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18/01/2018
A chiedere la guerra contro il Venezuela un'editorialista davvero di eccezione su il Sole 24 ore
di Geraldina Colotti
Sull'edizione online di un grande quotidiano nazionale è comparso un articolo di opinione sul Venezuela a firma Maria Corina Machado. L'autrice viene presentata come “un ex membro dell’Assemblea Nazionale del Venezuela e la fondatrice di Súmate, un’organizzazione per il monitoraggio elettorale con sede a Caracas”. Il Copyright è di Project Syndicate, The World's Opinion Page di George Soros.
In sintesi, Machado chiede alla “comunità internazionale” di smetterla con la via del dialogo e di appoggiare “il rovesciamento del regime attuale”. Spiega la ex deputata di opposizione: “ Per abbattere le forze del dispotismo e sfidare la cricca al potere, i venezuelani dovranno ricorrere a una strategia di disobbedienza civile che preveda una pressione esterna continua sulle fonti di sostegno finanziario e istituzionale del governo, nonché una prolungata mobilitazione della protesta interna”. Il profilo di estremista filo-atlantica dell'ex deputata basterebbe a inquadrare l'articolo nella sua giusta luce. Machado non è esattamente una democratica e men che meno una pacifista. L'11 aprile del 2002, ha sostenuto il colpo di stato contro Chavez e il programma di Carmona Estanga, capo della locale Confindustria, messo alla testa del governo fantoccio a guida Cia. Prima che il popolo rimettesse le cose a posto, due giorni dopo, erano state sospese tutte le garanzie costituzionali e ordinata una epurazione su larga scala, già prevista dal copione ideato negli Stati uniti.
Di che natura sia la “disobbedienza civile” lo hanno indicato due devastanti campagne promosse dall'estrema destra a cui Machado appartiene, insieme ad altri figuri dell'oltranzismo venezuelano quali Antonio Ledezma e Leopoldo Lopez. Nel 2014, “la salida”, da loro lanciata ha provocato 43 morti e oltre 800 feriti, in maggioranza esponenti delle forze dell'ordine, chavisti, passanti o lavoratori che rientravano a casa.
Nel 2017, un'altra ondata di violenza scatenata in aprile a colpi di bombe e linciaggi ha prodotto 150 morti e oltre un migliaio di feriti. Tra i delitti più efferati dei “pacifici manifestanti” (come venivano dipinti dai media), vi fu quello del giovane lavoratore Oscar Figuera, bruciato vivo perché ritenuto chavista. Uno scontro armato, circoscritto a una decina di municipi sui 335 che conta il Venezuela, ma violento, ben finanziato e sostenuto da una formidabile campagna mediatica internazionale.
Il capovolgimento di senso, di interessi e responsabilità è la cifra principale di un'informazione blindata e addomesticata che “assegna” a ciascuno il proprio ruolo: all'occorrenza anche quello di imbonitori di un conflitto che occorre invece guardare in faccia senza infingimenti. Un conflitto a spettro globale per il possesso delle risorse in cui le guerre di aggressione – necessarie al capitalismo per rigenerarsi – devono essere presentate come eventi liberatori dei “diritti umani”.
Chissà perché le grandi multinazionali dell'”umanitario” prestano voce e orecchio a una parte sola, difendono l'istituito solo quando non disturba il manovratore occidentale. Pertanto, eccole ergersi come un sol uomo a difesa del gruppo armato capeggiato dall'esaltato dell'elicottero, l'ex poliziotto Oscar Pérez, ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Dell'altro Oscar (Figueroa), dell'afro-venezuelano bruciato vivo, dei familiari o dei sopravvissuti alle violenze di opposizione, le “organizzazioni umanitarie” non si sono volute occupare.
In Italia e in Francia, i parenti delle vittime delle “guarimbas” del 2014 hanno inutilmente fatto anticamera per essere ricevuti da Amnesty International. In questa occasione, nemmeno si è chiesto conto ai sostenitori del gruppo armato degli agenti uccisi. Eppure quei poliziotti non sono morti da soli. Pérez e soci avevano già attaccato le istituzioni e progettavano attentati sanguinosi con autobombe, prima di tutto all'ambasciata cubana in Venezuela. In quale Stato del mondo si possono attaccare le istituzioni senza assumersene coerentemente le conseguenze?
In Italia, i guerriglieri degli anni '70 e '80 hanno scontato carceri speciali (oltre 5.000 prigionieri politici), torture e anche esecuzioni sommarie. Ben pochi, però, si sono stracciati le vesti per chiedere garanzie e diritti allo Stato borghese; né chi lo combatteva ha chiesto clemenza.
Contro Cuba ieri o contro il Venezuela oggi, il coro di anime belle pronte a chiedere la forca in occidente, diventa invece improvvisamente garantista. Protesta contro il governo bolivariano, insieme ai Massoni dell'Ecuador e alle destre Usa, latinoamericane ed europee.
