gran parte all’embargo israeliano, chiedono il diritto di tornare alle case in Israele che le loro famiglie furono costrette ad abbandonare. I manifestanti sono stati per lo più – ma non del tutto – pacifici; gli abitanti di Gaza hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani e hanno cercato di far volare degli aquiloni in fiamme verso Israele. L’esercito israeliano ha risposto con armi da fuoco letali, proiettili di metallo rivestiti di gomma e gas lacrimogeni. Negli scontri di lunedì, almeno 58 palestinesi sono stati uccisi e migliaia feriti, secondo il ministero della Sanità di Gaza.
La giustapposizione di immagini di palestinesi morti e feriti e di Ivanka Trump che sorride a Gerusalemme come una Maria Antonietta sionista ci dice molto sul rapporto dell’America con Israele in questo momento. Non è mai stato così stretto, ma all’interno di questa vicinanza ci sono semi di una potenziale estraniazione.
I difensori delle azioni di Israele a Gaza sosterranno che nessun paese consentirebbe ad una folla di invadere i suoi confini. Diranno che anche se Hamas non ha convocato le proteste, le ha sostenute da dietro. “La responsabilità di queste tragiche morti dipende soltanto da Hamas”, ha affermato un portavoce della Casa Bianca, Raj Shah.
Ma anche se si respingesse completamente il diritto palestinese al ritorno – cosa che ora trovo più difficile visto che la leadership israeliana ha quasi abbandonato la possibilità di uno stato palestinese – non giustifica affatto la violenza sproporzionata dell’esercito israeliano. “Quello che stiamo vedendo è che Israele ha usato, ancora una volta, una forza eccessiva e letale contro i manifestanti che non rappresentano una minaccia imminente”, mi ha detto per telefono da Gerusalemme Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente ed il Nord Africa.
Gran parte del mondo ha condannato le uccisioni a Gaza. Eppure gli Stati Uniti, il più importante mecenate d’Israele, hanno dato il via libera per fare con i palestinesi quello che vogliono. In effetti, spostando l’ambasciata a Gerusalemme, in primo luogo, Trump ha inviato il messaggio implicito che il governo americano ha rinunciato a qualsiasi pretesa di neutralità.
Le notizie sulla gratitudine di Israele verso Trump abbondano. Una piazza vicino all’ambasciata sarà ribattezzata in suo onore. Beitar Jerusalem, una squadra di calcio i cui fan sono noti per il loro razzismo, ora si chiama Beitar “Trump” Jerusalem. Ma se gli israeliani amano Trump, molti statunitensi – e certamente la maggior parte degli ebrei statunitensi – non lo fanno. Più il Trumpismo e Israele sono intrecciati, più gli americani inclini alla sinistra si alieneranno dal Sionismo.
Anche prima di Trump, il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva aiutato ad aprire una spaccatura ideologia su Israele nella politica americana, dove in precedenza c’era una stagnante unanimità. “Fino a questi ultimi anni, non avevi mai sentito le parole ‘occupazione’ o ‘colonie’ o parlare di Gaza”, ha affermato Jeremy Ben-Ami, presidente del gruppo liberale filo-israeliano J Street, sui politici americani. Ma Ben-Ami mi ha detto che dal 2015, quando Netanyahu ha cercato di indebolire il presidente Barack Obama con un discorso controverso al Congresso che si opponeva all’accordo con l’Iran, i Democratici si sono sentiti più incoraggiati. “Questo ha cambiato il calcolo per sempre”, mi ha detto.
Gli eventi di lunedì potrebbero averlo cambiato ulteriormente, e le cose potrebbero ancora peggiorare. Martedì (15 maggio, ndr) è il giorno della Nakba, quando i palestinesi celebrano l’espropriazione, e le proteste alla barriera sarnno ancora maggiori. “Le persone non sentono di poter rimanere a casa dopo che i loro cari ed i loro vicini sono stati uccisi per aver protestato pacificamente per i loro diritti”, mi ha detto via e-mail Abdulrahman Abunahel, attivista di Gaza del Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni.
Trump ha dato potere a ciò che c’è di peggio in Israele, e finché sarà presidente, può darsi che Israele potrà uccidere palestinesi, demolire le loro case e appropriarsi delle loro terre con impunità. Ma un giorno, Trump se ne andrà. Con la speranza quasi morta di una soluzione a due stati, le tendenze attuali suggeriscono che una minoranza ebraica governerà una maggioranza musulmana largamente privata della libertà in tutta la terra sotto il controllo israeliano. Una generazione emergente di americani potrebbe vedere uno Stato di apartheid con una ‘Piazza Trump’ nella sua capitale e potrebbe chiedersi perché quel Paese dovrebbe essere nostro amico.