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15 maggio 2018 

 

L’ambasciata della morte

di Niccolò Inturrisi

 

L'apertura della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme si è trasformata, come era stato previsto, in un vero bagno di sangue per il popolo palestinese.

 

Dopo i mesi passati tra le polemiche e gli scherni, nella giornata del settantesimo anniversario della nascita dello Stato di Israele si è tenuta l’inaugurazione ufficiale della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme. Tuttavia, quella che il presidente americano aveva dichiarato ingenuamente come una giornata dedicata alla speranza di una “pace” si è risolta, come era prevedibile, in un massacro da parte di militari israeliani a discapito della popolazione civile palestinese. Non vogliamo solo soffermarci sui quasi 2000 feriti e oltre 50 morti ammazzati dalle pallottole israeliane – impacchettate, spedite e vendute direttamente da quello stesso paese che si crede baluardo della sopravvivenza della democrazia del mondo – per sottolineare una situazione oscena e deplorevole che nessun paese europeo si degna di condannare con la dovuta attenzione. È proprio questa mancanza di coerenza, non solo mediatica, ma sinceramente politica, che lascia esterrefatti chi (come tutti noi) ha assistito nell’arco degli ultimi vent’anni a un vero e proprio diktat da parte del governo di Israele: il predominio non solo politico ed economico, ma soprattutto sociale e culturale rispetto ad una popolazione che si è vista usurpare la propria terra natia, costretto a vivere in una striscia di terra e, non abbastanza umiliati, denigrati e lasciati a loro stessi da parte delle grandi potenze mondiali.

Quale pace si può coronare con l’uso delle armi e della violenza? Quale pace si può guadagnare spalleggiando l’omicidio e la censura? Il potere, la belva nera di Balzac, che penetra nelle viscere della psicologia umana, si è fusa con il destino del danaro, della potenza di istituzioni costruite ad hoc e, soprattutto, dall’appoggio fittizio e non di macchine nazionali ed internazionali che non smettono di contraddirsi ogni volta che prendono una posizione in merito all’argomento. Ma qui non si tratta solamente di razionalità, di empatia verso dei ragazzi di appena sedici anni uccisi; questo è il momento per parlare e condannare il comportamento di uno Stato sovrano, che impone la propria potenza fascista nei confronti di una popolazione in continuo rigetto. Ma, d’altronde, siamo stati abituati, come popolazione consumista europea, a non ragionare più sui fatti, ma a farci andare bene quelle poche briciole che ci lasciano seguire. Ad accumulare menzogne e a farci scivolare sulla pelle le disgrazie di altri paesi che riteniamo abbastanza lontani da non poterci fare paura. Non abbiamo più una strada da percorrere se non quella lastricata dalle morti di giovani uomini e donne che lottano per l’ideale di libertà e giustizia – quella stessa che un paese sta togliendo loro con così veemente imposizione.

Ricordatevi, allora, che ogni morto sul confine costruito e imposto della Palestina è anche sulla nostra coscienza: nessuno ci potrà salvare dalla consapevolezza della storia, dalla verità istintiva – senza significanti – che ognuno di voi è ugualmente coinvolto in questo massacro nel momento in cui assecondiamo passivamente questi scempi per l’umanità. Non saremo mai al sicuro, fintanto che condanneremo delle giovani anime alla morte nello spazio di un giornale, consolati dal vostro animo borghese che ci spinge a girare la testa e non guardare. Questa è la vera minaccia per la pace e questo è l’unico modo per costruirla davvero: essere partecipi, osteggiare chi ci vuole convincere che tutto questo passerà, che è solo un altro momento nella parabola del mondo. La storia esiste solamente per essere scritta, e se questa è la storia dell’Europa, allora dobbiamo lottare con tutte le nostre forze affinché questo finisca. Non può esistere una pace comprata dal fuoco delle pallottole. Israele, gli Stati Uniti, l’Europa e i suoi cittadini: siamo e saremo sempre complici colpevoli e disgraziatamente condannati dalla realtà per la nostra mancanza di coraggio. La continua mancanza, appunto, istillata dal capitalismo occidentale, corrosa dall’avidità di un popolo che ha smesso di sognare la libertà e l’eguaglianza per tutti i propri simili per favorire la liberazione di flussi sul campo deterritoralizzato della coscienza umana.

 

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