L'Unione europea ha annunciato per oggi il voto sulle sanzioni economico-finanziarie ad alcuni funzionari venezuelani, mentre già sono operative quelle decise dagli Usa e seguite dai paesi che li riveriscono. Il Venezuela bolivariano viene attaccato da ogni parte. L'ex ministro degli Esteri norvegese Borge Brende, presidente del Forum economico mondiale, ha detto che se ne discuterà anche a Davos, in Svizzera, dal prossimo 23 gennaio al 26.
Sempre oggi, giovedì, si è svolta nella Repubblica dominicana un'altra tornata di dialogo tra il governo venezuelano e l'opposizione. I principali rappresentanti delle destre hanno però intrapreso il solito doppio balletto, sostenendo di voler disertare l'appuntamento, nonostante il grosso degli accordi sia già stato raggiunto. Come spiega anche Maria Machado nel suo articolo d'opinione, c'è uno scontro tra le varie correnti dell'alleanza Mud per la linea da adottare. I più oltranzisti cercano come sempre di forzare la mano imponendo la via violenta.
Gli argomenti di Machado sono quelli usati di solito per aggredire i paesi non subalterni agli Usa: narco-traffico, stato fallito, insopportabili violazioni dei diritti umani. Da qui, anche l'uso della vicenda Pérez e la sua gestione mediatica. Dopo la notizia che al nascondiglio dell'ex poliziotto attore si sarebbe arrivati per una soffiata delle destre messa sul piatto del dialogo nella Repubblica dominicana, si è scatenata la corsa alla smentita.
Per il governo bolivariano, l'atteggiamento ondivago dell'opposizione dipende dal volere degli Usa, che tirano il guinzaglio anche nella trattativa. Agli Stati uniti sarebbe gradita la candidatura dell'imprenditore Lorenzo Mendoza alle prossime presidenziali. Per questo, c'è bisogno di prepararla, di minare fortemente il consenso del chavismo (che ha vinto tre elezioni in successione) e del presidente Nicolas Maduro.
Nel 2017, le grandi corporazioni mediatiche accodate agli Usa hanno diffuso 3.880 notizie negative sul Venezuela: 1860 tra aprile e luglio, durante le violenze organizzate dai gruppi oltranzisti di opposizione; e 531 solo nel mese di luglio. Appena il governo bolivariano riesce a uscire dall'angolo e smentisce nei fatti la propaganda mediatica, il bombardamento si affievolisce. A dicembre, dopo la terza vittoria elettorale del chavismo, le notizie negative sono state 166. Le notizie positive non si diffondono. Altrimenti sarebbe difficile spiegare per quale motivo quella “terribile dittatura caraibica” continui ad avere il consenso delle urne. Ma ora l'attacco è ripreso.
Durante la processione della Divina Pastora – a cui ogni anno partecipano migliaia di persone – le gerarchie ecclesiastiche (un vero e proprio partito politico schierato con le destre al punto da benedire apertamente gli armati) anziché alla conciliazione hanno istigato le folle alla rivolta contro il governo. I gruppi di estrema destra, intanto, si organizzano. Cercano di pilotare saccheggi mirati senza attaccare le grandi catene private, che disattendono il controllo dei prezzi imposto dalla legge. La Ue prova a ricattare Cuba con la firma degli accordi commerciali, per togliere l'appoggio al Venezuela.
Diosdado Cabello, vicepresidente del Partito socialista unito del Venezuela, che sarebbe il terminale dei collettivi armati di autodifesa attivi nel chavismo, ha offerto dichiarazioni pubbliche sull'uccisione di Oscar Pérez e del suo gruppo. Sotto il piombo dell'ex poliziotto-Rambo sono caduti due esponenti delle Forze speciali e anche il giovane Heiker Vazquez, che apparteneva anche al Collettivo Tres Raices, basato nello storico quartiere 23 enero, dove agiscono diverse comuni e molte strutture auto-organizzate. Era stato chiamato – ha detto Cabello – dal gruppo di Pérez come mediatore, perché uno dei militari insubordinati era del 23 Enero. Appena arrivato sul posto, Heiker è invece stato preso di mira e ucciso dal gruppo, che non aveva in realtà intenzione di arrendersi e che era dotato di un armamento da guerra.
Un gigantesco corteo funebre partito dal 23 Enero ha accompagnato Heiker Vazquez alla sepoltura. Il ministro Freddy Bernal, Commissario generale del Servizio bolivariano di intelligence (Sebin) ha reso onore a lui e agli altri soldati in questi termini: “Oggi è caduto un gruppo di patrioti, come cadono i rivoluzionari di tutti i giorni, come cadono i rivoluzionari di sempre, capaci di andare oltre il discorso e di dare la vita per un'idea: in questo caso per difendere l'eredità di Hugo Chavez e il nostro popolo. Se in alcune occasioni abbiamo usato le armi per difendere questi ideali, siamo coscienti di questo. Così è la guerra, e in guerra o si vince o si muore. Non c'è via di mezzo”.
Dietro la retorica, l'articolo di Machado è infatti una dichiarazione di guerra. Disinnescarne il potenziale mortifero dipende anche da noi.