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20 agosto 2018
Milioni di venezuelani in fuga, ma Ecuador e Perù bloccano i migranti. Scontri alla frontiera del Brasile
di Enrico Oliari
La catastrofica crisi economica del Venezuela, dove i negozi e i camion che portano alimentari sono presi d’assalto e per cui è prevista dagli analisti per la fine dell’anno un’inflazione al milione per cento, sta costringendo numerosi venezuelani a lasciare il paese, un flusso inarrestabile che il portavoce dell’Onu, Stephane Dujarric, ha quantificato settimana scora in 2.3 milioni di individui su una popolazione totale di 31 milioni.
Dujarric ha spiegato che “La gente cita la mancanza di cibo come principale ragione della fuga”, e difatti l’inflazione, che ha superato il 40mila per cento e che secondo gli analisti entro fine anno potrebbe arrivare a un milione per cento, sta rendendo impossibile l’acquisto di generi alimentari. Da tempo vi sono episodi di veri e propri assalti ai negozi di pane e alimentari e ai camion che li portano, ma Dujarric ha fatto anche notare che 100mila venezuelani sieropositivi “potrebbero non avere presto accesso alle terapie necessarie”.
Fatto sta che l’emigrazione dei venezuelani nei paesi limitrofi, cioè in Colombia e Brasile e da lì in Ecuador e Perù, sta diventando un problema sempre più insostenibile, al punto che oggi il presidente del Brasile, Michel Temer, ha disposto l’invio dei militari al confine ed ha convocato una riunione d’urgenza dei ministri a causa delle tensioni che si sono verificate nello Stato settentrionale di Roraima, dove gli abitanti della zona di frontiera di Pacaraima hanno prima manifestato contro gli immigrati e poi si sono scontrati violentemente con 1.200 migranti venezuelani costringendoli a lasciare il loro accampamento e a rientrare nel territorio venezuelano.
Ieri invece è arrivata notizia che le autorità di Lima hanno deciso di inasprire le norme di ingresso nel Paese per via del continuo flusso di migranti provenienti dal Venezuela chiedendo l’esibizione del passaporto, documento che nel paese post-chavista hanno in pochi. Non sarà quindi possibile superare la frontiera con la semplice carta d’identità, ma va detto che solo settimana scorsa sono stati 20mila i venezuelani che hanno cercato di entrare in Perù in fuga dalla difficilissima crisi economica che sta vivendo il loro paese. Stessa cosa ha fatto l’Ecuador, ed ora la Colombia teme di dover gestire i molti migranti che arrivano e che quindi sono costretti a rimanere lì.
Oggi è invece entrato in vigore il bolivar sovrano, la nuova moneta del paese che rispetto alla precedente ha 5 zeri in meno, ovvero un bolivar sovrano corrisponde a 100.000 di vecchi bolivar. Le banconote verranno sostituite gradualmente, ma la cosa non risolverà di certo la crisi del paese, frutto non solo dell’abbassamento del prezzo del greggio in un paese che non ha saputo diversificare, ma soprattutto per la malsana idea di nazionalizzare in più casi aziende di imprenditori stranieri, cosa che ha portato gli investitori esteri a stare ben lontani dal Venezuela. In maggio le autorità venezuelane hanno arrestato l’intero vertice della principale banca privata, la Banesco, con l’accusa di aver omesso i dovuti controlli e quindi di aver indirettamente favorito il cambio illegale e l’aumento dell’inflazione: gli 11 dirigenti tra cui il presidente e il vicepresidente sono stati invitati ad una riunione di routine presso la Banca centrale, dove sono state mosse le prime contestazioni, e quindi sono stati trasferiti negli uffici del Controspionaggio militare (Dgcim) e lì arrestati.
Maduro ha annunciato due giorni fa l’aumento degli stipendi minimi di ben 35 volte, al momento pari a 180.000.000 di bolivar (1.800 bolivar sovrani, cioè 30 dollari), come pure l’aumento dell’Iva dal 12 al 16%.
Intanto il Venezuela di Nicolas Maduro continua a precipitare, le scuole sono aperte solo alcuni giorni alla settimana, la corrente elettrica funziona solo per certi orari e nei negozi manca di tutto.
La tensione politica è alle stelle, con manifestazioni e contromanifestazioni, disordini e intervento dei gruppi paramilitari filogovernativi, che sparano a vista e che in pochi mesi hanno ucciso centinaia di giovani manifestanti. Prima Maduro nel marzo 2017 e poi la nuova Costituente nell’agosto dello stesso anno hanno esautorato il parlamento dove il presidente fin dalle elezioni del 2015 non godeva più della maggioranza.